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Biden promette nuovi aiuti per la lotta al cambiamento climatico

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Lo scorso 21 settembre, Joe Biden ha fatto il suo debutto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Parlando ad una platea più piccola del solito, Biden ha lanciato un appello generale per una nuova era di unità globale nel fronteggiare importanti sfide, come quella riguardante il cambiamento climatico.

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“La nostra sicurezza, la nostra prosperità e le nostre stesse libertà sono interconnesse, a mio avviso come mai prima d’ora”. Così Biden ha chiamato a raccolta alleati e non. Per la questione del cambiamento climatico secondo un rapporto pubblicato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change – un corpo di scienziati convocato dalle Nazioni Unite – anche se le nazioni hanno iniziato a ridurre drasticamente le emissioni, è probabile che il riscaldamento globale aumenti di un grado e mezzo entro i prossimi due decenni. Il ritardo negli obiettivi che l’Accordo di Parigi aveva stabilito è sempre più probabile.

Inquadrando il suo discorso in un vago multilateralismo, il presidente americano ha dichiarato che intende lavorare con il Congresso per aumentare il contributo annuale degli Stati Uniti ai paesi in via di sviluppo a 11,4 miliardi di dollari. Una somma necessaria “per sostenere i paesi e le persone che saranno colpiti più duramente e che hanno meno risorse per adattarsi”. “Questo renderà gli Stati Uniti leader nella finanza pubblica per il clima”, ha affermato. L’impegno mira ad alleviare la sfiducia e la rabbia tra molte nazioni in via di sviluppo che hanno fatto poco per causare il riscaldamento globale.

Una spaccatura tra le parti che ha eroso il senso di unità che sarà necessario durante la COP26 di Glasgow che si terrà in autunno, quando i leader del mondo cercheranno di implementare la strategia globale per fermare il riscaldamento del pianeta. Mohamed Adow, direttore del think tank africano per il clima e l’energia Power Shift Africa, ha dichiarato che “è bello vedere che il presidente Biden sta aumentando l’importo e che gli Stati Uniti stanno contribuendo, e altri dovrebbero certamente seguire l’esempio. Tuttavia, gli Stati Uniti sono ancora tristemente a corto di ciò che devono”.

I paesi più sviluppati, circa un decennio fa, si impegnarono nell’iniziare a fornire 100 miliardi all’anno entro il 2020 per aiutare le nazioni più vulnerabili nell’affrontare le conseguenze dell’innalzamento del livello del mare, delle ondate di calore, dell’intensificarsi degli uragani e di altri effetti del riscaldamento – e per accelerare la transizione dai combustibili fossili man mano che tali economie crescono. Tuttavia, quei soldi non si sono mai materializzati completamente.

Secondo un’analisi dell’OCSE, le nazioni sviluppate hanno mobilitato 79,6 miliardi di dollari nel 2019 per aiutare i paesi più poveri a far fronte ai cambiamenti climatici: un aumento del 2% rispetto all’anno precedente, ma ancora 20 miliardi sotto quanto promesso. Secondo le Nazioni Unite, meno di tre quarti di quel denaro finanzia la riduzione dei gas serra, piuttosto che affrontare gli impatti climatici. “Il mancato adempimento di questo impegno sarebbe una delle principali fonti di erosione della fiducia tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo”, ha detto il ​​segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. “Le nazioni sviluppate devono colmare questo divario”.

Anche se Biden ha promesso un’azione aggressiva per ridurre le emissioni della nazione almeno della metà entro la fine del decennio, gli Stati Uniti hanno affrontato critiche per non aver donato la loro giusta quota per aiutare i paesi più vulnerabili colpiti dai cambiamenti climatici. Ad aprile, l’amministrazione Biden ha promesso di raddoppiare i finanziamenti annuali per il clima ai paesi in via di sviluppo entro il 2024, portandoli a 5,7 miliardi di dollari, una cifra che molti critici hanno definito troppo irrisoria dato il ruolo dell’America come il più grande emettitore di carbonio storico del mondo. Biden ha quindi cercato di raddoppiare nuovamente quel numero, con particolare attenzione ai finanziamenti per aiutare le nazioni ad adattarsi alle calamità che si stanno già verificando.

All’inizio di quest’anno, un’analisi del think tank internazionale indipendente Overseas Development Institute ha rilevato che gli Stati Uniti dovrebbero idealmente contribuire da 31,9 a 49,4 miliardi di dollari all’anno per l’aiuto climatico per le nazioni in via di sviluppo. Questa settimana, una raccolta di gruppi di difesa, tra cui il Consiglio per la difesa delle risorse naturali e il Sierra Club, ha invitato l’amministrazione a impegnare almeno 12 miliardi di dollari all’anno entro il 2024. Mentre alcuni attivisti per il clima hanno elogiato l’ultima promessa di Biden martedì, molti hanno anche chiarito che si aspettano impegni ancora più audaci e più ampi dagli Stati Uniti e da altre nazioni in vista della COP26 di novembre a Glasgow.

E la Cina? Sulla scrivania di Biden i dossier aperti sono sempre molti, a partire da quello sulla sfida cinese. Anche il presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping è intervenuto all’ONU, facendolo per ultimo e con un video registrato. Xi Jinping si è mostrato maggiormente accondiscendente riguardo ai cambiamenti climatici, questione impossibile da risolvere senza il contributo di Pechino.

Così come Biden, il leader della RPC ha annunciato passi potenzialmente significativi per affrontare il cambiamento climatico. Un raro momento di intenzioni comuni, quanto meno. Se Biden ha affermato l’intenzione raddoppiare il contributo finanziario americano agli sforzi dei paesi in via di sviluppo per affrontare la crisi climatica, Xi ha affermato che la Cina smetterà di finanziare progetti energetici a carbone all’estero.

Il futuro appartiene a coloro che danno alla loro gente la possibilità di respirare liberamente, non a coloro che cercano di soffocare la loro gente con un autoritarismo dal pugno di ferro

Tuttavia, un tema importante del discorso di Biden è stato quello che ha riguardato il bivio cui il mondo si trova davanti: scegliere tra i valori democratici sposati dall’Occidente e il disprezzo per loro da parte della Cina e di altri governi autoritari. “Il futuro appartiene a coloro che danno alla loro gente la possibilità di respirare liberamente, non a coloro che cercano di soffocare la loro gente con un autoritarismo dal pugno di ferro”, ha detto il presidente statunitense. “Gli autoritari del mondo cercano di proclamare la fine dell’era della democrazia, ma si sbagliano”. I risvolti geopolitici, e in questo caso anche narrativi, coinvolgono sempre il discorso fondendosi con le dinamiche dell’agenda. Che anche la questione climatica fosse terreno di scontro era già chiaro, anche vedendo la proposta americana B3W, chiara risposto al tentativo di contro-globalizzazione di Pechino portato dalla Belt and Road Initiative. Le infrastrutture e gli investimenti, come abbiamo visto, sono punti fondamentali per il tema climate change.
A tutte le latitudini.

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