Come si inserisce la dichiarazione del presidente statunitense nel quadro della politica estera e verso un alleato NATO? Le ripercussioni sembrano inevitabili, alla luce del tabù che la questione armena genera ad Ankara, la cui risposta non è tardata ad arrivare.
Con una nota ufficiale diffusa dalla Casa Bianca il 24 aprile, in occasione del 106esimo anniversario, il presidente Joe Biden ha utilizzato per la prima volta il termine “genocidio” riferendosi al massacro della popolazione armena, perpetrata dall’Impero Ottomano dal 1915 al 1916. Con una dichiarazione affidata alla stampa, e anticipata al presidente turco Recep Tayyip Erdogan il giorno precedente, Biden ha dichiarato: “Il popolo americano onora tutti gli armeni che sono morti nel genocidio che iniziò 106 anni fa. Ogni anno in questo giorno ricordiamo le vite di tutti quelli che morirono nel genocidio armeno dell’epoca ottomana e ribadiamo il nostro impegno a impedire che atrocità simili accadano di nuovo”.
L’America e il genocidio armeno
Questa nuova e forte presa di posizione dell’amministrazione statunitense si presta a molteplici chiavi di lettura, prima fra tutte la credibilità politica del presidente. Biden, infatti, si era impegnato in campagna elettorale a riconoscere l’attribuzione del carattere di genocidio al massacro di oltre un milione e mezzo di armeni, cercando quindi di dare un credito e un seguito politico alle promesse fatte, segnando anche una forte discontinuità con tutte le amministrazioni precedenti. Questo tema non è nuovo nella politica americana, già nel 1951 il Dipartimento di Stato aveva riconosciuto il genocidio. Poi un lungo silenzio, fatta eccezione per un passaggio in un discorso di Ronald Reagan nel 1981 sull’Olocausto, in cui si faceva riferimento al «genocidio degli armeni», poi più nulla fino al 2008, quando sempre durante la campagna elettorale, l’allora candidato democratico Obama promise, durante il “Giorno del Ricordo per il genocidio armeno”, che si sarebbe impegnato, salvo poi adottare negli anni successivi termini come “tragedia-atrocità di massa-orrore”, senza giungere al riconoscimento vero e proprio.
Nel 2019 il Congresso degli Stati Uniti aveva approvato una risoluzione simbolica e quasi unanime che riconosceva il genocidio armeno, ma il presidente Donald Trump aveva respinto la misura, verosimilmente a causa dell’allora periodo di tensione tra Stati Uniti e Turchia dopo il ritiro delle truppe americane dai territori della Siria controllati dai curdi, a seguito del quale Ankara aveva sostenuto delle operazioni militari nella regione.
La svolta di Biden deve essere vista anche in merito della rinnovata attenzione della politica statunitense per il tema dei diritti umani, che potrebbe aprire un fronte diplomatico anche con le altre autocrazie mondiali, a cominciare da Russia e Cina, dal caso Navalny alla questione degli uiguri: questa posizione è destinata a ricadere anche sulla Turchia a causa dell’aumento di azioni anti-democratiche e illiberali intraprese dal governo di Ankara.
Le relazioni tra alleati “distanti”
È chiaro che, oltre a testimoniare l’impegno e l’attenzione del presidente americano verso tali tematiche, altre motivazioni hanno contribuito a questo tipo di decisione, che nessuna amministrazione precedente aveva adottato. Il tentativo di porre pressione sull’alleato e membro della NATO risulta evidente, così come evidenti sono le tempistiche scelte: infatti la Turchia si trova, in questo momento, in una situazione decisamente critica sia dal punto di vista economico, sia per tensioni interne. Da qui il monito della presidenza americana risulta evidente, come ultimatum di non ulteriore transigenza su determinati dossier.
I rapporti tra Stati Uniti e Turchia, già tesi per alcuni atteggiamenti di politica estera del presidente Erdogan, sembrano destinati ad incrinarsi ulteriormente. Nonostante la Turchia sia un membro NATO dal 1952 e uno dei principali snodi d’accesso per il Medio Oriente – quindi strategicamente cruciale per le basi militari presenti nell’area – si sta assistendo ad un progressivo allontanamento dalle posizioni degli alleati, spostando il proprio baricentro delle relazioni sull’asse russo, sia per la politica estera avviata in Libia e in Siria, sia per le politiche militari ed energetiche; da ricordare è il recente acquisto da parte di Ankara del nuovo sistema di difesa missilistico russo S-400, gesto che ha irritato non poco Washington, che ha immediatamente escluso il paese dal programma F-35.
Sullo sfondo delle relazioni tra i due paesi non possono non essere considerate le intenzioni americane nel tentativo di riavvicinare l’Armenia sotto la propria zona di influenza, in particolare dopo la fine del secondo conflitto del Nagorno Karabakh: la conclusione degli scontri tra Armenia e Azerbaigian a favore dei secondi, con il supporto di Turchia e Russia, ha permesso al paese di acquisire uno status di superiorità e di centralità nel Caucaso, seppur subordinati alla forza di Mosca, garante anche della tregua raggiunta tra i due paesi. Pertanto, nelle intenzioni di Biden, il supporto degli Stati Uniti all’Armenia si configura come parte di una strategia di pressione su più livelli, in particolare all’interno del mondo russo. Inoltre, l’appoggio all’Armenia avrebbe il fine di limitare le conseguenze della vittoria della coalizione turco-azera nel Karabakh e posizionare il paese all’interno della sfera d’influenza russa, evidentemente schierata a favore del governo di Baku.
Quali possibili evoluzioni?
La conseguenza del riconoscimento degli Stati Uniti del genocidio degli armeni si configura come un forte strumento di pressione sulla Turchia, non solo per l’appoggio all’Armenia nelle sue richieste di risarcimento ad Ankara, ma perché attaccare apertamente Washington metterebbe Ankara in ulteriore difficoltà sulla scena politica internazionale. Allo stesso tempo Biden, nel colloquio telefonico avuto con Erdogan poco dopo la pubblicazione della dichiarazione, si è impegnato a far da garante nella distensione delle relazioni tra Armenia e Turchia, cercando quindi di rafforzare la posizione di leadership americana. Di certo, come affermato dal ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu “le parole non possono cambiare o riscrivere la storia. E noi non prendiamo lezioni sul nostro passato da nessuno”, a sottolineare come le relazioni turco-americane siano al momento appese ad un filo.