Dopo mesi di crescenti tensioni tra l’Azerbaigian e la comunità degli armeni del Karabakh e del deterioramento della situazione umanitaria provocato dalla chiusura del corridoio di Lachin, il governo di Baku ha avviato un’operazione militare il 19 settembre volta a disarmare le milizie locali e porre fine all’autogoverno della regione. Questa breve campagna militare, che si è conclusa in una sola giornata, ha portato alla dissoluzione dell’ex Oblast Autonoma del Nagorno-Karabakh.
Le autorità azerbaigiane hanno giustificato l’operazione militare citando la morte di cittadini, sia militari che civili, nei giorni precedenti a causa dell’esplosione di mine recentemente installate presumibilmente dall’esercito di autodifesa locale. Tuttavia, va notato che il dispiegamento di mezzi militari e personale alle frontiere aveva avuto inizio già agli inizi di settembre.
Il Ministero della Difesa dell’Azerbaigian ha diramato un comunicato annunciando l’avvio di un’operazione militare con il fine di distruggere le infrastrutture militari, di dissolvere gli organi di amministrazione e di stabilire il controllo su posizioni strategiche, sottolineando l’impegno a evitare danni alla popolazione civile. Gli scontri si sono svolti principalmente attraverso operazioni aeree con l’utilizzo di droni e missili, e hanno avuto luogo dalle ore 13 locali del 19 settembre alle ore 13 del 20 settembre.
Gli scontri si sono conclusi con la morte di almeno 200 cittadini armeni del Karabakh, tra cui 10 civili, mentre le perdite di Baku non sono ancora state comunicate. Inoltre, 8 peacekeepers russi hanno perso la vita a seguito del bombardamento accidentale del
veicolo militare su cui si trovavano.
Proteste a Yerevan e crescenti ostilità con Mosca
Il Primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ha immediatamente dichiarato che l’Armenia non sarebbe intervenuto a sostegno degli armeni del Karabakh e che non ha legami con le forze armate locali. Queste dichiarazioni hanno scatenato una rapida reazione a Yerevan, dove migliaia di manifestanti si sono radunati davanti al Parlamento e altri edifici governativi, chiedendo le dimissioni di Pashinyan e accusandolo di tradimento e di aver abbandonato i propri connazionali in un momento critico.
Contemporaneamente, si sono verificate proteste davanti all’Ambasciata Russa, con l’accusa al Cremlino di non aver tenuto fede alle sue promesse e di aver abbandonato l’Armenia. In passato, Yerevan e Mosca godevano di stretti legami politici e militari, ma da quando Pashinyan è stato eletto e l’Armenia ha cercato di differenziare la propria politica estera attraverso il rafforzamento di nuove alleanze, in particolare con l’Unione Europea e gli Stati Uniti, i rapporti con la Russia si sono deteriorati notevolmente. L’ultimo motivo di attrito è emerso durante le esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti denominate “Eagle Partner“, che hanno avuto luogo nei pressi di Yerevan dall’11 al 20 settembre. Anche la decisione del governo armeno di aderire alla Corte Penale Internazionale, che ha emesso un mandato di arresto per Putin, ha contribuito ad acuire le ostilità fra i due paesi, e alcuni analisti sospettano che il mancato intervento russo sia una rappresaglia per il progressivo allontanamento dal Cremlino.
Tuttavia, nonostante le forti tensioni personali tra Pashinyan e Putin e la notevole crescita dei sentimenti anti-russi in Armenia, Yerevan continua ad essere fortemente dipendente da Mosca, non solo militarmente ma anche sotto il punto di vista energetico ed economico. L’Armenia rimane formalmente membro di diverse istituzioni economiche e di sicurezza a
guida russa, tra cui il CSTO. Diversi esperti armeni definiscono questa situazione come una presa in ostaggio.
Le tensioni politiche interne all’Armenia hanno il potenziale di aggravare ulteriormente l’instabilità della regione, e l’eventualità della deposizione di Pashinyan, che si è dimostrato un interlocutore favorevole per l’Azerbaigian con il suo recente riconoscimento della sovranità azerbaigiana sulla regione del Karabakh, potrebbe portare al potere una nuova leadership più vicina al Cremlino e meno propensa ad accettare le condizioni di Baku.
Cessate il fuoco e negoziazioni
Il 20 settembre, le parti in conflitto hanno raggiunto un accordo di cessate il fuoco con la mediazione della Russia, unico interlocutore presente, che ha nuovamente dimostrato la sua centralità nel Caucaso. Entrambe le parti hanno concordato il ritiro di tutte le truppe armene dalla regione e il disarmo totale delle milizie locali. Tuttavia, diverse testimonianze indicano che alcuni individui si sono rifiutati di deporre le armi. Questa divisione all’interno della comunità armena del Karabakh ha portato a due posizioni opposte, in cui un gruppo invita a continuare a combattere, mentre l’altro chiede di arrendersi. Nonostante ciò, in un discorso alla nazione la sera del 20 settembre, il presidente Aliyev ha affermato di apprezzare la posizione dell’Armenia durante l’ultima escalation e di aver ricevuto segnali positivi da Yerevan.
La comunità armena del Karabakh e le autorità azerbaigiane si sono accordate per organizzare un incontro con i rispettivi rappresentanti per un round di negoziazioni. L’incontro è avvenuto il 21 settembre nella città di Yevlakh, in Azerbaigian, e si è discusso del futuro della regione. La comunità armena è stata rappresentata da David Melkumyan, membro del Parlamento locale, e da Sergey Martirosyan, Capo del Consiglio di sicurezza della Regione, mentre la delegazione azerbaigiana è stata guidata dal Deputato Ramin Mammadov e da due membri della Rappresentanza Speciale Presidenziale nelle Zone Liberate.
Durante l’incontro, le autorità di Baku hanno presentato piani di reintegrazione della popolazione armena e di ricostruzione delle infrastrutture, mentre la delegazione degli armeni del Karabakh ha richiesto l’invio di aiuti umanitari nella regione, in particolare cibo e carburante.
Quale futuro per la comunità armena?
Attualmente, la questione più preminente riguarda il futuro della comunità armena locale e la necessità di prevenire un esodo di massa da parte dei suoi membri. Affrontare questa questione richiede un impegno significativo da parte dell’Azerbaigian per garantire il rispetto dei diritti dei cittadini armeni residenti nella regione. Per raggiungere questo obiettivo, è fondamentale prendere in considerazione una serie di misure volte a stabilire una coesistenza pacifica e sostenibile. Solo attraverso misure concrete e un approccio inclusivo sarà possibile creare un ambiente stabile e prospero per tutta la regione.
Innanzitutto, l’Azerbaigian dovrebbe considerare l’opzione di offrire una doppia cittadinanza agli armeni locali. Questo consentirebbe loro di mantenere la loro identità culturale, garantendo al contempo i diritti fondamentali e la protezione legale a tutti i membri della comunità armena.
Inoltre, è essenziale promuovere un’ampia autonomia culturale per la comunità armena. Ciò potrebbe includere la possibilità di istituire scuole, istituzioni culturali e religiose armene, in modo da garantire l’accesso ai propri valori culturali e alla lingua madre.
Per stabilizzare la situazione e preparare il terreno per una soluzione a lungo termine, potrebbe essere utile considerare la nomina di leader politici della precedente amministrazione come figure transitorie. Questi leader potrebbero svolgere un ruolo chiave nel facilitare il dialogo e la comprensione tra le due comunità, oltre a contribuire all’instaurazione di un clima di fiducia reciproca.
Infine, per garantire la stabilità e il benessere di tutti i cittadini nella regione, è fondamentale promuovere la riconciliazione e il dialogo tra le comunità armena e azerbaigiana, il che potrebbe essere facilitato attraverso iniziative educative e dialogo interculturale che promuovano la comprensione reciproca e la coesistenza pacifica, parallelamente all’adozione di condanne esemplari per punire episodi di odio etnico