L’instabilità politica e sociale generata dall’esilio forzato di Evo Morales non si estinguerà nell’immediato. Le elezioni presidenziali che si sarebbero dovute tenere il prossimo 3 maggio, per sostituire il governo ad interim guidato da Jeanine Áñez, sono state rinviate a data da destinarsi a causa dell’espandersi del nuovo coronavirus.
Nonostante i dati legati all’epidemia non abbiano raggiunto livelli elevati come quelli di altri Paesi del Sud America (564 contagiati e 33 vittime[1]), la Bolivia ha deciso di adottare misure rigide contro il COVID-19. Il governo boliviano della presidente ad interim Jeanine Áñez ha infatti deciso di estendere la quarantena su tutto il territorio nazionale almeno fino al 30 aprile. I provvedimenti prevedono la chiusura totale delle frontiere e il divieto di spostamento delle persone tra le varie province del Paese; resta attivo ovviamente il trasferimento di merci. Se le restrizioni porteranno a risultati positivi potranno anche essere allentate le maglie dato che, come ha spiegato il Capo di Gabinetto Yerko Nuñez, “grazie al rispetto delle misure di quarantena il primo impatto della pandemia non è stato così forte come in altri Paesi; se si mantiene questa tendenza entro la fine del mese [di aprile] si potranno eliminare alcune restrizioni”.
La questione più intricata, in realtà, sembra essere quella politica e sociale. Difatti, la proroga delle politiche anti-coronavirus ha spinto il Tribunale Supremo Elettorale (Tse) a posticipare le elezioni presidenziali del prossimo 3 maggio. Secondo il Tse la consultazione popolare verrà recuperata in un periodo compreso tra il 7 giugno e il 6 settembre.
La competizione elettorale avrebbe posto fine all’instabilità politica creatasi dopo le elezioni dell’ottobre 2019, con le quali Evo Morales era stato confermato per la quarta volta alla guida del Paese sudamericano. Il risultato è stato messo però sotto accusa dalle opposizioni, certe che l’ex sindacalista avesse ritoccato il conteggio dei voti per raggiungere il distacco del 10% dal secondo candidato (Carlos Mesa), necessario per evitare il ballottaggio. A supportare questa tesi ci ha pensato un rapporto dell’Organizzazione degli Stati Americani, il quale evidenziava come fossero state riscontrate delle “chiare manipolazioni del sistema di voto. Il primo turno delle elezioni del 20 ottobre deve essere quindi annullato”.
Da quel momento le sicurezze di Evo Morales sono iniziate a venir meno, fino a quando l’ammutinamento dell’esercito e della polizia l’hanno costretto alla fuga, prima in Messico e poi in Argentina, dove ora risiede come rifugiato politico. Il potere, grazie anche alle dimissioni delle tre cariche più alte del Paese, è rapidamente passato nelle mani di Jeanine Áñez, seconda vicepresidente del Senato e membro del partito di destra Movimiento Demócrata Social.
Nonostante la distanza, Evo Morales continua però a supportare il suo partito, Movimiento al Socialismo (MAS), e Luis Alberto Arce Catacora, ex ministro dell’Economia nei suoi governi e candidato alla presidenza 2020. Il peso politico del primo Presidente indigeno della Bolivia è ancora molto forte, i tredici anni ininterrotti di presidenza hanno lasciato il segno. Durante questo periodo il Paese ha registrato un tasso annuale di crescita economica pari al 5%, dato più alto dell’intera regione; la povertà è scesa dal 38% al 17%, grazie a misure di sostegno come i sussidi per le persone anziane e per le donne in gravidanza; l’analfabetismo è stato notevolmente ridotto e la mortalità infantile dimezzata.
Proprio per queste ragioni pensare ad uno scollamento totale della popolazione boliviana nei confronti di Evo Morales appare alquanto improbabile. Secondo gli ultimi sondaggi di febbraio, infatti, il candidato Presidente del MAS, Luis Arce, avrebbe il 31,6% delle preferenze, ben distante da Carlos Mesa, primo tra i candidati di centrodestra con il 17,1%, e dalla stessa Presidente Áñez, con il 16,5%.
Con questi risultati non ci sarebbe bisogno di un secondo turno e il ritorno in patria di Evo Morales sarebbe cosa fatta. Lo stop forzato alle elezioni però e la volontà del campo di destra, più o meno radicale, di invertire la rotta, dopo quasi quindici anni di guida socialista, rendono il futuro decisamente incerto.
Stefano Di Giambattista
Geopolitica.info
[1] Dati elaborati dalla John Hopkins University aggiornati alle 18:30 del 20 aprile