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Il ritiro di Breyer e la corsa per nominare un nuovo giudice alla Corte Suprema

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Lo scorso 26 gennaio il giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, Stephen Breyer, ha fatto trapelare di volersi ritirare dalla sua carica. Il giorno dopo il presidente Biden, parlando dalla Casa Bianca, ha confermato la sua intenzione di lasciare la Corte, annunciando di essere a lavoro per portare avanti la nomina di una donna afroamericana, come aveva promesso in campagna elettorale.

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La nomina di Breyer alla più alta carica giudiziaria era stata portata avanti e approvata durante la presidenza Clinton, nello specifico nel 1994, quando a capo della commissione per le nomine giudiziarie vi era proprio l’attuale presidente americano, Joe Biden. Fu il secondo giudice supremo scelto da Clinton, dopo la conferma nel 1993 della nomina di Ruth Bader Ginsburg.

In seguito alla morte proprio di RBG, Breyer è diventato il giudice più anziano in carica di una delle istituzioni che, negli ultimi anni, più ha subito le conseguenze della polarizzazione della politica americana. Liberale come la Ginsburg, il giudice originario della California e con ascendenze ebraico-rumene ha spesso espresso giudizi e opinioni dissenzienti contro la maggioranza conservatrice della Corte. Ha votato in favore del matrimonio omosessuale e della protezione a persone transessuali contro le discriminazioni sul posto di lavoro. Ha inoltre difeso la riforma sanitaria di Obama dalla causa intentata dagli stati repubblicani che cercavano di abolirla e si è opposto alla decisione che, nel 2000, fermò il riconteggio dei voti in Florida, consegnando di fatto a Bush la vittoria alle elezioni presidenziali. Ha espresso più volte opinioni favorevoli al diritto all’aborto e contrarie alla pena di morte, sostenendo che essa potrebbe essere considerata in violazione dell’ottavo emendamento, che vieta punizioni crudeli. La sua visione della Costituzione prevedeva un certo grado di interpretabilità, poiché riteneva che l’originalismo, posizione tipica dei giudici conservatori che prevede di seguire rigidamente il testo originale, potesse minare la legittimità della Corte Suprema agli occhi dell’opinione pubblica

Per via della sua anzianità, l’anno scorso gli attivisti del movimento Demand Justice e alcuni membri democratici del Congresso avevano lanciato una petizione per convincere Breyer a ritirarsi. La paura che aleggiava era che anche la sua carriera finisse, come nel caso di RGB, nel peggior momento possibile: la Ginsburg, infatti, dopo aver rifiutato di ritirarsi durante la presidenza Obama garantendosi così un sostituto liberal, morì durante la presidenza Trump, concedendo a Donald di esprimere la sua terza nomina alla SCOTUS.  Breyer si era sempre rifiutato fino a questo mese, concedendo tuttavia che prima o poi si sarebbe ritirato. Personalmente, comunque, il giudice si è sempre detto contrario ad ogni stratagemma per riequilibrare la Corte Suprema, come la nomina di un numero di giudici superiore ai 9 consueti. 

La sua anticipata uscita di scena rappresenta sia un problema da risolvere che un’opportunità per Biden.  Un’opportunità poiché gli permette di portare avanti la nomina di un giudice a lui gradito e, soprattutto, di relativamente giovane età, in modo da scongiurare una Corte Suprema largamente conservatrice in caso di vittoria repubblicana alle prossime presidenziali. Costituisce anche una grana per lui, invece, perché confermare un giudice alla più alta corte americana richiede l’approvazione del senato, una procedura che nasconde non poche insidie. Al momento i Democratici vantano la minima maggioranza possibile al Senato: 50 senatori su cento più la Vicepresidente Harris, che può rompere le votazioni in parità in favore dei dem. Tuttavia, due senatori democratici, Synema dall’Arizona e Manchin dal West Virginia, hanno più volte impedito il passaggio di progetti di legge democratici perché considerati, secondo loro, troppo poco moderati per essere di loro gradimento. Potrebbero quindi rappresentare uno scoglio nel cammino della futura nomina di Biden. Un altro fattore che rema contro ai democratici è il tempo: l’ideale sarebbe infatti approvare la nomina prima delle elezioni di mid-term previste per novembre. Questo perché, qualora i democratici perdessero anche solo uno dei loro seggi in ballo, sarebbe pressoché impossibile confermare un giudice con una maggioranza bipartisan.

I voti sulle nomine alla corte suprema, infatti, sono diventati sempre più polarizzati dopo la presidenza Obama, fino al punto di spingere i repubblicani ad abolire nel 2017 la possibilità di ostruzionismo sulle nomine giudiziarie (il cosiddetto Filibustering che tuttavia è ancora possibile per le votazioni ordinarie) per permettere di confermare il giudice Gorsuch con una maggioranza semplice. Il ritiro di Breyer, per giunta, presenta una particolarità. Nel suo comunicato di giovedì 27 gennaio, il giudice ha reso noto di aver intenzione di rimanere in carica fino alla pausa estiva della corte, prevista solitamente fra giugno e luglio. Tuttavia, sempre nel comunicato, si augura che il suo sostituto sia pronto per quella data. Confermare un giudice mentre il predecessore è ancora in carica è inusuale ma possibile legalmente, almeno secondo una fonte del Washington Post. Secondo quelle che sembrano essere le attuali intenzioni dei Democratici, il presidente cercherà di trovare un nome entro la fine di febbraio, per poi passare la palla a Chuck Schumer, leader della maggioranza al Senato, che al momento si augura di poter confermare la nomina entro un mese. Un mese è un tempo esiguo rispetto alla media necessaria in passato per eleggere un giudice costituzionale, ma i Democratici intendono usare il caso di Amy Coney Barrett – confermata in 30 giorni esatti per sostituire la Ginsburg prima delle presidenziali 2021 – come precedente per risolvere velocemente la faccenda. Resta tutto da vedere se il GOP deciderà di collaborare o, come molti dem temono, deciderà di trasformare anche questo voto nell’ennesima battaglia ideologica, magari con l’appoggio esterno di Synema e Manchin, nel caso in cui la futura nomina non sia di loro gradimento.

Ma questa polarizzazione, secondo Breyer, non dovrebbe scoraggiare Biden. Quando l’anno scorso gli fu chiesto cosa pensava della situazione degli Stati Uniti vessati da instabilità e estremismo, rispose di essere ottimista. Poiché, dopotutto, la democrazia americana “è meglio delle alternative”.

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