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Retorica e azione nell’approccio cinese alla sicurezza: Global Security Initiative e riforma delle MOOTW

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Il rallentamento recentemente riscontrato della crescita economica cinese, causato dalla volatilità del contesto tanto interno, con le durissime restrizioni imposte dalla politica “zero Covid”, quanto internazionale, con gli effetti sulla globalizzazione della guerra in Ucraina, corrobora la principale preoccupazione politica della leadership cinese, ossia l’ossessiva ricerca della stabilità. Intesa nella sua più ampia accezione, la stabilità è ritenuta essenziale per salvaguardare la prosperità e la pace interne alla Cina, per difendere il paese da “disordine interno e minacce esterne” (内乱外患). 

Durante il suo discorso al Boao Forum del 21 aprile scorso, Xi Jinping ha ribadito questo principio citando il Guanzi, antico testo politico e filosofico cinese: “la stabilità porta i paesi alla prosperità, l’instabilità porta i paesi alla povertà”. Il discorso in questione era finalizzato a lanciare, in una sede tanto prestigiosa come il Forum, la nuova Global Security Initiative (GSI), un nuovo progetto globale di Pechino gemello della Global Development Initiative (GDI) e coerente con l’interesse cinese nella creazione di connessioni a lungo raggio tali da assicurare un ambiente esterno favorevole, perseguito parallelamente anche attraverso la Belt and Road Initiative (BRI). 

La GSI, molto vagamente definita da Xi, sembra essere informata da alcuni elementi centrali: in primo luogo, il concetto di “sicurezza indivisibile”, traslato dal lessico politico russo, implica l’impegno collettivo ad evitare di concepire la sicurezza come, direbbero i realisti, un “dilemma”, in altre parole a non rinforzare la propria sicurezza a spese di quella altrui; secondariamente, nel discorso di Xi e nell’approfondimento del Vice Ministro degli Esteri Le Yucheng, riecheggiano alcune formule fisse della “nuova era” delle relazioni internazionali della Cina, in particolare il concetto di “comunità dal destino condiviso”, a sottolineare il carattere relazionale della sicurezza globale, un bene comune come le sfide che l’umanità, rileva Le, non può che affrontare abbandonando la “mentalità da guerra fredda” di marca nordatlantica. 

Poco meno di due mesi dopo, il 13 giugno, Xi Jinping, in qualità di presidente della Commissione Militare Centrale, ha promulgato un documento (non pubblico) che, in 59 articoli, delinea il nuovo framework normativo delle 非战争军事行动 (fēi zhànzhēng jūnshì xíngdòng), delle “operazioni militari non belliche”, o, nel più comune gergo statunitense, MOOTW (Military Operations Other Than War). Gli organi di stampa ufficiali del Partito Comunista riportano che l’importanza di tale documento risiede nell’innovazione e nella standardizzazione delle MOOTW, già da tempo tra le principali attività condotte dall’Esercito Popolare di Liberazione (EPL). Queste operazioni, secondo l’Accademica di Scienza Militare cinese, sono di sette tipi: operazioni di soccorso e di risposta alle calamità, di antiterrorismo, di mantenimento della stabilità, di deterrenza (ufficialmente “di protezione dei diritti e degli interessi”), di sicurezza e sorveglianza, di peacekeeping e di assistenza umanitaria internazionale. Le MOOTW, così come le operazioni belliche e la deterrenza, costituiscono una modalità indipendente di impiego della forza militare e si affermano nella dottrina e nella pratica militare cinese soprattutto dopo la problematica evacuazione di 36mila cittadini cinesi dalla Libia durante la crisi del 2011, che mise, appunto, in evidenza l’importanza di avere un esercito capace di “giocare un ruolo più attivo in tempi di pace”.

Il nuovo documento non è stato né dalla leadership cinese né dagli analisti internazionali associato alla GSI e, effettivamente, la natura vaga, soprattutto retorica e per alcuni contingente, della GSI mal si concilia con la concreta riforma delle MOOTW, un provvedimento meno mediatico, poco discusso in Occidente e “securitizzato” quasi esclusivamente in Asia. Tuttavia, le due mosse di Xi sono orientate da interessi coincidenti, sovrapponibili, di più ampio respiro. Tali interessi, politici e securitari, rispondono alle preoccupazioni, per alcuni strutturali, della Cina (l’annessione – manu militari o meno – di Taiwan, la difesa delle rotte marittime strategiche e l’affermazione dell’egemonia nel Mar Cinese Meridionale), ma derivano largamente dalla necessità impellente di proteggere gli investimenti cinesi all’estero, dalla volontà di proporre un modello di security governance globale alternativo a quello statunitense e di aumentare la propria credibilità e affidabilità. In altre parole, la Cina vuole definitivamente affermare il carattere globale della propria azione anche sotto il profilo della sicurezza. Per fare ciò, Pechino ha bisogno di socializzare la moltitudine di attori con cui interagisce all’idea che la Cina sia una potenza responsabile, rispettosa degli interessi e delle scelte altrui ma consapevole dell’importanza di una rete di relazioni stabili, sicure e cooperative, del Tianxia confuciano e non celatamente sinocentrico proposto da Zhao Tingyang. Per essere considerata un attore responsabile e su cui fare affidamento e per tutelare l’interesse nazionale e gli interessi dei propri cittadini all’estero, la Cina combina aspetti retorici e diplomatici, la GSI, e azioni più concrete, le MOOTW, proprie di un security provider globale. 

L’importanza delle MOOTW è cresciuta parallelamente all’implementazione dei progetti della BRI e, dunque, proporzionalmente all’internazionalizzazione degli investimenti cinesi all’estero e alla crescita delle comunità residenti in questi stessi luoghi: così come in Libia, è diventato ormai fondamentale proteggere persone fisiche e giuridiche cinesi e relativi asset che si trovino in contesti di sicurezza volatili, esposti a minacce asimmetriche, che si tratti del terrorismo indipendentista in Pakistan o del revanscismo uiguro in Afghanistan. Ciò non implica un interventismo estremo dell’EPL, quanto più una maggiore prontezza ed efficacia nello svolgere operazioni di questo tipo. La promozione di partenariati di sicurezza nell’ambito della GSI con paesi destinatari di investimenti cinesi è, parallelamente, coerente con questi stessi scopi ed integra, legittimandole, eventuali operazioni che l’EPL o una delle Private Security Companies cinesi eseguirebbe.

Similmente, elemento retorico-diplomatico ed elemento operativo si integrano nel perseguire l’obiettivo di migliorare e testare le capacità operative dell’EPL in vista di un impiego in scenari vitali per la Cina, fra tutti Taiwan e relativo Stretto, Mar Cinese Meridionale e stretto di Malacca. In tal senso può, infatti, essere giustificata la sempre crescente partecipazione cinese ad operazioni di peacekeeping sotto egida ONU, o, allo stesso modo, il dispiegamento di una task force antipirateria nel golfo di Aden. Proprio le operazioni di quest’ultima, che comunque servono un più specifico scopo di tutela delle rotte commerciali, dipendono in gran parte dalla base logistica della Marina dell’EPL a Djibouti, paese con cui, nel 2016, la Cina ha stretto una partnership di sicurezza. Nulla esclude che, proprio con la GSI, nuove partnership offrano la possibilità alle componenti dell’EPL di operare all’estero con la legittimazione e il supporto degli Stati prossimi al teatro operativo. 

Risulta da questi esempi importante l’intersezione tra GSI e riforma delle MOOTW che, per quanto indipendenti, rappresentano dispositivi complementari se analizzati nell’ottica della strategia che la Cina sta seguendo in un momento globale sì profondamente instabile, ma anche fecondo di opportunità per una potenza che cerca consenso e riconoscimento del proprio ruolo di fornitore di sicurezza.

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