L’Europa non ha fatto in tempo a riprendersi dalla tragedia che ha colpito le studentesse in Erasmus in Spagna, che deve oggi fronteggiare un altro enorme disastro interno. Gli attentati di questa mattina all’aeroporto di Bruxelles e alla metro cittadina hanno portato alla morte – questi sono i numeri che arrivano sino ad ora – di 34 persone. L’attacco all’aeroporto della capitale belga è avvenuto, a quanto pare, di fronte al desk dell’American Airlines. Si attende la rivendicazione ufficiale dello Stato Islamico, ma è del tutto verosimile che avverrà a breve.
L’Europa si mostra, ancora una volta, sin troppo vulnerabile. E anche oggi è stata colpita in alcuni luoghi simbolici: Bruxelles come uno dei centri cruciali dell’UE, l’aeroporto come luogo – almeno teoricamente – maniacalmente controllato e la metro come mezzo utilizzato da tutta la popolazione. Infine, ma non da ultimo, la tragedia si è consumata da una parte di fronte al riferimento della compagnia americana e dall’altra vicino ai luoghi più rappresentativi dell’UE: dal punto di vista simbolico, per non parlare di quello terroristico stricto sensu, l’impatto è enorme, abissale.
Sono ancora vivide le immagini di una Bruxelles impietrita, immobilizzata, ferma nel suo terrore nelle settimane successive agli attentati parigini, alla disperata ricerca degli attentatori. Oggi, a pochissimi giorni dalla cattura di Salah Abdeslam, uno degli attentatori di Parigi dello scorso 13 novembre, assistiamo al ritorno dirompente alla massima allerta cittadina. Non si è avuto modo di rifiatare, di tirare un sospiro di sollievo per la cattura del terrorista, che si è ripiombati nel caos provocato dal terrorismo.
Nelle azioni terroristiche dello Stato Islamico, che tendono a colpire senza limiti spaziali, si può intravedere l’applicazione di quella concezione, introiettata in maniera estremistica, secondo cui il mondo si suddivide nel dar al-Islam (la casa dell’Islam) e nel dar al-harb (la casa della guerra), abitato dai non fedeli. Una concezione manichea secondo cui varcati i confini del mondo islamico tutto diventa possibile. In questa dinamica di conflitto dell’ISIS verso l’Occidente infedele, si ravvisano altri elementi di enorme criticità: le esplosioni odierne sono avvenute in una città che, in linea teorica, avrebbe dovuto prevenire ogni futura possibilità di attentato.
Le crepe nel suo sistema di intelligence e di polizia sono ormai evidentissime: non solo il più ricercato degli uomini in Europa è stato scovato solo dopo circa quattro mesi di ricerche, nel suo quartiere d’origine che era stato individuato da subito come potenzialmente a rischio, ma quanto avvenuto oggi dimostra una radicata impossibilità o, per attenuare, difficoltà del Belgio e dell’Unione Europea tutta a prevenire future azioni terroristiche. E, poi, lo Stato Islamico ha dimostrato una capacità di azione immediata e tragicamente efficace di agire in ogni parte del mondo, forse temendo – come ha sottolineato Guido Olimpio – che indiscrezioni di Salah potessero far saltare le operazioni. Ma il fatto rimane, e rimane anche il dato che nonostante il pentimento e la richiesta di Salah di non essere trasferito in Francia, nulla si è potuto per contrastare gli attacchi odierni e a nulla è servito interrogare l’attentatore di Parigi per giorni.
In questa sua capacità si ravvisa la sua tensione all’azione universale, globale, e come potenza capace di colpire ovunque. Non solo la dimensione geografica assume una piena centralità in queste riflessione, ma consideriamo anche la tempistica utilizzata. Il terrorista dell’ISIS viene arrestato e nell’immediato vengono organizzati e realizzati due nuovi attacchi, senza possibilità da parte europea di prevenirli e mostrando una capacità d’azione rapidissima dell’ISIS. Ciò significa anche che esistono cellule silenti capaci di intervenire da un giorno all’altro, rendendo debolissimo e fragile tutto il territorio europeo, colpito oggi nel suo epicentro, nella sua zona più sensibile. Il fatto che quanto avvenuto oggi a Bruxelles si inserisca nella settimana Santa, non sembra poi affatto casuale e rafforza enormemente, in senso simbolico e propagandistico, l’azione e il peso del Califfato nel mondo islamico.
La capacità pervasiva dell’ISIS, già
sottolineata in precedenza, e che lo porta a colpire ovunque nel mondo, era stata rimarcata anche da un recente video prodotto da Al-Hayat, centro mediatico del Califfato. Gli appartenenti all’ISIS avevano rivendicato le atrocità compiute nella capitale francese attraverso quella produzione dal titolo eloquente: «kill them wherever you find them». In quel video si mostravano i «nove leoni del Califfato» addestrarsi nei campi siriani e, tra di essi, lo stesso Salah. Il messaggio era chiarissimo: negli ultimi due anni, cittadini europei che hanno giurato fedeltà allo Stato Islamico, hanno potuto raggiungere la Siria senza difficoltà, addestrandosi per combattere l’Europa e il mondo infedele occidentale «in ogni luogo». Ma soprattutto, implicitamente si rendeva nota la possibilità di intervenire in Europa attraverso le proprie cellule e in via immediata, come oggi hanno fatto. Quel messaggio propagandistico è oggi divenuto, ancora una volta, tragica realtà effettuale.
I leoni del Califfato venivano santificati in quel video dalla propaganda del Califfato, attraverso le parole espresse in arabo e francese che appaiono terribilmente eloquenti «essi vissero i versetti del corano uccidendo i miscredenti ovunque li trovarono. Continuarono così fino a che la sete del loro successo non fu estinta se non tramite il proprio sangue».