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Il pericolo che il Caso Huawei possa nascondere un affare sensibile di sicurezza nazionale

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Nonostante l’invito dei giorni scorsi del Presidente canadese Justin Trudeau ai giornalisti, a non considerare gli arresti di Kovrig e Spavor come casi collegati al fermo della CEO di Huawei Sabrina Meng Wanzhou, la recente accusa di spionaggio da parte degli Stati Uniti a due cittadini cinesi pone il caso sotto una nuova luce, quella che unisce l’azienda ad una presunta operazione delle agenzie di Intelligence dei “Five Eyes Countries” – Usa, Canada, Nuova Zelanda, Australia e Gran Bretagna – per fare chiarezza sulla minaccia cyber cinese ai sistemi informatici occidentali.

Dopo l’arresto della CEO di Huawei Sabrina Meng, tre cittadini canadesi, il diplomatico Michael Kovrig, l’imprenditore Michael Spavor e un’insegnante di inglese Sarah McIver, vengono trattenuti dalle autorità cinesi. E’ da subito difficile credere che tra gli arresti e il fermo della Meng non ci sia un nesso. Dei tre cittadini canadesi detenuti in Cina non si hanno notizie certe, quello che trapela però non è rassicurante. I fermi hanno tutta l’aria di essere dei tentativi di ritorsione nei confronti della detenzione della Meng.

Un torbido precedente

Nel 2014 una coppia di cittadini canadesi residenti nella cittadina di Dangdong, sul confine Nord Coreano, vengono arrestati dalle autorità cinesi in circostanze poco chiare, senza che verso di loro fosse stata pronunciata alcuna accusa formale. Il fatto accadeva solo qualche giorno dopo l’arresto dell’imprenditore cinese Su Bin residente in Canada. Nei sui confronti la Corte di Giustizia americana aveva pronunciato formalmente un atto d’accusa per spionaggio. Su era stato ritenuto responsabile di furto di brevetti cibernetici, segreti tecnologici e militari, dietro mandato del Governo cinese per conto del People’s Liberation Army, PLA. Come racconta in un lungo articolo Wired U.S., l’imprenditore, che si faceva chiamare Stephen all’occidentale possedeva una società di tecnologia aeronautica di 80 dipendenti chiamata Lode-Tech. Nel 2012, era stato intervistato dal Wall Street Journal a cui aveva raccontato di aver fatto milioni come imprenditore aerospaziale. Dalle ricostruzioni degli agenti Su aveva operato come spia cinese fin dal 2009. Attraverso Lode-Tech aveva costruito una fitta rete di contatti industriali di cui aveva hackerato le email nel tentativo di penetrare gli account di posta elettronica dei dirigenti aziendali e, da lì, accedere alle reti aziendali riservate. Secondo quanto raccolto dalle agenzie di Intelligence americane, Su, assieme a due partner cinesi avrebbe avuto accesso a più di 630 mila file riservati.

Per arrestare Su, l’FBI doveva avere l’appoggio delle autorità canadesi. Il Canada nello stesso periodo si trovò sotto un massiccio attacco cinese perpetuato ai danni del National Research Council, che motivò le autorità a collaborare. Pochi giorni prima del suo rientro in Cina, Su Bin viene fermato. L’ordine di estradizione si rivela però un affare più complicato del previsto perché la Cina decide di passare ad una contro mossa lasciando chiaramente intendere di sapere dove e chi colpire come ritorsione. L’arresto dei coniugi canadesi Kevin e Julia Garratts avviene dunque dopo che il Canada decide di dare il suo sostegno per l’estradizione. Kevin Garratts, ha raccontato di non aver mai conosciuto né sentito nominare Su Bin e di non avere idea di chi fosse al momento del suo arresto. Il canadese sarà accusato dalla Cina di essere a sua volta una spia e di aver sottratto importanti progetti di ricerca sulla difesa nazionale e su obiettivi militari.

L’analisi

Dietro il caso Huawei potrebbe esserci una operazione di Intelligence coordinata dei “Five Eyes” per smascherare un’intensa attività di spionaggio cinese ai danni dell’industria e della disesa occidentali. Almeno tre i fattori che fanno dell’arresto Huawei un caso sensibile. Innanzitutto perché coinvolge la più importante azienda tecnologica cinese, leader mondiale del mercato dei dispositivi per telecomunicazioni e principale competitor commerciale di alcune delle aziende di punta statunitensi, lanciata del business del 5G e principale candidata allo sviluppo di queste tecnologie a livello globale; secondo perché avviene in tempo di “guerra”, quella commerciale tra le due potenze che oggi si contendono la posizione di leadership politica ed economica; infine perché coinvolge apertamente almeno uno degli alleati degli USA: il Canada.

Gli Stati Uniti, che temono ripercussioni alla sicurezza nazionale attraverso la minaccia che Pechino rappresenta per la cyber-sicurezza sono preoccupati che l’azienda della Meng possa utilizzare smartphone e dispositivi elettronici per condurre attività di spionaggio tecnologico, sia in ambito civile che militare, e ne hanno sconsigliato l’adozione sopratutto in ambito governativo. La campagna di attenzione nei confronti di aziende come Huawei e ZTE portata avanti dal Presidente Trump durante il 2018 è stata giustificata da queste preoccupazioni e dalle informazioni diffuse dalla principali agenzie di Intelligence americane CIA, FBI, NSA, riguardo alle provate attività di hacker cinesi, specialmente a partire dal luglio di questo anno, che per il momento non legano la Meng con nessuna accusa diretta. La CEO di Huawei era stata arrestata il Primo Dicembre per frode. Nello specifico, per aver firmato accordi nascosti con l’Iran, operando in violazione delle sanzioni commerciali contro in paese. Ad oggi non sono state rivelate prove depositate di un coinvolgimento di Huawei in alcuna operazione di spionaggio ma il caso si fa sempre più complesso perché proprio su Huawei anche le agenzie Australiane hanno dichiarato preoccupazione. Come riporta il South China Morning Post il 6 dicembre, il capo del Servizio di sicurezza canadese, David Vigneault, nel suo primo discorso al pubblico in occasione dell’incontro dei “Five Eyes” ha avvertito la necessità di annunciare una minaccia emergente per il Canada, nelle aree più vulnerabili dell’intelligenza artificiale e del 5G. “Nessuno – si dichiara nell’articolo del SCMP – aveva alcun dubbio che stesse parlando della Cina” e pare che un divieto formale su Huawei e ZTE da Ottawa sia previsto entro poche settimane. Il Canada si aggiungerebbe così alla lunga lista di paesi occidentali che hanno bandito Huawei, tra questi l’Australia, la Nuova Zelanda e la Gran Bretagna.

Le prove dello spionaggio cinese

Veniamo alla notizia riportata dalla Associated Press ieri (21 dicembre) di un atto ufficiale di accusa da parte del Governo americano verso due presunti hacker cinesi, Zhu Hua e Zhang Shillong, che  arriva dunque dopo una escalation dell’affare Huawei sulla scia della spirale mediatica e di questo crescendo di tensione politica, e mette in luce un’evidenza che il Dipartimento di Giustizia americano aveva già espresso lo scorso ottobre depositando un atto ufficiale contro diversi funzionari e hacker dell’intelligence cinese.

Come riportato ancora da e Wired US e da diverse fonti dell BBC, tra il 2011 e il 2013, negli Stati Uniti si comincia a parlare pubblicamente dello spionaggio economico cinese, nel 2012, il Direttore della National Security Agency (NSA) Keith Alexander lo definisce “il più grande trasferimento di ricchezza nella storia”. L’FBI dichiara di aver intercettato un numero ingente di email e messaggi tra agenti cinesi, il cui contenuto sarebbe in grado di fornire un’immagine incredibilmente dettagliata del funzionamento interno di una loro operazione di spionaggio. Nonostante l’evidenza delle segnalazioni dell’Intelligence la Cina nega. Presumibilmente guidata da interessi economici, l’industria americana dichiara di non volere l’intervento del Governo, preoccupata che una qualsiasi azione limitativa possa danneggiare il business, sottovalutandone però i rischi di sicurezza per il paese. I furti hanno infatti interessato gran parte dell’industria militare statunitense. Alcune fonti, tra cui lo stesso Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, avevano denunciato già negli anni nel 2012 un’ampia operazione di spionaggio ad opera di hacker informatici cinesi ai danni dell’industria militare, con la missione di sottrarre i dettagli della progettazione di pezzi meccanici utilizzati negli arsenali americani, dai caccia ai veicoli terrestri, ai robot, individuando come mandante delle azioni il China’s Ministry of State Security.

I rapporti tra Google e Huawei

Una prova ancora più evidente di quanto sia avanzata la campagna anti-huawei è la reazione del Congresso alla volontà di Google di sviluppare un motore di ricerca per il mercato cinese, una notizia non accolta bene da Washington che ha ufficialmente  aperto un’inchiesta per accertare i legami tra l’azienda ‘di casa’ e l’azienda cinese. Nelle recenti interrogazioni apparse sui media nazionali statunitensi alcuni membri del Congresso rivolgono al CEO di Google Sundar Pinchai domande pressanti sul funzionamento dei dispositivi di posizionamento di Google, mostrando il timore che la privacy sui dati degli utenti possa essere  violata, dimostrando una preoccupazione eccessiva e una leggera vena ‘naive’ . Ma tornando a Huawei, alcuni esponenti politici americani, lo scorso giugno, in una lettera inviata allo stesso Pinchai, firmata dai Senatori Repubblicani Tom Cotton e Marco Rubio, dai Rappresentati del Partito Repubblicano Michael Conaway e Liz Cheney, e da Dutch Ruppersberg, Rappresentante del Partito Democratico, lamentavano la scarsa considerazione di alcune grandi aziende nazionali nei confronti della minaccia cinese, intimando a Google di riconsiderare i rapporti con l’azienda cinese. I senatori hanno manifestato una forte insofferenza per la scelta di Google di non rinnovare con gli USA il contratto di Project Maven, l’intelligenza artificiale applicata ai droni militari, sostenendo a tal proposito la necessità di avviare un’indagine per esaminare i rapporti tra il colosso cinese e Google, accusata di essere in qualche modo ‘partigiana’. Priorità nazionale dunque evitare che le aziende cinesi possano ricoprire una posizione di potere sulle reti di telecomunicazione americane o sui dispositivi militari del futuro, esercitando un qualsiasi controllo su infrastrutture sensibili.

Conclusioni

La guerra commerciale contro la Cina scatenata da Trump, con l’appoggio del Congresso e del Dipartimento della Difesa, ha di fatto rimesso in discussione anche la questione della cyber-sicurezza, con toni decisamente più aspri dell’approccio distensivo tenuto da Obama, e verso obiettivi su cui difficilmente questa amministrazione potrà soprassedere. Definendo quella cinese come una delle più vaste campagne di spionaggio e di interferenza straniera mai rilevata, gli USA hanno così determinato l’ambito della minaccia cinese – menzionato nella National Security Strategy – come un pericoloso caso di ingerenza-interferenza negli affari economici americani attraverso un ampio sistema di furto tecnologico che rivela molto anche degli obiettivi strategici delle due cyber potenze.

L’accusa che oggi molti governi occidentali muovono a Pechino è di essere diventata una delle economie più avanzate del mondo in gran parte attraverso il furto della proprietà intellettuale di altri paesi, con la delocalizzazione del settore R&D e la condivisione forzata dei brevetti. Le attività di cyber-spionaggio industriale sarebbero la parte nascosta di questa azione, volta principalmente a carpire i segreti dell’industria militare americana e occidentale, tra gli aspetti più sensibili di violazione alla sicurezza nazionale. La Germania che ha fatto per anni affari con Pechino, oggi dichiara che probabilmente non accetterà Huawei nella prossima gara per l’assegnazione dello sviluppo della tecnologia 5G su cui l’azienda cinese era precedentemente data per favorita. Il più grande fornitore di reti mobili del Regno Unito ha annunciato che avrebbe smesso di fabbricare prodotti cinesi pochi giorni dopo l’arresto di Meng. Gli Stati Uniti, l’Australia e la Nuova Zelanda hanno già dichiarato di non voler utilizzare le apparecchiature Huawei per le reti mobili di prossima generazione. E l’Italia, come si prepara ad affrontare la sfida?

 

 

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