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Bolivia, Morales lascia dopo la discussa vittoria: tra accuse di brogli e connivenze con i narcos

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Dopo aver rivinto per la quarta volta di fila le elezioni, Evo Morales si è dimesso. Il Presidente della Bolivia, in carica dal 2006, ha rinunciato al mandato dopo le proteste nate dall’opaca vittoria elettorale dello scorso 20 ottobre. Un trionfo, dati gli 11 punti di scarto con il socialista Carlos Mesa, macchiato dall’ombra dei brogli. Lo spoglio, una volta che le proiezioni prefiguravano il ballottaggio tra i due sfidanti, si è interrotto per un giorno e in seguito ha ripreso a rilento fino alle cinque di pomeriggio del 24 quando il Tribunale elettorale ha diffuso i risultati definitivi.

Mesa e i suoi ultras non hanno accettato il verdetto invocando un errore di conteggio. Il clima nel paese si è subito accesso tra manifestazioni e contromanifestazioni. Morales, dopo aver sperato per giorni che la situazione potesse tornare alla normalità, ha fatto un passo indietro. Durante la conferenza stampa con i giornalisti, l’ormai ex Presidente non si è trattenuto e ha urlato la propria indignazione contro il “colpo di Stato civile-politico-militare” che lo avrebbe costretto alle dimissioni.

In Bolivia, che dall’autoproclamazione di Morales ha vissuto settimane in un clima di guerra civile, ora si apre la corsa per la conquista del business più importante del paese, quello delle foglie di coca.

Le piantagioni di coca, che impegnano nelle coltivazioni decine di migliaia di campesinos, ridursi oppure solo cambiare il proprio santo protettore. Evo Morales è nato proprio da qui. I suoi genitori erano dei cocaleros, cioè dei coltivatori della pianta, e lui si è fatto un nome come dirigente del Sindacato che difendeva i diritti di questa categoria. Eletto prima deputato nel 1997 e addirittura Presidente della Repubblica dieci anni più tardi, Morales ha portato con sé la battaglia per la difesa della coca. Solo qualche anno fa dichiarava: “La foglia è patrimonio culturale dei popoli andini. (…) Noi difendiamo il suo uso naturale e non la cocaina”. Un’idea subito tramutata in legge dal suo governo. In questo modo, sono state liberalizzate le coltivazioni di coca in tutto il paese. Ad averci guadagnato però non sono stati i campesinos bensì i latifondisti che li sfruttano e affamano. Non dimentichiamo che Morales e svariati ministri del suo governo possiedono coltivazioni di coca. Ergo, sono in palese conflitto di interessi dato che hanno varato leggi per aumentare il proprio margine di guadagno. A trarre il vero profitto dalla liberalizzazione selvaggia del 2017 sono stati, come sempre, i narcotrafficanti.

I numeri, in questo caso, sono emblematici. Le autorità hanno calcolato che solo il cinque percento delle foglie di coca raccolte nei campi boliviani vengono usate per scopi alimentari, come il maté ad esempio. La restante parte, invece, finisce nelle mani dei narcos, i quali hanno trovato nella Bolivia un rifugio insperato. Lo spiega un giovane agente della Policia National de Perù: “Da noi c’è un detto, non c’è nulla di più facile di corrompere un poliziotto boliviano”. Motivo per cui uno dei narcos più ricercati dell’America Latina, il signore della cocaina Gilberto Aparecido dos Santo detto ‘Fuminho’, ha installato la propria base operativa a Santacruz de la Sierra, dove vive protetto da alcuni ufficiali corrotti.

In quella zona, come in altre parti dell’America Latina, i narcos viaggiano a braccetto con la politica. Nel 2017 a San Paolo era stato fermato con 100 chili di cocaina Romer Gutierrez Quezada, presidente dell’organizzazione Bolivia Che Guevara, un gruppo che faceva da portatore di acqua e voti al MAS di Evo Morales. Decine di esponenti dello stesso partito del Presidente della Repubblica avevano sin da subito negato ogni tipo di legame con questo trafficante di droga, salvo poi dover fare marcia indietro quando la stampa brasiliana ha pubblicato le decine di selfie scattati da Quezada con i parlamentari del MAS. Uno più pesante di molti altri: la foto con il Presidente Evo Morales.

Non è la prima volta che finiscono sui giornali le fotografie tra opache figure del mondo boliviano ed esponenti di primo piano del Mas. Era accaduto all’attuale ministro Carlos Romero, immortalato nel 2015 al matrimonio del Presidente della squadra di calcio Real America Pablo Ramos, imputato per illecito profitto e trasporto di sostanze controllate. Secondo le accuse, Ramos avrebbe creato una finta società di catering per trafficare in marijuana e cocaina. Nel 2014, per un pelo, non era riuscito a farsi candidare da Morales come deputato nelle fila del Mas.

Morales ha sempre risposto che questi scandali sono alimentati dalla propaganda del governo di Washington. Il Presidente boliviano ha sempre avuto parole di fuoco contro la Casa Bianca. Nel 2008 Morales ha provveduto ad espellere dal paese la Dea, l’autorità americana impegnata nella lotta al narcotraffico. Il mistero dietro questa mossa resta senza risposta. Secondo un informatore della stessa agenzia, gli agenti antidroga di Arlington in Virginia starebbero indagando sui legami tra i più stretti collaboratori del Presidente Morales e alcuni personaggi di spicco dei narcos boliviani.

Dagli States però non trapelano ulteriori dettagli. La nebbia, come durante le mattinate invernali a La Paz, si infittisce ma con l’addio di Morales, forse, potrebbe non essere così spessa come in passato.

 

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