Nelle ultime ore in Myanmar ha avuto luogo un colpo di Stato ad opera delle forze armate birmane che ha portato all’arresto del Consigliere di Stato, Aung San Suu Kyi, e all’annuncio della presidenza ad interim affidata al generale Myint Swe. L’episodio rappresenta un grave colpo alla giovane e fragile democrazia birmana; pertanto, risulta interessante analizzare la causa di tale situazione e quali saranno invece le conseguenze.
Nelle ultime ore il Tatmadaw (le forze armate birmane) ha sconvolto gli assetti istituzionali democratici del Myanmar attraverso un colpo di Stato, che ha portato all’arresto del Consigliere di Stato Aung San Suu Kyi, alla presidenza ad interim del generale Myint Swe e all’imposizione dello stato d’emergenza per un anno.
L’iniziativa presa dalle forze armate birmane è però una conseguenza diretta di settimane di denunce, da parte dell’esercito stesso, delle irregolarità e dei numerosi brogli che sarebbero avvenuti nelle elezioni dello scorso novembre che hanno visto prevalere il partito di Aung San Suu Kyi (la National League of Demovcracy – NLD). La comunità internazionale, e in particolare l’Onu, aveva di recente espresso la sua crescente preoccupazione per un possibile colpo di Stato nel Myanmar, alla quale però l’esercito aveva risposto con un comunicato il 30 gennaio scorso, negando la possibilità di un’azione così estrema: il Tatmadaw “rispetta la Costituzione attuale e rispetterà la legge. Organizzazioni e media hanno mal interpretato […] e hanno formulato il loro punto di vista”.
Tuttavia, la situazione delle ultime ore ha dato vita agli allarmi presentati dalla comunità internazionale; il colpo di Stato ha portato come abbiamo già visto all’arresto di Aung San Suu Kyi ma ha anche all’annuncio, dato tramite tv statale, dello stato di emergenza previsto per la durata di un anno, la presidenza ad interim del generale Myint Swe e il trasferimento di tutti i poteri al generale Min Aung Hlaing, ovvero il capo delle forze armate. Il colpo di Stato è avvenuto proprio nel giorno in cui avrebbe dovuto aver luogo la cerimonia inaugurale del Parlamento recentemente insediato.
Resta fondamentale però comprendere qual è stata la risposta internazionale nei confronti degli avvenimenti che stanno sconvolgendo la realtà democratica birmana.
La risposta internazionale
L’opposizione della comunità internazionale non si è fatta attendere; gli Stati Uniti d’America hanno prontamente denunciato il colpo di Stato, affermando che Washington “si oppone a qualsiasi tentativo di alterare l’esito delle recenti elezioni o impedire la transizione democratica del Myanmar”. Il nuovo Segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha richiesto il rilascio dei funzionari governativi e di tutte le persone che sono detenute dall’esercito birmano, riaffermando inoltre il suo totale appoggio al popolo e alla democrazia birmana.
Altra condanna viene dal Primo Ministro britannico, Boris Johnson, il quale nel suo profilo twitter annuncia di condannare “ il colpo di Stato e l’incarcerazione illegale di civili, compresa Aung San Suu Kyi, in Myanmar. Il voto del popolo deve essere rispettato e i leader civili rilasciati.”
Nel mentre la stessa Aung San Suu Kyi invita il popolo birmano a non accettare l’azione dei militari e a “protestare contro il colpo di stato”.
Storia democratica birmana e Aung San Suu Kyi, tra luci e ombre
Il 1988 rappresenta un anno estremamente complesso per la storia democratica birmana, in quanto, a seguito della rivolta 8888, ebbe luogo un colpo di Stato militare, comandato del generale Saw Maung, il quale ricoprì di conseguenza la carica di Presidente dal 1988 al 1992. È proprio in tale contesto che la figura di Aung San Suu Kyi diventa progressivamente il simbolo dell’opposizione nei confronti del regime militare e un’icona democratica sostenuta e ammirata dalla comunità internazionale; Aung San Suu Kyi comincia difatti ad intraprendere un’intensa attività di opposizione che sarà poi cruciale per il processo di democratizzazione che investirà il paese.
L’origine di tale battaglia politica è riscontrabile nella fondazione, il 27 settembre dello stesso anno, della NLD. Il partito, fondato su principi di pluralismo e ispirati principalmente alla filosofia politica gandhiana, si candiderà alle elezioni del 1990 riuscendo a raggiungere eccellenti risultati, i quali non vennero però riconosciuti dallo Slorc (State Law and Order Restoration Council), ovvero la giunta militare allora al potere.
Gli ideali incarnati dalla figura di Aung San Suu Kyi, simbolo dell’opposizione non violenta al regime militare, sono stati nel tempo fortemente sostenuti dalla comunità internazionale. Aung San Suu Kyi riuscirà ad ottenere la piena libertà solo nel 2010 ed otterrà nel 2015 un risultato cruciale per la propria battaglia politica e per il processo di democratizzazione birmano, in quanto in quello stesso anno il NLD riuscirà ad acquistare la maggioranza dei seggi in Parlamento.
A questo punto non è difficile comprendere le motivazioni che hanno portato Aung San Suu Kyi a divenire un personaggio internazionalmente apprezzato, ma ciò che è cruciale però analizzare è la complessità che ha rappresentato negli ultimi anni l’icona democratica. La vincitrice del premio Nobel (1991) si è trovata al centro di numerose critiche a causa dell’atteggiamento nei confronti della questione della minoranza musulmana dei Rohingya. Il Myanmar è stato portato dal Gambia di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, con l’accusa di aver permesso al Tatmadaw (le forze armate birmane) di commettere genocidio nei confronti di tale comunità. Il caso ha portato pertanto al verdetto espresso dalla Corte (23 gennaio 2020), la quale ha stabilito che lo Stato del Myanmar avrebbe dovuto prendere tutte le misure in suo potere per garantire ai Rohingya il rispetto degli obblighi stabiliti dalla Convenzione sul genocidio del 1948.
Ciò che ha provocato la forte riprovazione della comunità internazionale è stata soprattutto la posizione assunta dall’attivista, la quale ha tenacemente difeso di fronte la Corte il suo paese, dichiarando l’inconsistenza delle accuse e l’incompletezza del quadro che risulta essere, a suo parere, particolarmente fuorviante.
Negli anni il nome di Aung San Suu Kyi è stato profondamente associato ad ideali democratici, di uguaglianza e libertà, ultimamente però il quadro della situazione stava comprensibilmente mutando, mettendo così in luce aspetti estremamente controversi di tale personaggio.
Conclusioni
Il colpo di Stato e il conseguente arresto di Aung San Suu Kyi rappresentano una grave ferita per la giovane democrazia birmana, che, come abbiamo precedentemente analizzato, nel tempo ha mostrato segni di grande fragilità.
Sarà interessante vedere come si evolverà anche la figura di Aung San Suu Kyi stessa, la quale è passata dall’essere un simbolo della democrazia asiatica ad essere il “volto internazionale” del genocidio dei Rohingya; infatti, il Consigliere di Stato della Birmania potrebbe in tali circostanze riacquisire l’appoggio della comunità internazionale e lo status symbol della lotta democratica ai regimi autoritari di stampo militare.
Il processo di democratizzazione del Myanmar risulta ad ora estremamente compromesso, saranno difatti cruciali le prossime ore per comprendere quali saranno le reali conseguenze per l’instabile sistema democratico birmano.
Elisa Ugolini,
Geopolitica.info