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Come il Regno Unito si riarma per tornare il numero due dell’Alleanza

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Le forze armate di Sua Maestà stanno per compiere un grande balzo in avanti, arrestando il processo di declino intrapreso all’inizio degli anni duemila. Il governo inglese ha annunciato il più grande piano di investimenti militari dalla fine della Guerra Fredda. Spazio, intelligenza artificiale, droni, caccia di VI generazione: il focus degli investimenti voluti dal premier saranno le nuove tecnologie. Quello intrapreso dal Regno Unito non è il primo grande riarmo di un membro dell’Alleanza Atlantica e dei suoi partner più stretti. Londra segue lo stesso trend di Parigi, Varsavia, Atene, Stoccolma e Canberra. La corsa al riarmo è aperta.   

L’annuncio del premier e la reazione degli alleati

Lo scorso 19 novembre il premier inglese Boris Johnson, ha annunciato un sostanzioso incremento del budget della difesa del Regno Unito; le forze armate riceveranno 16,5 miliardi di sterline in più nei prossimi quattro anni. Londra aveva già stabilito un incremento annuale di un valore pari a quello dell’inflazione maggiorato dello 0,5%: l’aumento delle spese militari ammonta dunque a circa 24 miliardi di sterline, il che equivale a circa il 15% dell’attuale budget per la difesa. Quello voluto dal primo ministro è il più grande aumento della spesa militare dalla fine della Guerra Fredda e testimonia la ferma intenzione dell’esecutivo britannico di metter fine a quella che il premier ha definito “l’era della ritirata”, ovvero un lungo periodo di tagli, ritardi e cancellazioni dei programmi militari che le forze armate hanno dovuto subire negli scorsi anni. Londra intende tornare a contare: il governo vuole “confermare il Regno Unito nella posizione di primo investitore d’Europa per la difesa e secondo nella NATO” e rilanciare il ruolo di Londra in un mondo “che non è mai stato così pericoloso e competitivo dai tempi della Guerra Fredda”. Il Ministero della Difesa è riuscito a convincere gli altri dicasteri puntando sui ritorni economici e occupazionali degli investimenti militari. Una parte rilevante dei fondi che verranno stanziati sarà dedicata al settore della ricerca militare e dello sviluppo – il cui ritorno economico risulta alquanto elevato – che vedrà un aumento di ben 1,5 miliardi di sterline in più ogni anno, oltre ai soliti 5,8 che Londra già gli riserva. Johnson ha anche sottolineato la ricaduta occupazionale di questi investimenti: quasi quarantamila i posti di lavoro creati da questo ingente piano di spesa.

Il messaggio del premier britannico è stato accolto con favore dal neo Segretario alla Difesa americano, Cristopher Miller: “il Regno Unito è il nostro alleato più coraggioso e capace e questo aumento della spesa è indicativo del loro impegno nei confronti della NATO e della sicurezza collettiva”. La Gran Bretagna, che risulta già presente nella lista dei paesi che superano il fatidico 2% delle spese militari stabilito nel consesso Atlantico, è sempre stata una dei principali alleati degli Stati Uniti sul campo di battaglia, come testimoniato nelle guerre in Iraq e in Afghanistan.

Quali priorità per il piano di spesa inglese

L’ingente programma di riarmo e modernizzazione delle forze armate britanniche punta su una serie di tecnologie che il premier ha definito “in grado di rivoluzionare il modo di fare la guerra in futuro”. Oltre che dedicare una rilevante parte degli investimenti alla ricerca militare, Londra intende sviluppare una serie di capacità – ad oggi ancora embrionali – considerate fondamentali nella condotta delle future operazioni. Per questo motivo il governo intende creare, in linea con quanto fatto da Stati Uniti e Francia, un comando spaziale  che sia in grado di lanciare il primo razzo nello spazio entro il 2022. Parallelamente, sarebbe prevista la creazione di un’agenzia dedicata all’intelligenza artificiale e l’istituzione di una national cyber force. La forza armata che con massima probabilità sarà la principale beneficiaria degli investimenti sarà la Royal Navy: il grido “Save the Royal Navy degli ammiragli di Sua Maestà sembra essere stato ascoltato. Il primo ministro, durante un discorso al Parlamento, ha affermato che la sua promessa di “ristabilire la posizione britannica di prima potenza navale in Europa” verrà mantenuta, e che quindi “nuove generazioni di navi saranno costruite in tutto il Regno Unito”. Se la Royal Navy, come promette il suo premier, riceverà le otto fregate Type 26 e le cinque Type 31 previste, oltre che le modernissime fregate di nuova generazione Type 32 e le nuove navi da supporto logistico (Fleet Solid Support Ship), quella di Sua Maestà tornerà ad essere la prima marina del continente, davanti a quella francese e a quella italiana. Infine, più di 1 miliardo verrà dedicato interamente al caccia di VI generazione, il Tempest, sviluppato congiuntamente con Svezia e Italia.

La decisione di puntare tutto sulle nuove tecnologie, però, non appare priva di rischi. La ricerca del “silver bullet” – termine utilizzato per indicare un’arma completamente nuova in grado di offrire a colui che la impiega per primo un vantaggio immenso nei confronti degli avversari che ne siano privi – ha spesso portato a esiti funesti. Londra potrebbe avere ragione quando, decidendo di investire massicciamente in queste nuove tecnologie, dichiara che esse sono destinate a ricoprire il ruolo chiave nella guerra del futuro. Affianco all’investimento però ci sarà bisogno, come suggerito dal professor Peter Roberts, director military sciences del Royal United Service Institute (RUSI), di procedere ad una valutazione di quello che sarà, in ogni dominio operativo, il carattere della guerra del futuro. Insomma, occorre una profonda riflessione, prima di procedere con gli investimenti. A questo bisogna aggiungere, evidentemente, la necessità che gli obiettivi individuati siano sostenibili, ovvero in linea con le disponibilità economiche del Regno – ancora in piena crisi epidemica – pena la riproposizione di quanto avvenuto con l’ultimo grande piano di riarmo inglese, ovvero quello voluto da Lord Roberston nel 1998 con la Strategic Defence Review. All’epoca, la mancata corrispondenza tra risorse disponibili e obiettivi imposti condusse al fallimento o al notevole ritardo diversi programmi militari – tra i quali spicca il ritardo accumulato nel programma delle due nuove portaerei britanniche, a causa del quale la Royal Navy è rimasta per anni senza questa capacità. 

Londra sembra aver stabilito quanti soldi spendere: la cifra dichiarata dal premier britannico è chiara. Resta però da definire il come investire, perché quelle attualmente enunciate sono ipotesi di investimento elaborate in base a quelle che sono state fino ad ora le dichiarazioni degli esponenti del governo e delle forze armate. L’Integrated Defense Review, il documento atteso ormai da mesi che dovrebbe definire la politica inglese dei prossimi anni per quanto attiene alla difesa e alla sicurezza del Regno, non verrà pubblicata prima dell’anno prossimo. Fino ad allora, sono possibili solo ipotesi.

Londra e la NATO: il confronto con gli alleati

Quello presentato da Boris Johnson al Parlamento non è il primo grande progetto di riarmo messo in atto da uno stato membro dell’Alleanza Atlantica, partner inclusi. Il piano inglese di investimenti nella difesa si inserisce infatti nella lunga fila di iniziative intraprese da altri alleati quali la Polonia, la Francia, e la Grecia, oltre a quelle prese da amici stretti dell’Alleanza, come l’Australia e la Svezia.  

L’Australia, storico partner dell’Alleanza – notevole il suo contributo in Afghanistan – intende aumentare le spese militari del 40% nei prossimi dieci anni investendo in capacità di strike a lungo raggio nel dominio aereo, navale e terrestre. Due considerazioni spingono Canberra a investire in maniera massiva nella difesa: da un lato, la percezione di una minore affidabilità nei confronti degli Stati Uniti, dall’altro, la minaccia rappresentata dall’assertività della marina cinese nell’Indo-Pacifico, a cui l’Australia intende rispondere con un approccio alquanto muscolare.

La Polonia intende raggiungere il traguardo del 2,5% di spese militari sul PIL nel 2030. Oggi la Polonia spende il 2,1% del proprio Pil per la difesa – circa 13 miliardi di dollari – con un aumento nel 2020 dell’11,3% rispetto alla spesa militare dell’anno precedente. Il 30% delle spese polacche saranno destinate agli investimenti, una cifra considerevole (circa 3,5 miliardi di dollari). In particolare, Varsavia punta su sistemi di difesa aerea, sullo sviluppo di nuovi sistemi di C4ISR (Command, Control, Communication, Computers, Intelligence, Surveillance and Reconnaissance) e sulla modernizzazione della componente corazzata. Con questo piano di investimenti, Varsavia intende mettere in guardia la Russia dal condurre ulteriori azioni ostili nell’Europa dell’est, oltre che rassicurare la sua popolazione.

Degno di nota è anche lo sforzo della Svezia. Così come per la Polonia, la minaccia più insidiosa e più attuale, per il paese scandinavo, appare senza dubbio essere la Russia, specialmente dopo i fatti della Crimea del 2014. Stoccolma intende investire nelle forze armate denaro aggiuntivo in quantità pari al 40% dell’attuale spesa militare. Accanto a questa iniziativa, poi, la Svezia intende raddoppiare il numero dei coscritti delle sue forze armate.

Anche la Grecia procede con un importante riarmo. Atene intende contrastare in tutti i modi l’offensiva a tutto campo intrapresa dalla Turchia nell’Egeo. Per farlo, ha deciso di arruolare 15 mila uomini in più, di acquistare 18 caccia francesi di IV generazione Rafale e di bandire una gara per l’acquisizione di quattro fregate di ultima generazione, probabilmente fornite dagli USA. Per sostenere il suo riarmo, Atene dovrà stanziare ben dieci miliardi di euro di qui al 2030, a cui si sommano i 5,5 miliardi che spende attualmente per le sue Forze Armate.

La Francia, infine, ha firmato nel luglio 2018 la Loi De Programmation Militaire 2019-2025, con la quale il Ministère des Armées intende investire in programmi militari 294 miliardi di euro da qui al 2025. Parigi spende 37,6 miliardi di euro nel 2020, ma intende raggiungere la cifra di 48,5 miliardi nel 2025, quando anche la Francia avrà raggiunto la soglia del 2% del PIL. Oltre ad un massiccio riarmo della componente terrestre, che col programma Scorpion sarà dotata di centinaia di nuovi veicoli blindati e della nuova versione dei carri Leclerc, Parigi intende disporre nel 2025 di una flotta assai numerosa, composta da 17 fregate, 4 sommergibili nucleari lanciamissili balistici e 6 sommergibili nucleari d’attacco. Le forze aeree opereranno con 253 aerei da combattimento, fra caccia multiruolo Rafale e Mirage 2000.

Quello iniziato da Londra è un processo di riarmo a tappe forzate che procede lungo lo stesso binario su cui muovono molti altri membri dell’Alleanza e relativi partner. Se gli stati dell’est Europa agiscono in tal modo per mettere in guardia i russi e quelli dell’Indo-Pacifico per contrastare l’assertività cinese nella regione, gli stati dell’Europa occidentale agiscono spinti dalla consapevolezza che il loro ruolo nell’assicurare la difesa del continente assumerà maggiore importanza, vista la sempre maggiore riluttanza di Washington a mettere i boots on the ground per l’Europa. Il Regno Unito è certamente uno di questi. Per tornare sul podio della NATO, Londra segue la scelta di Parigi, ma non deve sbagliare obiettivi, altrimenti rischierà di trovarsi in una situazione peggiore di quella in cui si ritrova ora.

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