Negli ultimi anni i Balcani occidentali hanno assistito alla crescita dell’influenza della Cina, che ha fatto il suo ingresso nella regione affianco ad attori storici come Russia e Turchia. Come noto, Pechino già rappresenta la seconda economia mondiale e sta gradualmente rimodellando in direzione revisionista la sua postura esterna, interpretando il suo ruolo internazionale secondo modalità più assertive dettate da ambizioni ampie.
In questo contesto, i Balcani occidentali rappresentano un’area sempre più significativa per la proiezione cinese. In particolare, la Cina è diventata un attore regionale “inaspettato” grazie soprattutto alla sua Belt and Road Initiative (BRI) in quanto questo progetto avviato nel 2013 – che prevede la creazione di una rete di collegamenti infrastrutturali per terra e per mare attraverso l’Eurasia – trova nei paesi balcanici un connettore geografico tra Mediterraneo ed Europa centrale e un ponte tra Europa occidentale e massa continentale eurasiatica. La presenza cinese nella regione è contraddistinta principalmente da un mix di iniziative di soft power e investimenti economico-infrastrutturali. Oggi, tutti i paesi dei Balcani occidentali ad eccezione del Kosovo – di cui Pechino non riconosce l’indipendenza – fanno parte dell’iniziativa 14+1 (China-CEEC), volta a facilitare il movimento delle merci cinesi da vari porti dell’Europa meridionale verso l’Europa settentrionale attraverso i Balcani. I prestiti e gli investimenti cinesi per il finanziamento di progetti infrastrutturali sono fortemente incoraggiati nei paesi dei Balcani occidentali anche perché non sono soggetti a rigidi standard, come quelli previsti dal Western Balkans Investment Framework (WBIF) promosso dall’UE.
I sei paesi dei Balcani occidentali che ancora non appartengono all’UE – Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia – rappresentano economie dall’alto potenziale di sviluppo. Con il consueto intuito, nel periodo compreso tra 2009 e 2021 la Cina ha investito 32 miliardi di euro nella regione. Nella sola Serbia, i suoi investimenti hanno raggiunto i 10,3 miliardi di euro. D’altronde, la partnership sino-serba è stata sancita anche dal sostegno di Pechino alle rivendicazioni di Belgrado sul Kosovo e dal sostegno serbo alla politica unitaria della Cina nei confronti di Taiwan, Hong Kong, Tibet e Xinjiang. Nonostante l’afflusso di capitali cinesi, tuttavia, l’UE rimane il principale partner economico, con il 70% degli Investimenti Diretti Esteri (IDE) totali e l’81% delle esportazioni.
Ad ogni modo, a differenza dell’UE, la Cina si è presentata come un investitore pragmatico, apparentemente disinteressato ad ingerire negli affari politici interni dei suoi partner e disposto ad ignorare alcune criticità diffuse nell’area come corruzione, malgoverno e precarietà dello Stato di diritto. Se in un primo momento l’attenzione di Pechino si era soffermata sulle infrastrutture di trasporto, successivamente il suo interesse si è esteso anche ai settori dell’industria, dell’energia, delle telecomunicazioni e dell’IT. A questo interesse generale hanno fatto seguito iniziative concrete come prestiti e investimenti nei confronti dei paesi balcanico-occidentali, che ora rischiano di cadere nella trappola del debito (debt-trap) cinese in caso di insolvenze, prima pericolosa tappa verso un’eventuale “vassallizzazione” nei confronti di Pechino.
Chi, invece, ha deciso di operare nell’area balcanica non solo come investitore, dal punto di vista quindi economico-commerciale, ma anche politico-diplomatico è l’Italia. Recentemente Roma si è rilanciata nel ruolo di interlocutore preferenziale nel tentativo di favorire la ripresa del dialogo in occasione della controversia fra Belgrado e Pristina rispetto alla “guerra delle targhe” e alla questione delle elezioni comunali nel Kosovo del Nord. Partecipa, inoltre, al cosiddetto “Quintetto” – con anche Regno Unito, Germania, Francia e USA – che lavora per facilitare il dialogo serbo-kosovaro. In altre parole, l’Italia ha scelto di adottare una linea di maggiore visibilità rispetto al passato nei Balcani occidentali. Diverse sono le testimonianze concrete di tale atteggiamento da “Sistema-Paese”, tra cui l’organizzazione dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in collaborazione con l’ICE, del Business and Science Forum che si è tenuto a Belgrado il 21 e 22 marzo.
Ma il rilancio della proiezione italiana nei Balcani occidentali non può essere circoscritto alla sola Serbia, per quanto la posizione di quest’ultima in politica estera lasci sempre l’UE sul chi va là. Un incontro ancora più significativo, infatti, si è tenuto a Roma lo scorso 3 aprile. La Riunione ministeriale sui Balcani Occidentali si è aperta con l’intervento, in videocollegamento, della presidente del Consiglio Giorgia Meloni che, dopo aver salutato i ministri degli Esteri di Serbia, Albania, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia del Nord e Kosovo, quello svedese in qualità di presidente di turno dell’UE, e il Commissario per il Vicinato e l’Allargamento ha ribadito l’importanza strategica dell’area e chiarito l’obiettivo di voler “portare più Italia dal punto di vista politico, economico e culturale in quanto tutto ciò che succede al di là dell’Adriatico ha un riflesso immediato su di noi”. L’Italia, pertanto, conferma la sua responsabilità di garante del processo di integrazione europea dell’area, che dalla prospettiva di Roma produrrebbe una maggiore sicurezza per l’intero continente. Non più solo nei confronti di traffici illeciti, pericolo del terrorismo e immigrazione clandestina, ma anche per il contenimento dell’influenza di potenze come Cina o Russia che attualmente si prefiggono di modificare quell’ordine internazionale di cui l’Italia è uno dei principali garanti.
Al termine del meeting, il ministro Tajani ha ribadito la nuova strategia del governo italiano nel voler assumere un ruolo più attivo nell’area balcanica, giocando anche un ruolo per conto dell’Europa. Tra i principali temi affrontati, il rafforzamento del primo accordo tra Pristina e Belgrado, la lotta all’immigrazione clandestina, la volontà di organizzare nuovi Business Forum, la transizione energetica e la presenza delle forze italiane nell’area di Kosovska Mitrovica, in Bosnia-Erzegovina e in Albania.L’impegno multidirezionale di Roma è stato salutato positivamente dai ministri balcanici presenti che, tuttavia, si sarebbero lamentati dell’assenza italiana negli anni addietro. Un lavoro che il MAECI intende portare avanti anche in sinergia con SIMEST, società del gruppo CDP che dal 1991 si occupa di assicurare l’operato degli imprenditori italiani all’estero. In considerazione dell’importanza strategica dei Balcani, SIMEST ha messo a punto un doppio supporto per le imprese italiane interessate all’area: la destinazione di una tranche di 200 milioni di euro a supporto di progetti di consolidamento, innovazione ed espansione e l’apertura di una sede SIMEST nella regione balcanica.