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TematicheCina e Indo-PacificoChina is always watching: la competizione ibrida sino-indiana

China is always watching: la competizione ibrida sino-indiana

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Negli ultimi anni, soprattutto a partire dal 2020, le tensioni già presenti tra Repubblica Popolare Cinese e India si sono via via intensificate, portando questo conflitto – si parla perlopiù di scontri – a svilupparsi su più livelli per via dell’impiego di ulteriori e nuove strategie, a volte ispirate dalle azioni di altre potenze, altre volte pensate e realizzate tramite l’utilizzo di tecnologie innovative, cosa che ha portato a definirlo come guerra ibrida.

Una disputa decennale

L’interesse cinese per le zone di confine con l’India non è nuovo, basti pensare all’invasione della regione del Tibet degli anni ’50. Nel terzo millennio, l’ambizione cinese di egemonia sul continente non ha conosciuto alcuna battuta d’arresto ma anzi si è ampliata includendo nuovi territori nell’arco dei decenni. In particolare, si tratta delle aree lungo la linea di controllo effettivo, confine stabilito con la tregua del 1962 corrispondente a circa 2100 miglia su cui le dispute non sono mai terminate, e che coinvolge le regioni del Ladakh, Arunachal Pradesh, Assam, Sikkim e Kashmir; allo stesso tempo, le isole e i porti strategici dell’Oceano Indiano sono di uguale interesse. Le ragioni non sono solamente legate a questioni territoriali, di confini o di risorse; infatti, la Cina teme che l’India possa raggiungere il suo livello di sviluppo tecnologico e industriale, traendo forza dall’espandersi della sua popolazione che ha praticamente ormai raggiunto quella cinese – contano rispettivamente 1.448 miliardi e 1.402 miliardi di persone secondo Worldometer –, nonché vuole provare a minare il più possibile i rapporti del Paese con gli Stati Uniti. 

Le strategie ibride secondo la Cina

Con il termine guerra ibrida si fa riferimento ad una “strategia militare, caratterizzata da grande flessibilità, che unisce la guerra convenzionale, la guerra irregolare, e la guerra fatta di azioni di attacco e sabotaggio cibernetico”, stando alla definizione dell’Enciclopedia Treccani. La Cina, prendendo esempio da altri conflitti, soprattutto gli interventi militari russi in Crimea nel 2014, si è impegnata nella modernizzazione delle sue forze armate, così come nell’impiego di strategie irregolari e mediatiche accanto a quelle convenzionali, contribuendo alla trasformazione degli scontri in corso in guerre ibride. Le principali tecniche utilizzate dalla Cina nelle aree di interesse indiane riguardano le operazioni militari della Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione Cinese in collaborazione con la cosiddetta Milizia marittima, un corpo irregolare di migliaia di pescherecci dotati di armi offensive. La tattica più utilizzata è quella del salami slicing, ovvero la realizzazione di operazioni non lineari mirate ad ottenere sempre maggiori porzioni di territorio, insieme alla cosiddetta cabbage tactic, la quale invece consiste nell’accerchiamento della zona di interesse per eliminare i suoi contatti con l’esterno e portare eventualmente alla sua caduta in mano nemica. 

Cyber warfare come principale strategia di guerra

Negli ultimi tempi però la componente più interessante e maggiormente ricorrente nel contesto del conflitto sino-cinese è la guerra informatica. Questa include vari aspetti: la mobilitazione della popolazione, in quanto il governo cinese ha promosso la creazione di unità composte da studenti e civili, chiamati anche cyber-warrior, le quali hanno un ruolo attivo all’interno delle varie operazioni informatiche; il controllo sempre da parte del governo delle compagnie di telecomunicazione, anche se queste risultano formalmente indipendenti, che sono presenti e operano in tutto il territorio indiano. Famoso è stato il caso riguardante Zenhua Data Information Technology Co. Limited esploso nel settembre 2020, in un momento di grande tensione lungo la linea di controllo effettivo, quando è stato rivelato che l’azienda, la quale si occupa di recuperare dati e i cui maggiori clienti sono il Ministero Cinese per la Sicurezza di Stato e l’Esercito Popolare di Liberazione Cinese, stava attivamente monitorando attraverso i suoi database le attività di oltre 10.000 indiani, inclusi il Presidente, il Primo Ministro, e moltissime altre personalità di rilievo per la politica del Paese, nonché le loro famiglie. Le operazioni sono state condotte in collaborazione con l’intelligence cinese, attraverso la raccolta di dati relativi a social network, dettagli bancari e attività politiche di quelli che erano considerati i principali obiettivi sensibili per poter avere accesso a tecnologie o istituzioni; un’indagine condotta da Balding, Potter e altri ha stimato che almeno il 20% delle informazioni fosse stata raccolta in modo illegale. 

La risposta indiana  

Il maggiore problema che si presenta in questa situazione è che le leggi indiane sulla privacy che si applicano non sono sufficienti a contrastare questo tipo di attività informatiche, così come non risulta essere una strategia efficace quella di bloccare ed eliminare dal mercato le varie applicazioni cinesi sospette di tracciare e trattare in modo improprio i dati sensibili degli utenti. L’India ha iniziato ad adottare queste misure sempre nel 2020 per via dell’escalation di tensioni, iniziando con l’inserimento nella lista nera di 59 app (incluso TikTok), arrivando ad un numero di 321 a metà febbraio 2022. Inoltre, gli strumenti tecnologici di cui Nuova Delhi dispone sono inferiori rispetto a quelli cinesi, avendo fatto l’India affidamento sulle tecnologie militari russe, ed è anche per questo che lo Stato indiano è parte del Dialogo di Sicurezza Quadrilaterale (Quad), un’alleanza costituita insieme ad Australia, Stati Uniti e Giappone che ha intensificato la propria attività a parte dal 2020. L’obiettivo primario comune delle nazioni coinvolte è: to display unity, resolve and collective strenght as a response to the increasing authoritarian challenge to the world order, con riferimento alla minaccia cinese. Nonostante gli interessi convergenti, la coalizione non si presenta però estremamente compatta; l’approccio dei diversi Stati alla questione differisce in modo abbastanza consistente, soprattutto quello degli Stati Uniti, i quali vedono la situazione più come una lotta tra democrazia e autoritarismo, regimi liberali contro regimi illiberali. L’assetto di un conflitto ideologico non è in ugual modo condiviso dagli altri membri, in particolar modo dall’India, che ha appunto legami stretti anche con la Russia e non vuole rovinare i rapporti che la legano al Paese, cosa che dall’altro lato contribuisce invece a infastidire gli USA. In un contesto così frammentato, in cui l’India continua ad essere vittima della supremazia cinese nonostante i continui sforzi per contrastarla, è difficile mettere in atto una strategia efficace capace di sovrastare, o perlomeno limitare quella cinese, che mira a sconfiggere il nemico tramite la propaganda e la manipolazione delle informazioni.

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