I sudcoreani hanno deciso: Moon Jae-in, candidato del Partito Democratico sudcoreano, principale partito di opposizione nelle ultime due amministrazioni, è il nuovo Presidente della Corea del Sud. Moon ha infatti vinto le elezioni presidenziali con il 41.08% dei consensi (13,423,800 voti), staccando nettamente il conservatore Hong Jun-pyo (24.03%, 7,852,849 voti) e il centrista Ahn Cheol-soo (21.41%, 6,998,342 voti). Il nuovo capo di Stato è stato eletto sull’onda degli scandali che hanno colpito i suoi avversari politici e nel pieno di una crisi internazionale che vede ancora una volta la penisola coreana al centro dell’attenzione della comunità internazionale.
La vittoria di Moon Jae-in è arrivata in un periodo turbolento per il Paese asiatico, segnato dalle dimissioni per impeachment dell’ex presidente conservatore Park Geun-ye (oggi agli arresti e sotto processo per corruzione) e dal confronto con la Corea del Nord. Moon, che aveva affrontato Park nel 2012, è riuscito a imporsi battendo sul tema della lotta alla corruzione e su un radicale cambio di politica economica. Sul piano domestico, infatti, il nuovo Presidente si è proposto come l’uomo del “New Deal” sudcoreano, offrendo agli elettori un programma caratterizzato principalmente da proposte riguardanti la lotta alla corruzione e da proposte economiche fondate su un aumento dell’intervento statale nell’economia del Paese asiatico.
Accanto alle proposte di politica interna ed economica, il capo della nuova amministrazione sudcoreana si è però imposto anche sulla base di un deciso cambio di rotta nei rapporti con la Corea del Nord. Moon si è infatti proposto come l’uomo del dialogo, promotore di una nuova “Sunshine Policy”, ossia la strategia diplomatica adottata dall’ex presidente democratico Kim Dae-jung, che portò allo storico summit del 2000 con il leader nordcoreano Kim Jong-il e che garantì all’ex presidente sudcoreano il premio Nobel per la pace, sempre nel 2000. Ponendo come condizione l’interruzione dei preparativi del regime comunista per un nuovo test nucleare, Moon ha vinto le elezioni promettendo di aprire nuovamente una trattativa tra Seul e Pyongyang, che possa portare alla definizione di un trattato di pace e alla riapertura del complesso industriale del Kaesong, in Corea del Nord, frutto di precedenti tentativi di cooperazione economica tra i due regimi, interrotti nel 2012.
In sintesi, il programma politico di Moon Jae-in si presenta come particolarmente ambizioso. Il nuovo Presidente infatti dovrà: cercare di portare a compimento riforme economiche e politiche in un paese segnato da mesi di confronti e scontri politici al calor bianco: tentare di attuare una strategia dialogante con il regime comunista del Nord in uno scenario in cui i principali alleati della Corea del Sud (Stati Uniti e Giappone) non sembrano, per ora, minimamente intenzionati ad alleviare la pressione politica e militare nei confronti di Pyongyang. Senza contare, tra l’altro, l’aperta ostilità di Moon nei confronti del sistema di difesa missilistico THAAD, schierato pochi mesi fa dagli Stati Uniti sul suolo sudcoreano; una ostilità foriera di altre potenziali frizioni tra Seul e Washington.
In poche parole, le sfide che la nuova amministrazione sudcoreana dovrà affrontare nei prossimi anni, sia sul piano interno che su quello internazionale, saranno molte e particolarmente difficili. Tuttavia, con un certo margine di sicurezza, è possibile prevedere che l’elezione di Moon Jae-in, a partire già dai prossimi mesi, mescolerà nuovamente le carte in una regione, il quadrante Asia-Pacifico, caratterizzata da dinamiche complicate ed equilibri precari.