La crescita delle relazioni politiche ed economiche tra Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese, accompagnata da un progressivo disimpegno statunitense dall’Europa e dal Medio Oriente, ha fatto sì che vecchie narrazioni e immagini suggestive prendessero nuovamente consistenza recuperando l’idea dell’”Heartland” euroasiatica contrapposta alla talassocrazia americana, ma è doveroso chiedersi: si può parlare davvero di un’alleanza tra Mosca e Pechino?
L’asse per convenienza: il nemico del mio nemico è mio alleato
Il nuovo corso delle relazioni sino-russe può essere efficacemente descritto utilizzando la formula “axis of convenience”, che Bobo Lo impiega nel suo omonimo testo al fine di rappresentare l’unione tra Mosca e Pechino, ovvero una cooperazione che può unicamente svilupparsi nella misura in cui le due potenze necessitano della collaborazione l’una dell’altra al fine di erodere progressivamente l’egemonia americana nel sistema internazionale. La formazione di questo asse di convenienza, che Lo descrive già a partire dal 2008, può dirsi apertamente consolidata solo nel 2012, anno in cui la cooperazione bilaterale inizia a prendere la forma di una strutturata collaborazione che dalle tradizionali questioni di sicurezza, quali la lotta al terrorismo e il controllo dei confini, muove verso una più approfondita cooperazione militare e economica. A guidare la ritrovata unione sono tre settori prioritari: lo sviluppo congiunto di capacità militari, la cooperazione in materia di Ricerca e Sviluppo e, da ultimo, lo sfruttamento di risorse energetiche e l’apertura di nuove vie di comunicazione tra Oriente e Occidente.
Il lancio di vaste esercitazioni militari congiunte non è una novità assoluta nella storia della cooperazione russo-cinese, già nel 2005 le forze armate delle due potenze avevano avviato una serie di esercitazioni antiterrorismo e, ancor prima, nel 2003 avevano collaborato nell’ambito dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, ma il lancio delle “Joint Sea” rappresenta un radicale cambiamento. I war games che si sono articolati a partire dal 2012 hanno visto una vasta partecipazione delle Marine dei due paesi nell’ambito di simulazioni di assalti anfibi, azioni di scorta in acque contese e difesa attiva antisommergibile e antinave, con ottimi risultati in termini di integrazione delle forze e interoperabilità. Le Joint Sea rappresentano quindi uno strumento per dimostrare plasticamente la propria forza, soprattutto nelle acque contese dell’Estremo Oriente o al confine con la NATO in Europa, come è accaduto in occasione dell’esercitazione congiunta del 2015, che ha visto una prima fase nel Mediterraneo Orientale e una seconda nelle acque della Baia di Pietro il Grande, o della “Joint Sea 2017” tenutasi tra l’exclave di Kaliningrad e le acque contese del Mar del Giappone. La cooperazione militare ha avuto ampio seguito anche sulla terraferma con una serie di esercitazioni di minor portata nell’ambito del Gruppo di Shangai e un vasto war game tenutosi nel 2018, il Vostok 2018 forte di 290.000 uomini, che, pur vedendo le forze cinesi nel solo ruolo di osservatori, dalle parole del Ministro della Difesa Russo Sergey Shoigu, sarà solo la prima di una più ampia serie di esercitazioni congiunte.
Contestualmente all’aumento delle esercitazioni congiunte è esponenzialmente cresciuta la cooperazione tecnica e lo sviluppo di programmi di ricerca comuni. Attualmente le industrie russe e cinesi svolgono due ruoli tra loro complementari: le prime sono fornitrici di componentistica e sensoristica high-tech, mentre le seconde offrono capitali altrimenti insostenibili per la Russia finalizzati al finanziamento di programmi di ricerca e sviluppo congiunti. Fondamentali sono quindi i settori di investimento, primo fra tutti la componentistica ad alta tecnologia per lo sviluppo di caccia multiruolo di V generazione, lo sviluppo di adeguate capacità di difesa e offesa cibernetica e, soprattutto, lo sviluppo di capacità A2/AD (Anti Access/Area Denial), cruciali per limitare la capacità di proiezione di forze avversarie.
Da ultimo, è opportuno guardare allo sviluppo della cooperazione economica e energetica, settore in cui la struttura portante della cooperazione russo-cinese si manifesta plasticamente in forma di gasdotti e nuove rotte commerciali. La firma nel 2014 dell’accordo tra Gazprom, il gigante russo dell’energia, e la China National Petroleum Corporation ha aperto la strada alla costruzione di un’immensa rete di infrastrutture, la “Potenza della siberia”, che forte di 3000 km di conduttore sarà in grado di portare 38 miliardi di metri cubi di Gas Naturale Liquefatto dagli impianti siberiani alle regioni più interne della Cina a partire dalla fine del 2019. L’accordo oltre alla valenza economica, circa 400 miliardi in 30 anni, comporta un evidente riorientamento della politica energetica russa verso oriente rispetto alla tradizionale proiezione occidentale imperniata sugli storici gasdotti passanti per i territori dell’ex Unione Sovietica e il Mar Baltico. Con il lancio della Belt and Road Initiative, la Cina ha dimostrato una crescente attenzione per la possibilità di sfruttare l’artico russo come nuova fonte di idrocarburi (si veda la costruzione del Yamal LGN Megaproject) e come rotta settentrionale delle “nuove vie della seta”. Lo scioglimento dei ghiacciai nell’estremo nord ha permesso l’apertura, quasi annuale, del passaggio a nord-est consentendo il transito senza l’ausilio di navi rompighiaccio di un volume sempre crescente di merci rendendo la rotta artica, nelle parole del Governo cinese, “una delle rotte marittime del XXI secolo”.
Oltre la Geopolitica: limiti e contraddizioni dell’asse Mosca-Pechino
Malgrado il quadro finora esposto, molte sono le perplessità che accompagnano il percorso di avvicinamento tra Russia e Cina. L’assenza di strutture di cooperazione istituzionalizzate fa sì che i sospetti reciproci e le incomprensioni, retaggio di un passato segnato da profonde differenze politiche e culturali, continuino a permanere nella forma di un timore russo per una prossima “nuova invasione mongola” e di un sempre presente preconcetto cinese verso il “barbaro” e imperiale vicino. Oltre gli aspetti culturali però, questioni politiche dirimenti segnano tutti i limiti di questa insolita alleanza. Pur guardando a Oriente, la politica estera russa ha sempre visto il proprio baricentro nelle relazioni con l’Occidente e i recenti interventi in Ucraina e Siria dimostrano l’assoluta centralità che Europa e Mediterraneo ricoprono nell’azione diplomatica del Cremlino. Ulteriormente, l’ascesa cinese si scontra con la tradizionale presenza russa in Asia Centrale e gli interessi commerciali nell’Estremo Oriente che vedono Giappone, India e Vietnam essere i principali acquirenti di risorse energetiche e armamenti russi e, allo stesso tempo, alcuni dei principali oppositori alle rivendicazioni cinesi nell’Asia-Pacifico. Contestualmente la Repubblica Popolare Cinese sembra essere il motore trainante della nuova alleanza e, pur riconoscendo a Mosca il grado di grande potenza militare, potrebbe non essere così disposta a dividere i frutti del proprio successo con quello che è, nei fatti, il proprio junior partner. Ulteriormente, la Russia lotta per vedersi riconosciuto il proprio status, la Cina lotta per vedersi riabilitata internazionalmente dopo il “secolo della vergogna”, assumendo quindi una spiccata proiezione globale contrapposta alla volontà russa di riconoscimento della propria sfera di influenza regionale.
L’Heartland euroasiatico è quindi ben lontano dall’essere un blocco compatto, ma, almeno nel breve periodo, le contraddizioni e i limiti di tale insolita alleanza non sembrano minare la stabilità dell’unione tra l’Orso e il Dragone. A spingere i due verso una maggiore cooperazione è inoltre l’atteggiamento perseguito dall’Amministrazione Trump che nella propria National Security Strategy 2017 definisce i due rivali come potenze revisioniste sfidanti l’ordine unipolare americano. In ragione di ciò la pressione costante cui Mosca e, soprattutto, Pechino sono sottoposte potrebbe aumentare gli stimoli alla cooperazione creando così davvero un unico blocco orientato a sfidare la posizione degli Stati Uniti.