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TematicheItalia ed EuropaBosnia Erzegovina alle urne: meglio discriminati che divisi?

Bosnia Erzegovina alle urne: meglio discriminati che divisi?

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Nelle scorse settimane, migliaia di cittadini si sono riversati per le strade di Sarajevo con una meta precisa: Emerika Bluma 1, sede dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina. “Molto più di un Re”, così qualcuno me l’ha voluto indicare, con quella rassegnazione tipica dell’umorismo bosniaco che non le manda a dire, ma che accetta sommesso quel che viene.

L’Alto Rappresentante è il necessario risultato escogitato dalla comunità internazionale per garantire l’applicazione del Dayton Peace Agreement (DPA) che, nel 1995, ha congelato la terribile guerra tra croati, serbi e bosgnacchi musulmani che ha martoriato la popolazione civile per quattro anni.

Il DPA fa il suo lavoro, l’ha fatto negli ultimi 27 anni: evita che scoppi la guerra. Ma gli è stato chiesto molto di più, da sempre.
A questo documento viene affidato il compito di regolamentare qualsiasi cosa avvenga in Bosnia Erzegovina, assicurando l’eguale rappresentazione dei tre popoli costituenti (poco importa delle altre 17 minoranze) all’interno di praticamente tutto. Elezioni comprese, chiaramente.

Il risultato è l’unico stato al mondo con tre presidenti, ognuno rigorosamente eletto solo nella propria entità: uno per i serbi, uno per i croati ed uno per i bosgnacchi. E pace agli altri.

Questo sistema ha permesso, fino ad oggi, di scongiurare guerre… naturalmente, a scapito della funzionalità dello Stato e della possibilità degli elettori di votare senza discriminazioni. Insomma, a scapito della democrazia.

Impossibile candidarsi o solamente votare se non ci si identifica ufficialmente con uno dei tre gruppi etnici, l’opzione “bosniaco” semplicemente non esiste. Non poi così diverso dalla Bolzano che vietò ad Alexander Langer di candidarsi come sindaco.

Tornando alle recenti proteste di Sarajevo, cos’ha dunque spinto migliaia di cittadini fuori dalle kafane e fin sotto le alte inferriate dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante?

Gli abitanti della capitale, da sempre inclusiva e multietnica (e per questo duramente punita dall’assedio più lungo della storia moderna), hanno chiesto a gran voce alla massima autorità nel Paese di non introdurre coattivamente una nuova legge elettorale, in vista del voto del 2 ottobre. Ma com’è possibile che si preferisca l’attuale legge, dichiarata discriminatoria dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo?

La protesta è, in realtà, contro la segregazione etnica. La bozza di riforma elettorale, supportata dall’HDZ BiH, andrebbe a decretare la definitiva cementificazione delle divisioni etniche, ovvero nella direzione opposta all’uguaglianza ed alla creazione di un demos che sia, semplicemente, bosniaco.

Con questa nuova legge, gli appartenenti ai diversi popoli costituenti sarebbero irrevocabilmente costretti a trasferirsi in distretti etnicamente omogenei, oppure perdere il diritto alla rappresentazione politica. Non si sono fatti attendere i tristi ricordi di folli pulizie etniche, costate la vita a decine di migliaia e la casa a milioni, perpetrati nel criminale tentativo di avere ognuno la propria zolletta di terra.

Ma da dove proviene dunque questa proposta, tanto controversa quanto vicina all’approvazione?

Come con la ben nota politica del “mondo serbo” cara a Belgrado, a Zagabria la questione dei croati di Bosnia sembra mettere d’accordo il Primo Ministro e leader dell’HDZ Andrej Plenković ed il Presidente della Repubblica Zoran Milanović.

L’uomo forte di Zagabria a Sarajevo è senza dubbio il presidente del partito satellite HDZ Bosne i Hercegovine, Dragan Čović. Già membro della presidenza tripartita bosniaca e rimosso dall’incarico dall’Alto Rappresentante dopo le accuse di abuso d’ufficio, il filo-putiniano Čović non nasconde il rancore verso l’attuale membro croato della presidenza, Komšić.
Definito “illegittimo” dall’HDZ BiH, Željko Komšić ha fondato e guida il partito multietnico Fronte Democratico, che con la sua posizione moderata raccoglie voti sia tra i croati che tra i bosgnacchi musulmani. Ed è proprio questo che non vuole l’HDZ: attualmente, nella sola Federazione croato-musulmana, è possibile per gli elettori bosgnacchi votare per il rappresentante croato.

Sebbene i croati rappresentino solo il 15% della popolazione totale del paese, l’HDZ non può certo lamentare di essere sottorappresentato.

Monopolista della rappresentanza croata in Bosnia Erzegovina, con il 9% dei voti l’HDZ BiH elegge il 30% dei ministri ed il 27% dei parlamentari dell’Assemblea nazionale, tra cui il vicepresidente.

Con la nuova legge elettorale proposta, il voto dei rappresentanti croati verrebbe permesso solo ed esclusivamente agli elettori croati, andando così a spazzare via tutti i partiti diversi dall’HDZ BiH. Sebbene si possa condividere la frustrazione di vedere altri eleggere il proprio rappresentante, come avvenuto per Komšić con i voti bosgnacchi, la malafede di Čović appare immediatamente.
Nessun interesse è rivolto ai 30.000 croati della Republika Srpska, impossibilitati a votare per il proprio rappresentante, visto che questa entità esprime unicamente il rappresentante serbo alla presidenza tripartita.

Questi elettori non potrebbero contribuire in maniera sensibile all’elezione e dunque alla strada verso il potere. Per questo Čović non se n’è interessato e preferisce non disturbare l’amico Milorad Dodik, rappresentante serbo della presidenza, attualmente sanzionato a livello internazionale per i suoi tentativi di secessione e per la glorificazione di criminali di guerra.

La Croazia di Milanović, che nel ’95 ha firmato gli accordi di Dayton giurando di non interferire nelle questioni interne della Bosnia Erzegovina, si è però spinta fino a minacciare la NATO di imporre il veto all’adesione di Svezia e Finlandia se non fosse stata prima modificata la legge elettorale della Bosnia Erzegovina. Promesse “à la Milanović”, che dopo aver alzato la voce ha cambiato idea e concluso il tutto con una bella battuta di cattivo gusto.

L’Alto Rappresentante Schmidt ha inizialmente giustificato la bozza della legge elettorale dicendo che si trattava dell’unica possibilità per convincere l’HDZ a collaborare nel governo. “Sono qui per garantire l’applicazione del DPA, non per cambiarlo”, si difende Schmidt. E non possiamo poi dargli torto, è così.

Dopo aver intimato di usare i suoi poteri straordinari per imporre la nuova legge ed una criticatissima sfuriata in conferenza stampa, la folla sotto il suo ufficio non si è fatta attendere.

Per il momento si è limitato a minacciare i partiti, imponendo loro di trovare una soluzione che possa soddisfare tutti. E chiaramente, i “partiti” sono solo i tre monopolisti etnici: l’SDA bosgnacco, interessato a mantenere l’attuale legge, l’HDZ BiH croato, che ha tutto l’interesse a non trovare un accordo e l’SNSD serbo di Milorad Dodik, amico di Čović e disinteressato all’argomento.

Eppure, i partiti multietnici ci sono. Non solo quello di Komšić, ma anche il famoso Naša Stranka, vincitore di una sentenza presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sollevata contro la discriminazione elettorale in Bosnia Erzegovina (Baralija v. Bosnia Erzegovina).

“Non possiamo votare per partiti come Naša Stranka” – mi spiega Predrag – “se poi gli altri non fanno altrettanto, ci troviamo con i loro partiti nazionalisti che ci attaccano e senza i nostri che ci difendano”.
Mi dice che il problema è “questione di fiducia tra popoli”: si vota il gradasso perché ci possa difendere dagli altri, che faranno altrettanto.

E proprio su questo dovrebbe lavorare l’Alto Rappresentante. Gli accordi di Dayton vanno certamente applicati, come ci ha ricordato lui stesso, perché permettono di scongiurare la guerra; a cui però deve seguire la pace, non la tregua, come invece si è voluto fare in Bosnia.

La Corte di Strasburgo l’ha più volte chiarito: la legge elettorale della Bosnia Erzegovina dev’essere imperativamente rivista. Non è sicuramente facile trovarsi nella sua posizione, ma l’Alto Rappresentante deve assolutamente collaborare con le organizzazioni internazionali e la società civile per ricreare il tessuto sociale per cui la Bosnia Erzegovina è stata storicamente famosa ed ammirata, per quello straordinario luogo in cui tutti sono vissuti influenzandosi l’un l’altro e facendone un punto di forza, non di divisione. Esattamente questo significa essere bosniaci.

“Znam, da ne može, al’ može li da može”. “So che non è possibile, ma è possibile” cantano i Dubioza Kolektiv, famoso complesso bosniaco ed uno dei gruppi musicali più importanti dell’intera regione balcanica. Perché, cari partiti, non è possibile superare Dayton? Cui prodest?

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