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Il regime di Assad ricorre al narcotraffico: il Captagon, la sua diffusione e le conseguenze per Medio Oriente ed Europa

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La disastrosa guerra civile che imperversa in Siria dal 2011 ha raggiunto negli ultimi anni un precario equilibrio. Il regime di Bashar al-Assad è sopravvissuto alle fasi più critiche del conflitto ed è riuscito a recuperare e stabilizzare la propria presa sul Paese con l’aiuto di Russia ed Iran. Seppur vincitore e anche se il conflitto diminuisce d’intensità, il regime deve affrontare complessi problemi interni: in primis, la profonda crisi economica ed umanitaria, aggravata dal più recente terremoto del 6 febbraio, e le sacche di resistenza di gruppi armati ostili. 

Al tempo stesso, durante la guerra sono proliferate diverse attività criminali, prima fra tutte il narcotraffico di una sostanza chiamata Captagon: una droga già presente nella regione almeno dalla seconda guerra del Libano del 2006, originariamente prodotta e diffusa da Hezbollah. La più recente impennata è riconducibile all’attività dello Stato Islamico ed altri gruppi armati durante il conflitto. Dal 2018 in poi, con la progressiva sconfitta di Daesh e il ritorno di Assad, il traffico di questa sostanza è stato monopolizzato dal regime che ne ha aumentato e, sostanzialmente, istituzionalizzato la produzione e l’export. Il Captagon si è diffuso a macchia d’olio in Medio Oriente e il valore del relativo business è cresciuto esponenzialmente, fino a diventare la principale fonte di introiti del regime.

Questo fenomeno sta iniziando a preoccupare la comunità internazionale, principalmente perché i proventi del narcotraffico non sono sanzionabili e garantiscono al regime di Assad una maggiore resilienza alle pressioni internazionali. Ma il Captagon è anche un’ennesima minaccia alla stabilità del Medio Oriente e va ad aggravare ulteriormente la drammatica crisi economica ed umanitaria in Siria. 

Il mercato del Captagon e il suo impatto sulle dinamiche regionali

“Captagon” è il nome più comune per le droghe sintetiche che contengono fenitillina, un derivato dell’anfetamina, originariamente utilizzato come psicofarmaco poi diventato famoso per le sue proprietà stupefacenti. Negli ultimi anni la diffusione della sostanza è cresciuta esponenzialmente nel contesto della guerra civile siriana, in particolare nelle regioni di confine tra Siria e Libano, dove il narcotraffico era già una pratica diffusa da decenni. Il principale motivo per cui diversi gruppi come l’IS, anche se caratterizzati da una forte opposizione ideologica e religiosa agli stupefacenti, si sono dedicati alla produzione di Captagon è che la sua vendita si è rivelata una formidabile fonte di introiti per le diverse fazioni, le quali hanno approfittato della porosità dei confini siriani durante il conflitto per esportare il prodotto nel resto della regione. Inoltre, è tuttora dibattuto se e in che misura diverse milizie abbiano utilizzato sistematicamente il Captagon come stimolante per i propri guerriglieri

La rapida crescita di volume del traffico di Captagon è piuttosto legata alla sua crescente popolarità come droga ricreativa nei ricchi paesi del Golfo. Infatti, mentre in Siria e in Libano il valore di una pillola di Captagon oscilla tra 1 e 2 dollari, in paesi come l’Arabia Saudita il prezzo di vendita può superare i 20 dollari. Questa significativa differenza ha reso il traffico internazionale molto più redditizio ed ha favorito la diffusione della sostanza dall’Algeria alla Malesia. 

Particolarmente interessante è il caso della Giordania: inizialmente solo un Paese di transito per i carichi destinati al Golfo via terra, si è presto creata una domanda interna e il regno è diventato esso stesso un importante mercato per il Captagon. La Giordania era stato uno dei primi Paesi a dare segnali di riconciliazione ad Assad, ma gli ormai numerosi sequestri di stupefacenti lungo il confine tra i due stati hanno riacceso le tensioni e fermato il processo. Ciononostante, è probabile che per il regime siriano i ricavi del narcotraffico siano ormai una priorità anche rispetto ai rapporti diplomatici.

Differente è l’approccio degli Emirati Arabi Uniti che, nonostante siano esposti al traffico di Captagon da anni e continuino a effettuare significativi sequestri della sostanza, hanno comunque optato per il re-engagement con Assad. Ciononostante, la particolare e ambiziosa politica estera del leader emiratino Mohammed bin Zayed sembra essere più l’eccezione che la regola tra gli Stati arabi. Rimane quindi importante monitorare in che modo questo fenomeno può influenzare lo scenario geopolitico mediorientale.

Secondo uno studio del Center for Operational Analysis and Research, il Captagon transita spesso anche per l’Europa, per poi ritornare sul mercato regionale, probabilmente per evitare i rigidi controlli che i paesi del Golfo hanno imposto sui carichi provenienti direttamente da Siria e Libano. Ci sono stati diversi sequestri in Europa, ma il più significativo ha avuto luogo in Italia nel porto di Salerno nell’estate del 2020, quando la Guardia di Finanza ha sequestrato un carico dal valore di 1 miliardo di dollari. È importante notare che questo carico era destinato ad una famiglia della criminalità organizzata locale, dimostrando così l’esistenza di contatti tra la mafia e il regime siriano.

Perché è così importante per il regime?

In questo momento, Bashar al-Assad deve muoversi in un contesto geopolitico molto difficile, caratterizzato da tre problemi principali: il grave isolamento internazionale, le pesanti sanzioni imposte sul regime e il venir meno del supporto di Iran e Russia, distratti rispettivamente da questioni interne ed esterne, preoccupano il regime e ne minacciano la stabilità.

In questo contesto, il Captagon è una risorsa cruciale per far fronte a questi problemi. Infatti, pur avendo un effetto negativo sui rapporti con la comunità internazionale, il narcotraffico garantisce al regime siriano entrate ingenti e, soprattutto, non sanzionabili. Inoltre, i ricavi del Captagon sono in principalmente in valuta straniera, molto più desiderabile della debole Lira Siriana, e utile ad arricchire la cerchia ristretta del regime. Naturalmente, questa ricchezza non raggiunge in alcun modo la popolazione siriana.

Il modo in cui il business del Captagon si è sviluppato contribuisce infatti alla stabilità del regime: la gestione è affidata al fratello di Bashar al-Assad, il generale Maher, comandante di una divisione d’élite dell’esercito siriano, che dal 2018 ha concentrato la produzione nei territori controllati dal regime, soprattutto Damasco e Laodicea. Gli altri imprenditori del Captagon appartengono a famiglie dell’entourage degli Assad, il che garantisce la fedeltà dell’élite governativa siriana.

Per comprendere l’importanza del fenomeno è importante soffermarsi sul suo valore economico: l’esatta quantità di Captagon prodotta ed esportata rimane un mistero ma, secondo le stime basate sul volume dei carichi sequestrati (che dovrebbero essere il 5/10%), si pensa che raggiunga un valore approssimato di 57 miliardi di dollari, che equivarrebbero a quasi 10 volte il normale budget del governo Siriano, secondo Charles Lister, direttore del Syria Program al Middle East Institute

Implicazioni per l’Europa e gli Stati Uniti

Infine, i diversi studi sul traffico di Captagon giungono a due conclusioni chiave: innanzitutto, che le entrate di valuta straniera sono state indispensabili ad Assad per aggirare le sanzioni e stabilizzare il proprio potere sulla Siria. E, in secondo luogo, che le quantità di Captagon prodotte ed esportate dal regime sono cresciute considerevolmente negli ultimi anni, un trend che non sembra destinato a cambiare.

Il fenomeno è preoccupante per due ulteriori motivi: come evidenziato da uno studio del New Lines Institute, narcotraffico, criminalità e violenza tendono ad alimentarsi a vicenda. L’evoluzione verso un autentico narco-stato è quindi destinata ad aggravare la crisi umanitaria ed economica siriana. D’altra parte, il Captagon è anche causa di insicurezza regionale: ha già generato tensioni con la Giordania e il Golfo e rischia di avere ripercussioni su stati confinanti già instabili, come l’Iraq e il Libano.

Occorre che la comunità internazionale inizi a capire come rispondere a questo fenomeno, in particolare gli Stati Uniti e l’Unione Europea, in quanto principali promotori di una linea dura nei confronti di Assad e intenzionati a non lasciar perdere i crimini commessi durante il conflitto. L’amministrazione Biden ha intrapreso un primo passo pochi mesi fa con l’adozione del Captagon Act, che identifica il traffico di narcotici del regime di Assad come una “minaccia alla sicurezza internazionale” e promuove la creazione di una strategia normativa ed operativa per intervenire contro di esso.

Infine, è necessario che l’Unione Europea e in particolare i Paesi mediterranei come l’Italia prestino particolare attenzione all’impatto che il Captagon può avere nel continente. Come menzionato, l’Europa è un importante luogo di transito ed è già accaduto che semplici tappe si trasformassero in mercati a sé stanti per le esportazioni di stupefacenti dalla Siria.

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