Lo scorso 8 luglio si sono tenuti i colloqui preliminari per il prossimo G20 di Bali, presieduto e ospitato dall’Indonesia, previsto per i prossimi 15 e 16 Novembre. Nonostante le speranze per una ripresa del dialogo tra le maggiori potenze economiche del pianeta, volto ad ottenere impegni comuni per una crescita inclusiva, la guerra in Ucraina minaccia ancora una volta di ostacolare irreparabilmente l’auspicata cooperazione, rischiando di minare la riuscita delle iniziative indonesiane.
Ad ospitare l’annuale seduta del G20 di questo turbolento 2022 sarà uno tra i Paesi più interessanti e di maggior rilievo del Sud-Est Asiatico: l’Indonesia. L’enorme stato arcipelagico che racchiude l’orlo meridionale dell’Asia Orientale, da molto tempo ormai considerato uno dei motori della crescita economica della regione nonché dell’intero pianeta. L’Indonesia è un Paese dall’enorme popolazione, a stragrande maggioranza musulmana, che ha fatto della crescita inclusiva e della prosperità comune un denominatore della sua politica interna (vista dai padri fondatori della Costituzione indonesiana come l’unico modo per assicurare la coesione del Paese, etnicamente e geograficamente frammentato), nonché del suo approccio alla politica estera sin dai tempi della promozione e creazione dell’Associazione dei Paesi del Sud-Est Asiatico (ASEAN). Il G20 si presenta dunque come un occasione per portare nel dibattito internazionale, a fianco delle maggiori potenze economiche del Pianeta, alcuni temi cari all’Indonesia e alla parte di mondo che rappresenta.
In considerazione dunque della posizione indonesiana, i tavoli di lavoro proposti per il prossimo G20 riflettono quelle che sono le preoccupazioni dei Paesi della regione, ossia garantire e accelerare una ripresa economica post-pandemica che sia sostenibile ed inclusiva, individuando tre principali aree tematiche: innanzitutto dal punto di vista sanitario la creazione di un meccanismo armonizzato di prevenzione e risposta a prossime pandemie, nonché strategie per rendere più efficiente il trasferimento di know-how sanitario, al fine di garantire una più equa ed accessibile distribuzione di vaccini; in secondo luogo elaborare delle strategie che rendano possibile l’accesso alla digitalizzazione anche alle imprese di piccole e medie dimensioni, in un quadro di maggiore collaborazione nella gestione dei traffici dei dati; in ultimo strategie per garantire l’accesso a risorse energetiche pulite e rinnovabili anche per regioni o Paesi (spesso insulari) che faticano ad ottenere a prezzi ragionevoli le tradizionali risorse energetiche, nel solco del dibattito iniziato già in occasione del G20 italiano dello scorso anno e del Forum Cop26 sull’emergenza climatica.
Quanto è interessante osservare è il fatto che le tematiche elaborate dalla leadership indonesiana rispecchino in diverse misure gli interessi di altri Paesi emergenti, asiatici e non. Non a caso, invitati al G20 saranno anche i rappresentanti di alcuni blocchi regionali di Paesi in via di sviluppo, in particolare i rappresentanti del Pacific Forum e dell’ASEAN. In particolare per i Paesi ASEAN, l’Indonesia si fa da campione per portare al tavolo del dibattito internazionale temi cari ai Paesi dell’Associazione, non solo come problematiche da risolvere, ma anche come possibilità di perseguire alcuni fondamentali interessi economici della regione. In prima istanza, lo scambio di know-how sanitario potrebbe aprire le porte ad importanti investimenti in tale settore nella regione, dal momento che sempre più Paesi membri si stanno dotando di apparati di ricerca medica e scientifica volti alla creazione di un’industria medica locale, per ridurre la dipendenza dalle forniture cinesi ed occidentali. Per quanto riguarda l’inclusione digitale, qualsiasi meccanismo che possa favorire l’inclusione di piccole o micro imprese andrebbe a giovamento del crescente settore tech della regione: Indonesia, Singapore, Malesia e Filippine ospitano già alcuni conglomerati indigeni dell’e-commerce e dei servizi digitali, in una delle aree più dense di popolazione dell’intero globo. Ultimo ma non per rilevanza è l’aspetto climatico-energetico: la maggior parte dei Paesi della regione sono dipendenti dalle importazioni di idrocarburi e carbone, e l’attuale crisi energetica pone un’importante sfida alle loro aspettative di crescita. Assicurare investimenti e trasferimenti di tecnologia volti alla produzione domestica di energie rinnovabili contribuirebbe a mitigare i costi energetici e i rischi derivanti dalla conformazione geografica insulare di molte regioni del Sud-Est Asiatico, diminuendone l’isolamento e favorendo le opportunità di crescita.
Alla luce di queste priorità non può che risultare stridente quanto osservato nei colloqui preliminari dello scorso 8 luglio, in cui dissapori e accuse verbali da parte di alcuni diplomatici occidentali hanno portato all’abbandono dei colloqui da parte del Ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov. Quanto accaduto non può che presentare una ulteriore sfida per il raggiungimento degli obbiettivi proposti dall’Indonesia, e dimostra ancora una volta la contraddizione prodotta dai recenti eventi bellici in Europa Orientale.
Appare infatti sempre più evidente (sia in via ufficiale che ufficiosa) come l’accesso ad investimenti per lo sviluppo garantiti dai maggiori Paesi occidentali dipenda dalla postura del Paese ricevente nei confronti del conflitto Russo-Ucraino. Di converso, è chiaro come l’Indonesia e gran parte dei Paesi emergenti veda tale conflitto come un ostacolo superabile, specie se comparato alla magnitudine delle sfide economico-sociali che tali Paesi si trovano ad affrontare. In aggiunta a ciò, si registra come l’auspicio Indonesiano di aprire una finestra di dialogo tra Russia e Ucraina in occasione del G20, attraverso dei colloqui informali (pratica che effettivamente caratterizza il dialogo tra i membri dell’ASEAN e trova le sue radici nella tradizione politica Indonesiana e Malese) sia di difficile attuazione.
In conclusione, riuscire ad ottenere impegni economici e finanziari da parte del Paesi del G20 sulle tematiche proposte, in un quadro di tensioni diplomatiche altissime, si presenta come un’ardua sfida per la Nazione insulare, ancora poco avvezza a proporre ambiziose agende presso tavoli negoziali multilaterali che coinvolgono le attuali Grandi Potenze. Dai colloqui preliminari sembra emergere il fatto che lo spirito di dialogo e mutua collaborazione che caratterizza il discorso diplomatico intra-ASEAN poco si addica al contesto del G20 attuale. D’altro canto, qualora il G20 indonesiano del prossimo novembre si trasformasse anche in un moderato successo, l’Indonesia potrebbe emergere sempre più come interlocutore di rilievo sia a livello regionale che globale, proiettandosi sempre più come stato prominente e determinante anche in seno all’ASEAN.