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Cosa si è detto durante le audizioni delle Commissioni Forze Armate sull’Afghanistan

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Le dichiarazioni dei più alti vertici politico-militari dell’Amministrazione Biden hanno contribuito a far luce su diversi aspetti particolarmente rilevanti della gestione americana nell’ultima fase della guerra afghana. I Generali hanno rivelato alcuni dettagli scottanti. Biden avrebbe agito contro il parere dei suoi principali consiglieri militari, i quali suggerivano di non ritirare tutti gli uomini dal Paese. I risultati dell’audizione mettono in luce l’urgenza di uno studio approfondito sugli errori commessi durante la guerra afghana.

Articolo precedentemente pubblicato nel quindicesimo numero della newsletter “A Stelle e Strisce”. Iscriviti qui

I contenuti dell’audizione

Nelle giornate del 28 e del 29 settembre, il Segretario della Difesa americano, Lloyd Austin, il Capo di Stato Maggiore Congiunto delle forze armate statunitensi, il Generale Mark Milley, e il comandante del US Central Command, il Generale Kenneth McKenzie, sono stati ascoltati presso le Commissioni Forze Armate della Camera dei Rappresentati e del Senato. Il focus delle due audizioni – il 28 presso il Senato e il 29 presso la Camera – è stato, ovviamente, l’Afghanistan. In particolare, i membri delle due Commissioni hanno interrogato i principali vertici della Difesa in merito al processo decisionale che ha determinato gli eventi a cui abbiamo assistito nella seconda metà di agosto a Kabul. La discussione si è poi spostata sulle principali organizzazioni terroristiche ancora presenti in Afghanistan, cioè al Qaeda e lo Stato Islamico del Khorasan (ISISK) e sulle modalità con cui i vertici militari intendono gestire la minaccia rappresentata da queste formazioni. 

Durante le audizioni, il Segretario Austin ha risposto in maniera alquanto formale ed evasiva alle domande, spesso molto dirette e molto scomode, dei membri della Commissione. A differenza dei due alti ufficiali che lo accompagnavano – i quali non hanno mancato di esprimere giudizi chiari ed espliciti su quanto accaduto – Austin è sembrato svolgere un ruolo di mediatore tra la platea di parlamentari e i due responsabili militari delle operazioni a Kabul, letteralmente sottoposti ad un’ondata di critiche, specialmente da parte degli esponenti del partito repubblicano

Tra i tre, è stato soprattutto il Generale Milley a rispondere alle domande più scomode. Oltre a quelli riguardanti la gestione del ritiro dall’Afghanistan, Milley ha infatti dovuto rispondere a una moltitudine di interrogativi riguardanti la recente bufera mediatica che ha letteralmente travolto l’alto ufficiale. Essa è scaturita in seguito alla pubblicazione di un libro, scritto da un giornalista del Washington Post, in cui Milley viene accusato di aver telefonato di sua iniziativa direttamente al suo omologo cinese, rassicurandolo sul fatto che gli Stati Uniti, quando Trump era presidente, non avrebbero intrapreso nessuna iniziativa militare contro la Cina, soprattutto di tipo nucleare, senza un preavviso da parte di Milley stesso. Il Generale ha voluto fare chiarezza in merito a questo evento prima di accogliere le domande dei politici sull’Afghanistan, spiegando come, ancora prima di quella telefonata, fonti di intelligence avessero riferito al Pentagono che il governo cinese era seriamente preoccupato dall’eventualità di un imminente attacco americano nei confronti di Pechino. Il suo colloquio con il capo delle forze armate cinesi, peraltro ordinatogli formalmente dall’allora Segretario della Difesa, Mark Esper, altro non era che un tentativo di rassicurazione formale nei confronti dei vertici militari cinesi. «Il mio compito era quello di rassicurare i cinesi. Il mio messaggio è stato coerente con l’ordine ricevuto: state calmi, e tranquillizzatevi. Non vi stiamo per attaccare», ha detto Milley nel suo discorso iniziale.

Le rivelazioni dei Generali

Nonostante il giustificato riserbo con cui i Generali e il Segretario Austin – i primi in virtù del loro status di militari e a tutela delle informazioni più sensibili e ancora classificate, il secondo soprattutto per ragioni di carattere politico – hanno risposto alle domande nei loro confronti, durante le audizioni sono emerse alcune importanti rivelazioni in merito al processo decisionale che ha portato al ritiro dall’Afghanistan. Quella che è stata accolta con maggior scalpore dai membri della Commissione è stata indubbiamente la dichiarazione con cui i due ufficiali, prima il Generale Milley poi il Generale McKenzie, hanno esplicitamente riferito di aver messo in guardia il Presidente Biden, fin dall’autunno del 2020, dalla decisione di ritirare completamente le forze schierate in Afghanistan, giudicando la presenza sul terreno di almeno 2.500 uomini a supporto delle ASNF come qualcosa di necessario per evitare un altrimenti probabile collasso delle istituzioni politiche e militari del Paese. Come prevedibile, questa dichiarazione ha suscitato una dura reazione da parte dei membri della Commissione, soprattutto tra i repubblicani, i quali si sono scagliati con veemenza contro Milley e McKenzie, accusandoli di aver agito nel loro esclusivo interesse quando, una volta ricevuto l’ordine di ritirare tutte le forze, hanno deciso di non rassegnare immediatamente le dimissioni. «I presidenti non sono eletti per caso. Lo sono perché devono prendere decisioni strategiche», ha risposto Milley a chi lo invitava a criticare il Presidente Biden per non aver seguito il suo consiglio, «i militari devono fornire i migliori pareri militari che sono in grado di elaborare, ma i decisori che ricevono questi pareri non sono tenuti in nessun modo a seguirli». «Il mio lavoro», ha continuato Milley, «è quello di fornire i migliori pareri militari possibili […] Se mi dimettessi, compirei un atto politico, un atto di sfida nei confronti del Presidente […] Se l’ordine è legale, io obbedisco». 

Il mancato accoglimento del parere dei militari da parte di Biden, tuttavia, non basta da solo a spiegare la viva reazione dei politici delle Commissioni. In effetti, ciò che molti di essi hanno aspramente criticato non è stata tanto la decisione di Biden, quanto le dichiarazioni che il presidente ha rilasciato proprio in merito a questo tema. Il Senatore repubblicano Roger Wicker ha fatto notare alla Commissione come il Presidente Biden in passato si fosse espresso a più riprese su questo argomento con dichiarazioni che contraddicevano quanto i Generali gli avevano riferito. Secondo quanto riferito da Wicker, Biden avrebbe dichiarato, l’8 luglio, che «la possibilità che i Talebani prendano il controllo di tutto il Paese è molto improbabile». Nella stessa occasione, il Presidente si sarebbe espresso sulle capacità delle ANSF, dichiarandosi fiducioso delle capacità militari delle forze di Kabul. Il senatore Cotton è poi intervenuto citando un ulteriore caso in cui, a sua detta, il Presidente avrebbe chiaramente mentito agli americani: in un’intervista all’ABC tenutasi il 19 agosto 2021, Biden avrebbe dichiarato esplicitamente che nessuno dei suoi consiglieri militari gli aveva mai consigliato di mantenere 2.500 uomini sul terreno. Interrogati a riguardo, i due Generali hanno preferito non commentare.

McKenzie ha proseguito la discussione chiarendo che, in ogni caso, la permanenza sul territorio di qualche migliaio di militari statunitensi avrebbe potuto determinare una nuova stagione di combattimenti tra le forze americane e quelle talebane. Sarebbe in questo modo saltata anche quella che Milley ha definito, a ragione, «l’unica clausola degli accordi di Doha rispettata dai Talebani», ovvero quella che prevedeva la cessazione degli attacchi da parte degli studenti coranici nei confronti delle truppe della Coalizione. Austin ha poi riferito, su esplicita domanda da parte del senatore Thomas Cotton, che il 25 agosto, durante la caotica evacuazione da Kabul, il Presidente Biden aveva chiesto nuovamente ai vertici militari se fosse conveniente mantenere delle truppe nel Paese anche dopo la scadenza del ritiro fissata al 1° settembre 2021, ma che in quell’occasione nessuno si era espresso favorevolmente. In quel caso, ha spiegato Milley, i Talebani avrebbero senz’altro reagito attaccando con violenza le truppe americane. «Avremmo dovuto schierare almeno 15.000/20.000 uomini, forse anche 25.000 […] Avremmo dovuto bonificare la capitale, Kabul, dove al momento erano presenti almeno 6.000 combattenti Talebani. Avremmo dovuto rioccupare Bagram. Molti uomini sarebbero morti». In quel momento, mantenere una presenza militare sul terreno non era dunque un’opzione, politicamente percorribile. 

Un «successo logistico e una sconfitta strategica»

Un altro tema scottante è stato quello del rapido collasso delle ANSF e del governo afghano. Su questo, sia il Segretario Austin che i due Generali hanno ammesso le gravi colpe dell’intelligence statunitense. Milley e McKenzie hanno speso più parole di Austin su questo tema. Entrambi hanno concordato nel definire la firma degli accordi di Doha una delle principali cause del tracollo morale delle forze di Kabul, un evento che gli Stati Uniti hanno sottovalutato. I vertici militari e dell’intelligence, secondo i Generali, non si sono accorti di quanto stava accadendo tra le fila delle ANSF. «L’errore», ha dichiarato da Milley, «è stato quello di ritirare gli advisor militari americani», una decisione presa da Trump già tre anni fa. «Potevamo contare con estrema precisione il numero di cannoni, di aeroplani e di munizioni di cui disponevano le ASNF, ma non potevamo misurare la loro volontà di combattere. Questa si misura solo stando con loro, sul terreno». McKenzie ha ammesso che, soprattutto nei giorni antecedenti la presa di Kabul da parte dei Talebani, quasi nessun militare delle ANSF si è battuto. «Meno del 5% ha continuato a combattere», ha detto il comandante del CENTCOM, «alla fine, Kabul è stata presa da un paio di centinaia di Talebani in motocicletta». I Generali hanno chiarito come le fonti dell’intelligence di cui disponevano avessero previsto una sconfitta molto più lenta e graduale. Secondo loro, le ANSF avrebbero potuto sostenere l’urto talebano senza il supporto americano fino all’autunno. Kabul avrebbe potuto essere difesa ancora più a lungo, anche fino alla primavera. 

Proprio gli errori di previsione dei militari sono stati l’elemento da cui è scaturita la caotica evacuazione da Kabul. Il Generale Milley ha sfruttato la domanda di un senatore, che lo incalzava chiedendogli perché i vertici politico-militari non avessero iniziato l’evacuazione prima, per ripercorrere l’ordine degli eventi. L’evacuazione, che ci sarebbe dovuta essere in ogni caso, non sarebbe dovuta procedere nel modo in cui abbiamo assistito. Confidando su una più solida resistenza da parte delle ANSF, gli americani prevedevano di evacuare in agosto solo gli ultimi 700 militari rimasti a Kabul, mantenendo comunque aperta l’ambasciata, la cui sicurezza sarebbe stata affidata ai contractors. Il tutto senza andare oltre la scadenza del 1° settembre. Tuttavia, il crollo inaspettato delle ASNF ha imposto ai militari l’attivazione di un piano di contingenza, accuratamente preparato e predisposto in tutti i dettagli, che prevedeva l’invio di circa 6.000 militari a difesa dell’aeroporto – il Generale McKenzie, peraltro, ha anche rivelato alla Camera che, poco prima che avesse inizio l’evacuazione, i Talebani si erano proposti di occuparsi della sicurezza dell’aeroporto di Kabul, ma che egli dovette rifiutare perché «gli ordini ricevuti non lo consentivano». 

La Non-Combatant Evacuation (NEO) – così viene chiamata dai Generali – cui abbiamo assistito a Kabul non è stata altro che l’implementazione concreta di un piano di contingenza predisposto nei mesi precedenti. Questo aspetto è stato sottolineato con orgoglio da Austin. Secondo il Segretario della Difesa, infatti, la NEO che hanno condotto i militari americani, resa possibile da un’accurata pianificazione iniziata già in primavera, è stata «un’operazione alquanto complicata, condotta in circostanze molto difficili: caldo afoso, nessuno sbocco al mare, una situazione sul terreno molto dinamica e una minaccia terrorista persistente». 

Il Generale Milley si è espresso in termini meno ottimisti a riguardo. Secondo il Generale americano, ciò a cui abbiamo assistito in Afghanistan nelle ultime settimane di agosto è stato «un successo logistico e un fallimento strategico». Nonostante le truppe americane siano riuscite a implementare con successo un piano che ha portato all’evacuazione di più di centomila persone, la guerra in Afghanistan è stata persa. Milley ha continuato dicendo che «la guerra non è stata persa negli ultimi 19 giorni di agosto, ma negli scorsi venti anni». Questo, secondo l’alto ufficiale americano, per diversi motivi, tra i quali gli errori della Coalizione nella formazione delle ANSF, «che abbiamo formato a nostra immagine e somiglianza», la distrazione della guerra in Iraq a partire dal 2003 e la non sufficiente attenzione riservata al ruolo del Pakistan. Milley ha perfino dichiarato, in audizione alla Camera, di essere stato convinto che la guerra fosse piombata in una situazione di stallo già dal 2015, e che da allora non aveva mai più creduto a una soluzione militare del conflitto. 

Il futuro dell’Afghanistan

Una parte alquanto rilevante della discussione ha riguardato il futuro delle operazioni americane in Afghanistan. I deputati e i senatori delle Commissioni hanno interrogato a più riprese i due Generali, in particolare il Generale McKenzie, sui piani predisposti dal CENTOCM per evitare la ricostituzione delle principali formazioni terroristiche che minacciano gli Stati Uniti in Afghanistan.

McKenzie ha subito chiarito, senza troppi giri di parole e in contraddizione con quanto dichiarato da Biden a metà agosto, che al Qaeda non ha lasciato l’Afghanistan, e che per questo motivo «la guerra non è affatto finita». Milley ha rincarato la dose: «esiste la possibilità concreta che al Qaeda e ISIS riprendano forza in Afghanistan. Potremmo fornire una valutazione completa tra qualche mese». L’ISIS, poi, «ha preso nuovo vigore grazie alla liberazione di migliaia di prigionieri lasciati fuggire dalle carceri di Kabul».

In merito alla possibilità che gli USA possano condurre operazioni di controterrorismo contro obiettivi posti in Afghanistan, anche senza disporre di basi sul terreno, McKenzie si è dichiarato ottimista. Secondo l’ufficiale, anche se la condotta di operazioni over the horizon (OTH) è resa difficile non tanto dalle distanze delle basi americane dal confine afghano, quanto dall’assenza di un sufficiente numero di fonti di intelligence umane sul terreno, i militari americani ce la faranno. 

Interrogato poi sulla fattibilità di una collaborazione con i Talebani, McKenzie si è espresso in termini meno ottimisti. Anche se stanno conducendo una guerra aperta con l’ISIS, il comandante del CENTCOM ha ribadito come, dopo i colloqui di Doha, gli studenti coranici hanno rispettato solo una delle clausole imposte dal trattato. «Anche se abbiamo collaborato su alcuni aspetti durante l’evacuazione nell’aeroporto di Kabul», ha dichiarato il Generale «ho imparato che i Talebani vanno giudicati dai fatti, non dalla parole […] di loro non mi fido». Il Generale McKenzie ha perfino dichiarato che gli Stati Uniti non escludono, in caso di estrema necessità, di dover tornare in Afghanistan. 

La condotta di operazioni di controterrorismo in assenza di una sufficiente quantità di intelligence proveniente da fonti umane sul terreno è stata messa in forte dubbio da diversi esponenti della Camera e del Senato, i quali hanno fatto notare quanto sia facile, in queste condizioni, causare tragici errori. Proprio in merito a questo aspetto, i due Generali hanno dichiarato, con lo stupore di tutti, di essersi accorti dell’errore compiuto il 29 agosto, quando un missile lanciato da un drone statunitense ha causato la morte di dieci afghani innocenti, solo diversi giorni dopo l’accaduto. C’è da dire, a riguardo, che non sono solo politici coloro che hanno espresso dubbi in merito alle capacità di condurre operazioni OTH, dato che anche il Generale McMaster, ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale, ha definito questa possibilità “un sogno irrealizzabile”.Il Segretario Austin, insieme ai Generali, ha auspicato a più riprese l’avvio di uno studio approfondito che esamini con lucidità e con obiettività gli errori commessi durante la condotta della guerra afghana e identifichi le lezioni apprese dagli Stati Uniti e dai loro alleati durante i vent’anni di conflitto. Un rapporto di questo genere sarebbe utile non solamente al Pentagono e a tutte le agenzie americane che, a vario titolo, hanno preso parte al processo di ricostruzione dello stato afghano, ma anche a tutti i Paesi che hanno contribuito all’operato della missione ISAF/Resolute Support, inclusa l’Italia. Le rivelazioni fornite dai vertici politici e militari dell’attuale Amministrazione durante le audizioni, anche se limitate, oltre che dal tempo, dallo status e dal ruolo degli oratori, mettono in chiara luce l’urgenza di un lavoro che faccia chiarezza su quanto accaduto durante il conflitto più lungo della storia militare americana.

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