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Il cibo come arma geopolitica: la vera posta in palio dell’accordo sul grano

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Le minacce russe di sganciarsi dall’accordo sul grano in seguito agli attacchi contro le proprie navi nel porto crimeiano di Sebastopoli rimettono al centro dei riflettori la componente alimentare del conflitto. Il “ricatto” sui cereali come mezzo per scongiurare un eccessivo coinvolgimento diretto occidentale. Erdogan sempre di più interlocutore non bypassabile nel fragile negoziato russo-ucraino

“In seguito all’atto terroristico compiuto dal regime di Kiev con la partecipazione di esperti britannici contro navi della flotta del Mar Nero e navi civili impegnate per garantire la sicurezza dei corridoi del grano, la Russia sospende la sua partecipazione all’attuazione dell’accordo sull’esportazione di prodotti agricoli dai porti ucraini”. Questa la dichiarazione sull’agenzia di stampa TASS del ministro della difesa della Federazione Russa, Sergej Šojgu, in data 29 ottobre.

Riassumendo gli eventi, nella notte tra il 28 e il 29 ottobre sedici droni, nove aerei e sei sottomarini, hanno attaccato alcune navi civili e della Flotta del Mar Nero: solo tre di essi avrebbero raggiunto effettivamente la baia, causando lievi danni alla nave dragamine Ivan Golubets. Immediate le reazioni di tutte le parti in causa: Andriy Yermak, capo dello staff del presidente Zelensky, ha imputato alla Russia il “fittizio attacco terroristico alle proprie stesse infrastrutture”, mentre il ministro degli esteri Kuleba lo ha definito un “finto pretesto” per affossare l’accordo. I britannici, accusati dai russi di essere non solo co-responsabili nell’organizzazione dell’attacco e dell’addestramento a tal fine del 73esimo Centro Speciale per le Operazioni Marittime, ma anche del sabotaggio del gasdotto Nord Stream 2, hanno parlato di “false rivendicazioni di portata epocale”. Molto preoccupati dalle possibili conseguenze internazionali di una possibile interruzione del flusso di grano in uscita dai porti del Mar Nero, il segretario di stato americano Blinken ha accusato la Russia di “trasformare in arma il grano”, costringendo “famiglie di tutto il mondo a pagare di più per il cibo o morire di fame”.

È servita nuovamente la mediazione del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che già era stato protagonista a luglio della firma del primo accordo insieme al Segretario Generale delle Nazioni Unite Gutierrez, per riportare la Russia al tavolo delle trattative e convincerla a desistere dalle sue precedenti intenzioni. Confermandosi ancora una volta l’unico in grado di parlare, ed essere persuasivo, con entrambe le parti coinvolte nel conflitto, come confermano gli attestati di stima personali nelle dichiarazioni ufficiali di Mosca e Kiev

Il fatto che l’accordo sul grano ucraino sia stato nuovamente utilizzato come arma di ricatto, segnala quanto peso specifico esso abbia all’interno delle molteplici dinamiche internazionali scatenate dal conflitto. Visto anche che la sua naturale scadenza è prevista per il 19 novembre, e il suo rinnovo appare ad oggi per niente scontato. (https://tass.com/world/1532115) Detto questo, nessuna delle due parti vuole presentarsi al mondo come quella che desidera impedire l’approvvigionamento di grano e oli vegetali ucraini alle decine e decine di paesi che su di esse fanno critico affidamento. Parliamo specialmente di paesi dell’Africa Sub-sahariana e del Sud-Est asiatico, che in vari casi dipendono per più di un terzo del loro fabbisogno alimentare nazionale dalle importazioni cerealicole coperte dall’accordo. Una loro brusca interruzione porterebbe in breve tempo ad una crisi alimentare interna serissima, con gravi ripercussioni sul già fragile ordine interno e, nel caso dei paesi come Uganda, Mauritania, Somalia e Eritrea, un’emigrazione di massa verso i paesi europei già di per sé in grosse difficoltà economiche.

Putin, come le cancellerie occidentali, è perfettamente consapevole del soft power che è in grado di esercitare a livello internazionale sfruttando questa situazione, specialmente in sede di Assemblea Generale ONU, dove molti dei paesi sopracitati sono restii a condonare le sanzioni occidentali proprio per paura delle ritorsioni russe in tema alimentare. Anzi, le ultime dichiarazioni congiunte di Mosca e Ankara sono proprio mirate ad ingraziarsi agli occhi dei governi e delle popolazioni che maggiormente stanno subendo le conseguenze della crisi alimentare. Dopo aver denunciato il fatto che solo il 3-4% del grano esportato raggiunga effettivamente i paesi più bisognosi, sottintendendo quindi l’avidità occidentale, Putin ed Erdogan si sarebbero accordati per inviare loro il grano gratuitamente, anche dalle proprie scorte nazionali se necessario. Tale generosità cela ovviamente interessi geopolitici centrali nei progetti di entrambi i capi di stato, i cui interessi in Africa sono sempre maggiori e hanno tutto l’interesse a porsi come loro benefattori concreti, a differenza della presunta ipocrisia occidentale.

Il gas e il grano, più che i missili e i carri armati, sembrano oggi essere le armi più forti a disposizione di Mosca, che non si è fatta né si farà scrupoli nello sfruttarli come base negoziale per ribaltare la guerra economica sui partner occidentali dell’America, messi in difficoltà dall’inflazione e dal latente rischio migratorio sulle proprie coste. Legare a sé in maniera sempre più forte tanti paesi in via di sviluppo che necessitano del grano per la propria sicurezza alimentare è fondamentale per tenere più circoscritto possibile il numero di paesi ostili alla Russia e che aderiscono alle sanzioni occidentali. In un futuro di “cortina d’acciaio” con l’occidente, la penetrazione politica e militare nel Continente Nero, nel quale le milizie del Gruppo Wagner sono già un attore molto presente, si rivelerà chiave per mantenere alta la pressione sull’Alleanza Atlantica anche dal versante Sud

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