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TematicheAmerica LatinaColombia: l’alleato della NATO in America Latina

Colombia: l’alleato della NATO in America Latina

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Inserita in una regione spesso diffidente verso l’approccio dell’Alleanza Atlantica, la Colombia si è ritagliata nel tempo un ruolo degno di nota per la NATO. Seppur senza prospettive di adesione, Bogotà ha saputo destreggiarsi nel rapporto con la potente controparte, beneficiando e apportando il proprio contributo quando necessario. Storicamente vicina agli Stati Uniti, la Colombia è l’unico Paese latinoamericano ad aver ottenuto lo status di “Partner globale” del Patto Atlantico e sarà il terzo (dopo Argentina e Brasile) a ricevere da Washington la nomina di “Importante alleato non-NATO”. 

Articolo precedentemente pubblicato nel ventisettesimo numero della newsletter “A Stelle e Strisce”. Iscriviti qui

Il progressivo avvicinamento NATO-Colombia

La Colombia rappresenta ormai da anni un punto di riferimento fondamentale per l’Alleanza Atlantica in America Latina. Il primo documento firmato dalle parti risale al giugno 2013, un accordo di massima che servì a sancire l’interesse mutuo e pose le basi per la futura cooperazione. La stipula del Acuerdo sobre Cooperación y Seguridad de Información rispondeva dal punto di vista colombiano a una duplice volontà: la prima, più generale, riguardava la necessità di rafforzare l’influenza di Bogotà negli organismi multilaterali mondiali e i rapporti con gli Stati membri; mentre la seconda, maggiormente specifica, faceva riferimento all’ambizione di incrementare le capacità operative nel settore della sicurezza e delle forze armate. Pur non rappresentando ancora un partenariato formale, la Colombia avrebbe comunque potuto beneficiare degli elevati standard offerti in termini di addestramento militare dal Patto Atlantico, partecipando a esercitazioni congiunte con i Paesi membri e prendendo parte a missioni umanitarie o di pace a guida NATO, come già realizzato in precedenza da altri due Stati del subcontinente latinoamericano: nello specifico Argentina e Cile nei Balcani.  

Vi erano però due elementi particolarmente rilevanti, resi espliciti anche nella proposta di legge presentata al Congresso della Colombia per la ratifica dell’accordo: in primo luogo, la relazione tra le parti non avrebbe consentito in nessun caso la presenza di truppe straniere sul territorio colombiano, ma soprattutto si escludeva la possibilità di una futura adesione di Bogotà alla NATO, determinata essenzialmente dall’impossibilità di soddisfare i requisiti geografici richiesti dal Trattato istitutivo. Nonostante ciò, l’avvicinamento tra le parti fece preoccupare alcuni dei governi latinoamericani vicini al Foro de São Paulo e all’allora neonata Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR). Vi furono in particolare dichiarazioni di condanna provenienti dagli esecutivi di Bolivia, Nicaragua e Venezuela, tradizionalmente ostili alla NATO e all’influenza statunitense nella regione. Il presidente boliviano Evo Morales, addirittura prima della stipula del memorandum, chiese una riunione d’emergenza dell’UNASUR – di cui la Colombia era Stato membro – sospettando che l’approccio di Bogotà alla NATO potesse rappresentare una minaccia per la stabilità della regione. Dello stesso avviso anche il nicaraguense Daniel Ortega, mentre il mandatario venezuelano Nicolás Maduro difese il ruolo di promotore di pace dell’UNASUR, contrapponendolo a quello svolto dalla NATO.

Le perplessità diffuse non inficiarono il rafforzamento delle relazioni tra il Patto Atlantico e la Colombia, che si svilupparono proficuamente negli anni successivi. Nel 2014 vennero discusse nuove possibili aree di collaborazione, mentre nel 2015 Bogotà partecipò all’operazione antipirateria (Ocean Shields) nel Corno d’Africa inviando una nave. Il salto di qualità nelle relazioni bilaterali avvenne però nel maggio 2017, quando con la stipula del Programma Individuale di Associazione e Cooperazione (IPCP) si posero le basi per l’accordo che avrebbe reso la Colombia “Partner globale” della NATO. Il rapporto si sarebbe poi formalizzato l’anno successivo in occasione della visita di Santos al quartier generale dell’Alleanza, ma il nuovo status colombiano non rappresentava un elemento meramente simbolico. Con la nomina a “Partner across the globe” della NATO, la Colombia è stato il primo Paese latinoamericano a entrare a far parte di quel gruppo di Stati non membri – comprendente, tra gli altri, anche Australia e Giappone –  che a partire dalla fine del mondo bipolare promuovono la cooperazione politica e la sicurezza in collaborazione con l’Alleanza, partecipando attivamente alle operazioni della stessa. La partnership prevede lo scambio di informazioni in vari ambiti (antiterrorismo, scienza e tecnologia, logistica, cybersecurity ecc.), ma l’aspetto più importante per Bogotà riguarda probabilmente la possibilità di accedere a tutte le opportunità di formazione e addestramento offerte dai centri di eccellenza del Patto. Di contro, l’apporto primario offerto dalla Colombia – come affermato anche dal generale William Pérez Laiseca – consisterebbe nella disponibilità di condividere a beneficio dell’Alleanza l’esperienza delle proprie forze armate nei conflitti asimmetrici e nella lotta al terrorismo. 

L’approccio filo-atlantista di Bogotà è stato successivamente mantenuto e approfondito anche dal successore di Santos, Iván Duque, il quale ha rinnovato l’IPCP di durata biennale e si è impegnato a portare avanti la partecipazione colombiana al Building Integrity Policy and Action Plan (BI), il programma della NATO volto a combattere la corruzione e a favorire la trasparenza nel settore della difesa e della sicurezza. Il BI aveva già fatto registrare risultati soddisfacenti nel periodo di Santos, almeno secondo i meccanismi di autovalutazione previsti dall’iniziativa, non sempre facilmente tangibili. Per portare un esempio, dopo la prima peer review del 2016 la Colombia, tra le altre cose, ha creato uno specifico codice di integrità per il settore della difesa e ha adeguato i processi di controllo interno agli standard NATO. Successivamente, un altro passaggio importante ha riguardato l’accreditamento del Centro internazionale di sminamento della Colombia nella rete di centri di istruzione dell’Alleanza, riconoscimento che legittima l’esperienza di Bogotà anche in termini di formazione tecnica. Inoltre, la Colombia ha iniziato a ricoprire un ruolo anche in alcuni campi che stanno acquisendo sempre maggiore rilevanza all’interno della NATO, come quello del rapporto tra prospettiva di genere e sicurezza globale.  

Major Non-NATO Ally: ragioni e prospettive 

Nel dicembre 2021 la visita a Bruxelles del ministro della Difesa colombiano Diego Andrés Molano ha rappresentato l’occasione per firmare un nuovo accordo di cooperazione, che ha ulteriormente rafforzato il legame tra le parti. La partnership si suddivide in 11 aree, alcune già presenti e (lotta al terrorismo, interoperabilità tra le forze armate, sminamento, controllo marittimo) altre create ex novo, come quella su “cambiamento climatico e sicurezza”. Lo sforzo per la protezione ambientale è stato uno dei punti focali dell’incontro: la campagna Artemisa contro la deforestazione promossa dal governo di Duque è stata accolta con soddisfazione dalla NATO, il cui quartier generale ha fatto da sede all’apertura della mostra virtuale sui páramos colombiani e gli ecosistemi di alta montagna, volta a mettere in luce il ruolo delle Forze Armate colombiane nel garantire la buona riuscita dell’iniziativa. 

Nei giorni precedenti all’invasione dell’Ucraina, Duque è tornato a riunirsi con Stoltenberg per esprimere la comune preoccupazione per la progressiva minaccia proveniente dalla Russia, ma in questa fase la novità più rilevante è giunta (almeno formalmente) al di fuori del contesto dell’Alleanza. Nell’anno della celebrazione del bicentenario dall’avvio delle relazioni diplomatiche tra Colombia e Stati Uniti, Biden – dopo averlo già anticipato a marzo – lo scorso 21 aprile ha notificato ai presidenti delle due Camere la volontà di far diventare Bogotà “Major Non-NATO Ally” (MNNA) di Washington. La nomina non è però immediata: dalla data di presentazione al Congresso devono passare almeno 30 giorni prima che tale condizione possa essere formalizzata dalla Casa Bianca (nel caso della Colombia a partire dal 21 maggio), ma si tratta di un mero aspetto procedurale. Lo status di MNNA è regolato dalla legge statunitense e garantisce vantaggi in termini economici e soprattutto militari ai Paesi a cui viene assegnato: consente, tra le altre cose, di ricevere equipaggiamento NATO per la difesa tra quello in “eccesso”; di ottenere finanziamenti per l’acquisto di dispositivi per il rilevamento di esplosivi e di stipulare accordi con il Dipartimento della Difesa per condurre progetti di ricerca congiunti. Il tutto senza dover far fronte agli obblighi previsti dalla Carta per i membri della NATO. La designazione a MNNA si inserisce nel contesto della più ampia cooperazione bilaterale che comprende otto aree chiave (sviluppo economico, istruzione, sviluppo rurale, sicurezza e difesa, democrazia, migrazioni, cambiamento climatico, lotta alla pandemia). 

L’annuncio dello scorso marzo di Biden è arrivato a poche ore dalla presentazione al Senato del United States-Colombia Strategic Alliance Act, promossa da due esponenti del Partito Democratico: Bob Menendez – presidente della Commissione Esteri – e Tim Kaine. La proposta di legge presenta varie disposizioni significative volte a rafforzare l’alleanza tra i due attori. Sul piano economico, tra le altre cose, verrà istituito un fondo da 200 milioni di dollari per le imprese colombiano-americane, volto a sostenere gli investimenti nel settore tecnologico della Colombia e nelle imprese guidate da donne. In materia di sicurezza, si prevede la creazione di un comitato consultivo per promuovere la cooperazione bilaterale su antiterrorismo, lotta al traffico di droga, sicurezza delle frontiere e cyber security. Inoltre, entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge, il Segretario di Stato dovrà presentare alle Commissioni Esteri delle due camere un documento di valutazione e programmazione dell’impegno diplomatico degli Stati Uniti a sostegno degli accordi di pace del 2016 tra governo colombiano e FARC. In quest’ottica e con le stesse tempistiche, si prevede altresì la redazione annuale – per un periodo di cinque anni – di un rapporto che descriva le attività dei dissidenti delle FARC in Colombia. La relazione dovrà indicare nel dettaglio modalità operative e strategie di reclutamento, presenza geografica di ciascun gruppo ed eventuali rapporti con Paesi terzi. 

Le tempistiche della “promozione” della Colombia non appaiono casuali. Nei giorni precedenti una delegazione dell’amministrazione Biden aveva effettuato un discusso viaggio in Venezuela per valutare con il governo di Maduro alcune tematiche delicate, come il rilascio di prigionieri e una possibile fornitura di petrolio che avrebbe dovuto sostituire quello proveniente dalla Russia. Un’eventuale apertura di Washington a Caracas rappresenterebbe una grande preoccupazione per Bogotà: principale antagonista del chavismo e imprescindibile punto di riferimento per Washington nella regione. Sebbene appaia poco probabile che il Venezuela possa soddisfare le richieste statunitensi nel breve periodo, il possibile alleggerimento del regime sanzionatorio e l’implicito riconoscimento di Maduro – almeno come leader con il quale dialogare – rappresentano uno scenario che sembra agitare non poco Bogotà. Duque, infatti, è arrivato a mettere a disposizione di Washington il petrolio colombiano per garantire la stabilità dei prezzi, sottolineando che attualmente la capacità produttiva del suo Paese è superiore a quella del Venezuela.

Nonostante le polemiche che hanno fatto seguito al viaggio a Caracas, la mossa di Biden pare voler ribadire la coerenza delle priorità e la rete di alleanze statunitensi. Di fronte alla crescente influenza russa e cinese in America Latina, il ruolo di contrappeso giocato da Bogotà rimane imprescindibile per Washington, soprattutto in chiave anti-venezuelana. Oltre che dal punto di vista politico-militare, la Colombia ha rappresentato anche il principale punto di approdo dell’esodo venezuelano – iniziato nel 2014 e non ancora terminato – consentendo di alleviare il peso della spinta migratoria diretta verso Washington. Lo sguardo degli Stati Uniti e della NATO è attualmente rivolto principalmente verso altri teatri, ma lo sforzo per far rimanere la Colombia nell’orbita atlantista rimane centrale. La proposta di nomina a MNNA è arrivata al termine del mandato di Duque, un presidente molto vicino alle istanze statunitensi: a seconda del risultato delle imminenti elezioni presidenziali, si potrebbe eventualmente verificare un parziale cambiamento della narrazione colombiana nei confronti di Washington; la mossa di Biden, dunque, può essere letta in questa prospettiva come ulteriore garanzia della futura stabilità delle relazioni bilaterali.

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