È dalla sua fondazione che la Repubblica Popolare della Cina guarda con grande interesse all’Africa. Le relazioni sino-africane si rafforzano a seguito della Conferenza afro-asiatica di Bandung il cui dibattito stimolò il processo di decolonizzazione e consolidò il fronte delle ex colonie, favorendone la cooperazione economico-politica. Nella dichiarazione finale si proclamò l’eguaglianza fra tutte le Nazioni, la lotta al colonialismo, il rispetto dell’autodeterminazione dei popoli, l’uguaglianza fra gli Stati e la non ingerenza nei reciproci affari interni.
Successivamente la Cina ha fornito sostegni molto generosi ai Paesi africani e ha intrapreso grandi opere infrastrutturali. La contropartita fu il sostegno attivo per il riconoscimento della legittimità del Governo di Pechino e la sua ammissione all’ONU, con esclusione di quello di Taipei, che fin dalla fondazione dell’ONU rappresentava idealmente tutta la Cina, anche se il suo controllo era limitato alla sola Taiwan.
“Forum On China Africa Cooperation” (FOCAC)
L’Africa rappresentava un importante fonte di risorse naturali cui la Cina, per sostenere la propria crescita interna, doveva assicurarsi l’accesso, spesso ripagato con la costruzione di grandi infrastrutture. Altro motivo di interesse era la creazione di un mercato per le proprie aziende.
È a questo punto che il Governo cinese ritenne opportuno dare una veste istituzionale al proprio impegno in Africa.
La soluzione fu quella di un forum internazionale volto alla promozione delle relazioni diplomatiche, commerciali e di investimento tra Cina e Paesi africani.
Il 1° FOCAC dà l’avvio alla definizione di obiettivi politici comuni e di reciproco sviluppo.
Per competere con i potenti e radicati interessi in Africa delle Nazioni del blocco occidentale, la Cina offrì un pacchetto unico di incentivi economici, politici e di sicurezza al fine di poter facilitare il suo ingresso nelle principali regioni ricche di risorse naturali.
Questione rilevante emersa nel forum è stata la cancellazione dell’ingente debito che 31 Stati africani avevano verso la Cina.
Il FOCAC, insomma, rifletteva e ha continuato a riflettere nelle successive edizioni i principi chiave che guidano gli obiettivi della politica estera cinese.
I risultati sono stati molteplici:
- si rafforzano e si consolidano le relazioni con i Paesi africani;
- si ribadisce che gli interessi cinesi in Africa si basano su vantaggi reciproci, secondo un rapporto paritetico finalizzato allo sviluppo del commercio e degli investimenti, senza interferire negli affari di politica interna.
Ciò ha due importanti effetti. Il primo è quello di imporre ai governanti africani di astenersi dal criticare la Cina per le sue politiche interne o per i modi di realizzazione degli investimenti nei loro Paesi, il secondo consente alla Cina di sottrarsi ad eventuali interventi di risoluzione delle frequenti e sempre complicate crisi africane.
I successivi forum, divenuti canale fondamentale di dialogo, hanno sancito una sempre maggiore presenza cinese in Africa.
Nel decennio 2003-2012, gli scambi commerciali passano da 20 a 200 miliardi di dollari, con una crescita annuale del 16%. Nello stesso periodo l’Africa vede gli scambi commerciali con la Cina passare dal 3,8% al 16,1%.
Il volume degli scambi relativi al solo 2012 evidenzia che le attività commerciali sono concentrate solo in pochi Paesi africani: più della metà delle esportazioni cinesi è diretta verso Sudafrica, Nigeria, Egitto e Algeria, mentre l’87% delle importazioni dall’Africa (petrolio, gas naturale e minerali) provengono da Sudafrica, Angola, Libia, Repubblica del Congo e Repubblica Democratica del Congo.
Molte Nazioni africane, prive di materie prime, avevano e hanno grandi deficit commerciali con Pechino. In queste Nazioni lo squilibrio del valore dei beni scambiati tende a peggiorare con l’aumento complessivo degli scambi. È esemplare il caso del Ghana che, con un deficit commerciale verso la Cina di 70 milioni di dollari nel 2003, ha concluso il 2012 con un “passivo monstre” di 4 miliardi di dollari, nonostante gli sforzi del Governo cinese, tesi a incoraggiare le sue stesse imprese a investire nel Paese e ad acquistarne beni e prodotti, abbiano generato una crescita delle esportazioni ghanesi pari al 77% annuo.
La conseguenza è che lo strapotere della Cina in Africa è assoluto, come dimostrano i dati sul commercio bilaterale: nel 2021 l’interscambio totale fra Africa e Cina ha raggiunto i 254,3 miliardi di dollari, con una crescita annua del 35,3%, mentre l’Africa ha esportato verso la Cina 105,9 miliardi di dollari, con una crescita del 43,7% annua.
Altro aspetto sono gli investimenti infrastrutturali: le banche di sviluppo cinesi hanno prestato più del doppio rispetto a quelle di Stati Uniti, Germania, Giappone e Francia messe insieme e, nel periodo 2007-2020, si può rilevare che quelle cinesi hanno erogato finanziamenti per 23 miliardi di dollari, mentre le istituzioni finanziarie euro-americane hanno erogato solo 9,1 miliardi di dollari.
Il fondamento del “successo” cinese in Africa va ricercato in due concomitanti ragioni sostanzialmente politiche: la prima è che la Cina non è stata una potenza coloniale, la seconda e più importante è l’aver applicato una politica di non ingerenza negli affari interni dei Paesi nei quali ha investito.
La Cina, tuttavia, ha costruito in Africa anche un solido sistema fondato soprattutto su tre punti: il debito, la presenza militare, l’esportazione della manodopera cinese.
Il debito
La Cina concede sì prestiti in denaro ma non a fondo perduto: essa si garantisce la restituzione ponendo clausole che sovente sono capestri per il debitore.
Casi esemplificativi sono quelli del porto di Mombasa e di Gibuti.
Il porto di Mombasa è stato utilizzato come garanzia per un prestito di 3,2 miliardi di dollari: se il debito non fosse ripianato passerebbe sotto il controllo della Exim Bank of China.
A Gibuti, ove ha sede la prima base militare permanente della Cina fuori dal territorio nazionale, Pechino ha investito 15 miliardi di dollari per lo sviluppo del porto e detiene l’82% del debito estero del piccolo Stato: in caso di inadempienza, Gibuti potrebbe essere costretto a cedere il controllo del porto di Doraleh, ubicato in posizione strategica per il controllo del traffico marittimo.
La presenza militare
Dal 2001, il coinvolgimento cinese in operazioni di peace-keeping in Africa è cresciuto. Al momento la Cina è il membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU con il numero maggiore di truppe impiegate, concentrate nei Paesi suoi principali fornitori di risorse naturali.
Da ciò la necessità che gli interessi della Cina in Africa siano validamente difesi con l’intensificarsi della sua presenza militare che ha la principale base a Gibuti, check point strategico per il traffico marittimo da e verso il Canale di Suez.
È evidente che la Cina vuole altre basi in Africa per promuovere i suoi interessi geostrategici, e logicamente intende stabilire la sua prima presenza militare permanente sull’Oceano Atlantico, probabilmente in Guinea Equatoriale, dove i cinesi hanno messo verosimilmente un occhio sull’importante porto della città di Bata.
Altro campo in cui la Cina ha fatto grandi passi è quello dell’industria della difesa, con enormi profitti derivanti dalla vendita di armamenti. Uno dei principali clienti è proprio l’Africa.
L’esportazione della manodopera cinese
La Cina, esporta in Africa anche manodopera, soprattutto agricola. Il flusso migratorio dalla Cina è esploso negli ultimi anni e prosegue a ritmi vertiginosi. I numeri esatti di questa migrazione non si conoscono.
L’Africa è posta da parte della Cina innanzi a una forma di colonialismo “soft”, sì ricco di promesse (investimenti, progresso e benessere), ma accompagnato da una immigrazione costante soprattutto di contadini senza lavoro che aprono per lo più attività nel commercio al dettaglio di beni e manufatti a basso costo, prodotti in Cina.
VIII FOCAC
Lo svolgimento dell’8° FOCAC, ha rivestito grande importanza, in quanto nell’attuale contesto tutti gli eventi recenti, a partire dallo scoppio della pandemia da covid in poi, obbligano a pensare a nuove strategie e priorità per il futuro.
Nel corso dei lavori, il tema “sicurezza” è stato subito posto in evidenza. Da parte africana è emersa la necessità di contenere l’enorme debito ed è stato richiesto alla Cina di essere “voce forte” nella lotta al terrorismo sviluppatosi nel Sahel.
Nonostante la richiesta sia stata netta, risulta difficile, in questo complesso momento, che la Cina accetti un ruolo militare diretto nel Sahel.
Nel corso dell’apertura del forum il Presidente Xi ha annunciato un forte supporto alla campagna di vaccinazione contro il covid in Africa.
La Cina contribuirà anche allo sviluppo dell’agricoltura con alcuni progetti speciali con percorsi di formazione e sarà istituita una linea di credito di 10 miliardi di dollari, sollecitando investimenti delle imprese cinesi per altri 10 miliardi.
Xi ha anche annunciato un impegno di 10 miliardi di dollari per sostenere le esportazioni africane verso la Cina, menzionando un “ampliamento” delle esenzioni doganali per l’accesso ai mercati cinesi a beneficio dei “paesi più poveri”.
È evidente che l’8° FOCAC segna anche un grande mutamento nelle priorità della Cina. Una delle indicazioni più chiare in tal senso è venuta dall’individuazione di nuove aree quali l’innovazione digitale, lo sviluppo agricolo.
Conclusioni
Il grande risultato dell’8° FOCAC è il cambiamento nell’approccio della Cina all’Africa, dal denaro contante per le infrastrutture alla cooperazione morbida sul commercio e sul capitale umano.
Dopo 21 anni e 8 forum la percezione che si ha è quella di un rapporto fortemente sbilanciato con la Cina che sembra trarre maggiori benefici dal partenariato rispetto a quelli tratti dai partner africani. Detto in soldoni, i Paesi africani esportano in Cina materie prime a basso costo e importano dalla Cina costosi prodotti finiti.