A partire dagli anni ’50, molti Paesi si sono impegnati a rimuovere leggi penali contro le relazioni sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso, spesso definite con espressioni quali “reato di omosessualità”, “sodomia” o “atti contro natura”. Sfortunatamente, il processo di inclusione dei diritti umani non sta avvenendo in modo omogeneo; sono circa sessantanove i Paesi al mondo che criminalizzano l’omosessualità, di cui la metà sono situati in Africa.
In Ghana l’omosessualità è punibile con il carcere e un disegno di legge mira a criminalizzare la promozione e il finanziamento delle attività LGBT, così come le manifestazioni pubbliche di affetto e il cross-dressing. Il direttore dell’organizzazione per i diritti umani Rightify Ghana, Danny Bediako, ha confermato che “arresti arbitrari, ricatti e sfratti sono più che raddoppiati, con persone prese di mira se sospettate di essere gay” (Alice for Children, 2021). La situazione è ancora più tragica in Nigeria, dove le persone omossessuali rischiano fino a 14 anni di reclusione o addirittura la pena di morte mediante lapidazione. Anche in Somalia meridionale e Mauritania chi appartiene alla comunità LGBT rischia la vita. L’Uganda è il primo Paese al mondo ad aver proibito costituzionalmente il matrimonio omosessuale nel 2004 e nel 2013 il parlamento ha approvato un disegno di legge anti-omosessualità che ha esteso le pene anche a coloro che “promuovono” l’omosessualità. La libertà di espressione è ristretta e sanzionata; infatti, film, spettacoli e contenuti pensati per il largo consumo possono essere soggetti a censura in quanto “contrari alla morale pubblica”. Infine, in Kenya, nonostante non esista un sistema effettivo di censura ai danni dei temi LGBT, l’omosessualità è un reato perseguibile e il matrimonio fra persone dello stesso sesso è illegale. Non esiste alcuna forma di protezione legale per le vittime di discriminazione legata alla sessualità e non è permesso loro adottare.
Leggi e pene contro l’omosessualità e la promozione dei temi LGBT affondano le proprie radici all’epoca del colonialismo. Prima di questa epoca storica, infatti, molte culture tradizionali africane erano tolleranti nei confronti delle diverse sessualità e delle relazioni di genere. Per esempio, nella tribù Ganda, il gruppo etnico più numeroso dell’Uganda, le donne dei clan venivano trattate con titoli maschili e potevano essere esentate dal svolgere compiti normalmente previsti per le donne. Più in generale, dagli Azande del Congo ai Beti del Camerun, dai Pangwe del Gabon ai Nama della Namibia, ci sono prove etnografiche di relazioni tra persone dello stesso sesso nell’Africa precoloniale. Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista “Cambridge Review of International Affairs”, la criminalizzazione dell’omosessualità è nata sulla base di strumenti giuridici introdotti e imposti dall’impero britannico nelle colonie. Ad esempio, è emerso che quasi il 70% degli stati con un’origine coloniale britannica continuano a criminalizzare la condotta omosessuale (Han, O’Mahoney, 2014). Tale ricerca, prendendo in analisi anche altri fattori quali religione, democrazia, modernità o ricchezza, vuole dimostrare come l’eredità coloniale sia una delle ragioni per cui ancora oggi queste leggi sono diffuse nel mondo. L’impero britannico non è stato l’unico attore nel processo di criminalizzazione dell’omosessualità; le maggiori potenze coloniali europee, sfruttando i valori africani di inclusione delle differenze, hanno riscritto la sua storia, i cui effetti continuano a perseguitare l’Africa ancora oggi. I capi tribù e i tribunali dei villaggi, che tradizionalmente erano il segno distintivo della risoluzione dei conflitti, furono scambiati con un sistema di codice penale europeo che includeva la criminalizzazione dell’omosessualità. È inoltre importante sottolineare che le cosiddette leggi sulla sodomia non avrebbero avuto un impatto sulla politica sessuale africana senza l’influenza del cristianesimo. Quest’ultimo è stato usato per creare un’immagine primitiva e demoniaca della cultura africana. La Bibbia è diventata il credo della moralità africana; l’attività dei missionari cristiani ha imposto l’eteronormatività (l’idea che l’eterosessualità sia l’unico orientamento sessuale “naturale”) alle tribù africane.
Secondo dati raccolti da ILGA (International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association), ogni anno circa 10 mila persone presentano domanda di protezione internazionale nell’UE sulla base del proprio orientamento sessuale o identità di genere. Purtroppo però, nella maggior parte dei Paesi membri UE la sola esistenza di leggi che criminalizzano i rapporti fra persone dello stesso sesso nei paesi d’origine non è sufficiente; spesso viene chiesto al richiedente asilo prova dell’applicazione pratica di queste leggi, quando non addirittura la prova di un processo legale a loro carico.
L’Italia è, invece, promotrice di una buona pratica in quanto la criminalizzazione nel paese d’origine è considerata di per sé persecutoria, senza bisogno di ulteriori accertamenti in quanto vi è la violazione del diritto fondamentale di vivere liberamente la propria vita sessuale ed affettiva (Liboni, 2018). La criminalizzazione dell’omosessualità rende le persone lesbiche, gay e bisessuali dei criminali e crea un clima di omo-transfobia generale, terreno questo molto fertile per persecuzioni e gravi soprusi. Nei Paesi in cui essere omosessuale è un reato o dove la discriminazione contro le persone LGBT è diffusa, le minoranze sessuali e di genere sono vittime quotidiane di violenza e di abusi fisici e psicologici perpetrate da soggetti statali ma anche comunità di appartenenza, familiari e amici. Essere LGBT è considerato un “male” da estirpare attraverso “terapie di conversione”, violenza fisica e stupri correttivi. In molti casi è la stessa famiglia a informare la polizia del reato di omosessualità, o a compiere la scelta di uccidere per rabbia o vergogna. Nonostante le numerose campagne di sensibilizzazione delle tematiche LGBT, in Europa mancano tuttora informazioni complete, affidabili e oggettive sulle condizioni delle persone LGBT nel loro Paese d’origine.
Oltre alle istituzioni coloniali, gruppi di evangelisti cristiani occidentali stanno promuovendo un cambiamento nell’attitudine degli africani verso l’omosessualità. Negli ultimi decenni, a diffondere la stigmatizzazione dell’omosessualità vi sono stati numerosi missionari provenienti dagli Stati Uniti che hanno contribuito a condannare l’attivismo in favore dei diritti umani in generale e di quelli LGBT mediante un “lavaggio del cervello religioso” agli attivisti anti-gay in Africa (Kalende, 2014; Leunkeu, 2021). In conclusione, è necessario che avvenga una discussione onesta e aperta sulla sessualità prima, durante e dopo il periodo coloniale in Africa. Attivisti, così come società civile, accademici e media non solo africani ma provenienti da tutto il mondo dovrebbero essere in prima linea al fine di reclamare una cultura priva di odio, che sostiene differenti sessualità. La soluzione non va ricercata nelle azioni fatte per dimostrare che l’omofobia non è una caratteristica africana, piuttosto nel rendere la difesa dei diritti umani parte integrante dei movimenti anticoloniali.
Elena Ruffato,
Geopolitica.info