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Servizi segreti americani: dove sono finite le spie della CIA?

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La CIA (Central Intelligence Agency) – principale agenzia statunitense di spionaggio che ha partecipato a numerose operazioni segrete sin dalla sua creazione – sembra essere in allarme a causa delle eccessive perdite di agenti segreti sotto copertura all’estero.

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La Central Intelligence Agency sembra trovarsi in una situazione difficoltosa. Il New York Times racconta in un articolo pubblicato lo scorso 5 ottobre che, nelle scorse settimane, l’agenzia ha diramato un cablogramma – classificato come top secret – dalla sede centrale di Langley, in Virginia, alle sue basi e stazioni sparse in tutto il globo. L’elevato livello di segretezza trova giustificazione nel fatto che, all’interno della comunicazione, la CIA ha sottolineato che il numero di informatori – reclutati dagli statunitensi allo scopo di spiare e riportare loro informazioni utili in aree di crisi – che vengono catturati, compromessi o uccisi, ad oggi, drammaticamente elevato.

Sempre all’interno di questo messaggio viene riportato il fatto che il Counterintelligence Mission Center (CIMC) – unità della CIA che si occupa di operazioni di counterintelligence – ha identificato una dozzina di casi negli ultimi anni in cui degli informatori stranieri sono stati uccisi, arrestati o comunque compromessi. Inoltre, anche i numeri specifici degli agenti eliminati da parte delle agenzie straniere dei competitor di Washington vengono menzionati all’interno della comunicazione, elemento che solitamente gli ufficiali che trattano le operazioni di counterintelligence tendono a non condividere, specialmente in comunicazioni a livello mondiale come questa. Il messaggio ha poi sottolineato che l’agenzia di spionaggio sta riscontrando numerose difficoltà in termini di reclutamento di nuovi agenti da inviare sul campo, soprattutto all’interno di aree con un certo tasso di pericolo come Pakistan, Iran, Russia e Cina. Specialmente in queste zone, infatti, le reclute della CIA sono state prese di mira in numerose occasioni e, in qualche caso, compromesse venendo trasformate in double agents, ossia in agenti che conducono a loro volta un contro-spionaggio nei confronti del loro Paese di appartenenza.

In verità, già da qualche anno l’attività degli agenti della CIA sembra essersi trovata “sotto attacco”. Dal 2016, ad esempio, si parla della “sindrome dell’Havana”, un misterioso malessere che colpiva le spie ed i diplomatici statunitensi. I primi casi rilevati furono proprio quelli di alcuni agenti della CIA (inizialmente una trentina) che iniziarono a manifestare una notevole varietà di sintomi, a partire da un’intensa pressione in testa, solitamente preceduta da un suono simile ad un ronzio. Se inizialmente si speculava rispetto alla possibilità che fosse il governo cubano ad essere responsabile del malessere di numerosi agenti, con il passare del tempo questa teoria venne meno con l’aumento di nuovi casi in tutto il mondo. 

In questo caso specifico non viene fatto direttamente riferimento a tale sindrome, ma la sensazione che la CIA sia notevolmente preoccupata di essere “sotto attacco” persiste. In effetti, specialmente a seguito del cablogramma emesso dalla CIA, sembra che ancora oggi il timore di un declino nella professionalità e nelle pratiche di addestramento sia palpabile. È innegabile, ad ogni modo, che gli stati citati all’interno della comunicazione segreta siano di importanza cruciale, tanto per motivi strategici quanto geografici ed economici.

Secondo il documento dell’agenzia di spionaggio, uno dei suoi errori più letali è stato proprio sottovalutare le capacità delle intelligence e dei servizi di controspionaggio degli altri paesi. Si pensi, ad esempio, all’ISI (Inter-Services Intelligence) – l’agenzia di intelligence pakistana – spesso definita ironicamente come frenemy. Oltre ad essere da sempre considerata efficiente e preparata, specialmente nell’individuare spie estere (tra tutte quelle americane), essa ricopre e ricoprirà un ruolo fondamentale all’interno delle relazioni internazionali degli Stati Uniti, soprattutto in questo momento storico, con il ritorno al potere dei talebani in Afghanistan. Il collegamento tra Islamabad, i talebani ed il terrorismo ha radici profonde, e probabilmente sarà di importanza ancora maggiore capire se l’intelligence pakistana di fatto costituirà una minaccia o meno – per le spie americane della CIA – all’interno del cosiddetto “Grande gioco”. Tuttavia, non sono da meno gli eredi russi del KGB, unitamente al Ministero delle informazioni e della sicurezza nazionale iraniano, che viene considerato la principale minaccia asiatica per la sua capacità di scovare agenti e collaboratori, arrivando talvolta anche alla condanna a morte. Dello stesso avviso sono i servizi segreti cinesi, motivo per cui la CIA ha creato una apposita task force “anti Pechino”, la China Mission Center. Per le spie americane, in effetti, risulta più difficile ottenere informazioni riservate sulla Repubblica Popolare Cinese. Pechino sembra una sorta di fortezza inespugnabile: questo, secondo alcune fonti, è dovuto sia dalla grande capacità da parte del PCC di non fare trapelare informazioni sia dall’efficienza dei servizi militari. Da ultimo, ma non meno importante, l’alto livello tecnologico di cui la Cina dispone, le permette di contrastare in maniera efficace lo spionaggio esterno.

Questa grande capacità tecnologica viene sottolineata anche all’interno del cablogramma diramato dalla CIA, che evidenzia come i suoi rivali sappiano sfruttare a loro vantaggio un maggiore sviluppo tecnologico. D’altro canto, questo ha reso molto più semplice sia l’individuazione degli informatori sia seguire i loro spostamenti, specialmente grazie a sistemi, come l’intelligenza artificiale ed il riconoscimento facciale, ma anche la biometria e l’hacking. Successivamente, cablogramma evidenzia altri problemi che negli ultimi anni hanno messo a repentaglio il lavoro dell’agenzia di intelligence americana: il peggioramento delle attività di addestramento, l’eccessiva dipendenza dalle fonti, il reclutamento troppo rapido di nuovi agenti e la poca attenzione prestata ai rischi, dando la precedenza alla missione piuttosto che alla sicurezza (“mission over security”). Rispetto a quest’ultimo punto, infatti, alcune fonti sostengono che ultimamente la CIA è si è concentrata più sull’esecuzione delle operazioni di antiterrorismo piuttosto che sulla valutazione del rischio per i propri agenti.
La perdita di informatori all’interno dei servizi segreti americani non è di per sé un problema nuovo. Quello che però il cablogramma diramato dalla CIA ha evidenziato è l’urgenza di tale problema. Difficilmente qualcosa trapela da parte della CIA senza che questo sia intenzionale il che, come ha sottolineato Daniel Hoffman – ex ufficiale della CIA – trova conferma nel fatto che la comunicazione sia stata inviata ad ogni ufficio piuttosto che ad una stazione in particolare. In conclusione, è di fondamentale importanza che la sicurezza torni ad essere il centro di ogni missione della CIA, soprattutto nel momento in cui vengono reclutati nuovi informatori. E questo soprattutto perché, come numerosi studi sottolineano, nonostante la tecnologia a disposizione, la spia che agisce direttamente sul campo continuerà ad essere di fondamentale importanza all’interno dello scacchiere politico internazionale.

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