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Brexit e Global Britain: prove di forza nella regione indopacifica

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L’uscita dall’Unione Europea ha posto la Gran Bretagna sulla via di un maggiore protagonismo nello scenario internazionale. In quest’ottica, lo storico legame con gli USA risulta decisivo per il rilancio di una “Global Britain” capace non solo di esercitare il soft power nel solco del suo passato di potenza imperiale, ma di porsi altresì come interlocutrice privilegiata di Washington nel Vecchio Continente. Il recente accenno di attivismo nella regione indo-pacifica può essere forse considerato come un tentativo di recuperare questa dimensione globale, che permetterebbe alla Gran Bretagna di agire come attore geopolitico capace di operare anche attraverso l’hard power per supportare quell’ordine liberale basato sul libero scambio, di cui Washington è capofila.

Fuori dalla “casa comune” europea

Sin dal momento in cui, in seguito alle consultazioni referendarie del 2016, la volontà della maggioranza del popolo britannico di uscire dall’Unione Europea è apparsa chiara, altrettanto evidente è apparso il dilemma della futura collocazione geopolitica del Paese. L’allora primo ministro Theresa May, poco dopo la sua entrata a Downing Street, dichiarava che nel periodo “post Brexit” il Regno Unito avrebbe dovuto ritagliarsi un nuovo ruolo su una scena globale radicalmente mutata rispetto agli anni precedenti all’entrata del Paese in quella Comunità Europea che sarebbe poi divenuta l’Unione Europea. Durante il suo mandato, l’allora premier britannica ha pertanto introdotto nel discorso pubblico il concetto di “Global Britain” quale cardine delle future relazioni politiche e diplomatiche tra la Gran Bretagna e il resto del mondo. L’intento sottostante è apparso quello di guadagnare un ruolo chiave quale principale “stampella degli Stati Uniti” nel momento in cui gli equilibri geopolitici che contemplano Washington quale unica superpotenza globale sono stati messi in dubbio.

Negoziati difficili e dissidi interni

Sul fronte interno, tuttavia, i negoziati per la Brexit hanno portato ad una rapida perdita di consensi per il governo presieduto da Theresa May, la quale nel 2019 ha lasciato la guida del partito conservatore, nonché il ruolo di primo ministro. I dissidi interni ai “tories” hanno infatti chiarito come la maggioranza del partito sostenesse in realtà la linea intransigente nei confronti di Bruxelles portata avanti da Boris Johnson, suo successore come premier. Nonostante i cambiamenti ai vertici del governo britannico, l’idea di una “Global Britain” è tuttavia sopravvissuta, portando il Regno Unito a cercare una sponda politica affine nell’amministrazione americana guidata da Donald Trump, impegnato a contrastare la crescente minaccia posta dalla Cina agli equilibri geopolitici internazionali a guida americana. Vista l’attuale incertezza sul piano internazionale, la Gran Bretagna guarda perciò con attenzione al recente avvicendamento alla Casa Bianca, poiché la linea che il nuovo presidente Joe Biden intende seguire in politica estera sarà decisiva per comprendere se Londra potrà consolidare il suo ruolo storico di “trait d’union” tra le due sponde dell’Atlantico, una funzione altamente congeniale per le nuove ambizioni post Brexit.

Prove di forza nell’Indo-Pacifico

 Sul piano internazionale, la Gran Bretagna ha dunque ricominciato a presentarsi come principale “stampella” dell’ordine internazionale che vede al vertice gli Stati Uniti e, a tale scopo, sono stati messi in campo svariati investimenti nell’industria della difesa, destinata a divenire, almeno nei piani del governo di Londra, un cardine della ritrovata proiezione di forza del Paese. In quest’ottica, poco sorprendente è apparso il recente annuncio di un prossimo invio della portaerei HMS Queen Elizabeth e del suo gruppo d’attacco nel Pacifico occidentale, teatro di numerose tensioni tra la Cina e gli Stati circostanti, sempre più spesso interessati dalle manovre militari cinesi che si spingono in acque territoriali contese con altri attori regionali. Di fronte a questa iniziativa, il governo giapponese si è dichiarato favorevole a lavorare con Londra per “mantenere un Indo-Pacifico libero e aperto” e ad accogliere a lle proposte per intavolare una cooperazione bilaterale nel settore della difesa, collaborazione destinata a prendere forma tramite incontri da tenere a breve termine tra i Ministri degli Esteri e della Difesa di entrambi i Paesi.

Global Britain a fianco degli Stati Uniti

Nonostante le dichiarazioni rilasciate dal Ministro della Difesa giapponese Nobuo Kishi e confermate poi dall’omologo britannico Ben Wallace, la prospettiva di una collaborazione bilaterale stabile tra Tokyo e Londra appare ad oggi piuttosto remota, visto che quest’ultima non possiede tutte quelle risorse necessarie a mantenere una presenza stabile nell’Indo-Pacifico, che graverebbe sul bilancio della Difesa. Fermo restando l’impegno manifestato dai due Ministri della Difesa affinché Tokyo e Londra si impegnino a contrastare i tentativi di stravolgere con la forza gli equilibri geopolitici nel Mar Cinese Orientale e Meridionale, non va dimenticato che ad oggi sono gli Stati Uniti a giocare il ruolo di principale player strategico nella regione. Il fatto che Washington detenga una grande “blue water navy”, capace di proiettare permanentemente la sua forza su scala globale, rende infatti chiaro come l’eventuale futura presenza britannica nell’Indo-Pacifico possa concretizzarsi solo al fianco degli Stati Uniti, i quali possiedono tutte le risorse necessarie a tutelare gli equilibri nell’area.

Nuova amministrazione Usa e ricerca di sponde politiche per una Global Britain

Le tensioni permanenti nel mar Cinese Orientale e Meridionale potrebbero dunque favorire, seppure in maniera indiretta, un parziale recupero di quella “vocazione globale” della Gran Bretagna, che potrebbe aspirare a un ruolo di comprimario degli USA. L’ipotesi in questione appare tuttavia ad oggi piuttosto remota, dal momento che l’amministrazione Biden non sembra fornire una sponda in tal senso. Di fronte alle rinnovate tensioni tra la Cina e il Giappone dinanzi alle isole Senkaku/Diaoyu, la Casa Bianca ha ribadito l’impegno a difendere il Giappone sancito dall’articolo 5 del “Trattato di sicurezza” che lega Washington a Tokyo, ma non ha manifestato l’intenzione di ritagliare un ruolo difensivo per altri Stati geograficamente esterni alla regione.

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