Formatasi durante il secondo conflitto mondiale, la partnership tra Stati Uniti e Arabia Saudita si è rivelata un pilastro fondamentale della politica americana in Medio Oriente. Negli ultimi anni essa ha subito diverse battute d’arresto in virtù dell’intersezione di diversi fattori. Ciononostante, il fondamentale ruolo che entrambe le nazioni ricoprono nell’ambito delle rispettive politiche estere può rappresentare la base per il suo rilancio.
La nascita
La partnership tra Stati Uniti e Arabia Saudita affonda le proprie radici nel 1931, anno in cui Washington estese il proprio riconoscimento diplomatico al nuovo governo saudita. L’importanza del regno wahhabita nell’ottica della politica estera americana crebbe a seguito della firma di un accordo tra il governo di Riad e la Standard Oil of California, la quale siglò un contratto per avviare esplorazioni petrolifere a patto di non interferire nella politica interna del regno. Le esplorazioni ebbero esito positivo e nel 1938 venne infine scoperto il primo pozzo, grazie al quale il Paese divenne un esportatore di greggio. Successivamente il declino nella produzione petrolifera statunitense, la comprensione della presenza di imponenti riserve di greggio situata nei territori sauditi e l’enorme prestigio della casa di Saud nel mondo arabo, resero Riad un attore essenziale alla sicurezza nazionale statunitense, spingendo Washington ad includere l’Arabia Saudita nel programma Lend Lease. Nel biennio 1944-1945 gli Stati Uniti assunsero il ruolo di prestatore di sicurezza di ultima istanza della monarchia saudita. Nonostante tutto, le relazioni tra le due nazioni rimasero segnate da alcune contraddizioni derivanti dall’accesa opposizione alle ingerenze occidentali negli affari interni delle nazioni arabe caratterizzante la Casa di Saud.
La guerra fredda
La prima fase della Guerra Fredda coincise con una intensificazione delle contraddizioni insite alla partnership tra i due paesi. Da un lato nel 1951 le parti siglarono un trattato di mutua difesa, dall’altro, in linea con la propria politica tradizionalmente ostile alle ingerenze occidentali negli affari arabi, il monarca saudita avviò una campagna volta a indigenizzare la locale compagnia petrolifera (rinominata nel 1944 Saudi Aramco), ottenendo un’eguale divisione dei profitti. La successiva formazione del “Patto di Baghdad”, organizzazione di mutua difesa comprendente Regno Unito, Iran, Iraq, Pakistan e Turchia, non venne accolta favorevolmente da Riad che in risposta siglò nel 1955 un trattato di mutua difesa con l’Egitto di Nasser. In seguito il progressivo avvicinamento di Nasser all’Unione Sovietica, sancì nuovo idillio nelle relazioni tra Washington e Riad, il quale vide però la contemporanea emersione di un nuovo fattore di tensione, l’avvicinamento tra gli Stati Uniti e Israele.
A seguito dell’embargo sugli armamenti imposto dalla Francia allo Stato ebraico nel 1967, gli Stati Uniti subentrarono a Parigi come prestatore di sicurezza di ultima istanza di Gerusalemme. Lo svolgimento da parte di Washington di un simile ruolo in favore di una nazione percepita dal governo di Riad come il proprio principale nemico, comportò un nuovo deterioramento delle relazioni tra le parti, culminato nel disastroso embargo petrolifero del 1973 a seguito del conflitto dello Yom Kippur. L’insorgere della Rivoluzione Iraniana determinò però un nuovo miglioramento nelle relazioni tra le due nazioni, favorito dalla forte crescita economica del regno, la quale rese Riad capace di dispensare aiuti esteri in favore di diverse nazioni alleate di Washington, quali la Somalia e il Pakistan. L’intervento sovietico in Afghanistan sancì un nuovo idillio nei rapporti tra Riad e Washington, concretizzatosi in un incremento dell’assistenza militare statunitense al regno, a cui fece da contraltare un forte supporto finanziario saudita ai mujaheddin afghani. Il successivo pericolo di invasione irachena del regno a seguito dell’annessione del Kuwait da parte di Baghdad vide gli Stati Uniti dispiegare una consistente forza militare per difendere la sicurezza del regno, in seguito impiegata per cacciare le truppe di Saddam Hussein dal piccolo emirato confinante.
Il declino
Gli attentati dell’undici settembre da un lato aprirono la porta alla cooperazione tra le due nazioni nella lotta al terrorismo, dall’altro tuttavia essi determinarono l’insorgere di una profonda sfiducia degli Stati Uniti verso Riad, accusato di non fare abbastanza per bloccare i costanti finanziamenti privati dei propri cittadini a beneficio di gruppi quali al-Qaeda. Contestualmente l’Amministrazione Bush perseguì una politica volta alla diversificazione dell’approvvigionamento energetico, percepita come una minaccia per l’economia saudita, largamente dipendente dall’export petrolifero. La situazione è ulteriormente peggiorata durante l’Amministrazione Obama, la quale accettò passivamente la caduta del Presidente egiziano Hosni Mubarak (creando un precedente molto pericoloso per i sauditi) e avviò una nuova politica basata sull’engagement verso l’Iran finalizzata a rendere quest’ultimo un membro responsabile all’interno della Comunità Internazionale, come indicato dalla National Security Strategy of 2010. Tale politica, sfociata nel successivo accordo sul nucleare iraniano noto come JCPOA, costituì un nuovo motivo di tensione tra le due nazioni.
Al netto di ciò, Washington ha continuato tuttavia a svolgere il ruolo di prestatore di sicurezza della monarchia wahhabita, supportandone l’intervento militare in Yemen nel 2015 e rimanendone il principale fornitore di armi. L’inizio della Presidenza Trump ha determinato un forte miglioramento dei rapporti tra Washington e l’Arabia Saudita, in virtù dell’adozione da parte dell’amministrazione repubblicana di una postura significativamente più rigida nei confronti dell’Iran, identificato come sponsor del terrorismo nella National Security Strategy of 2017. Il nuovo idillio nelle relazioni tra i due Stati venne ulteriormente consolidato dal sostegno saudita agli “Accordi di Abramo”, tra Israele e diversi paesi arabi, fortemente voluti dall’Amministrazione Trump. L’omicidio del giornalista dissidente Jamal Kashoggi, immediatamente attribuito alla casa reale saudita, ha generato forti malumori tra le fila del Partito Democratico. La vittoria di Joe Biden in occasione delle elezioni del 2020 ha segnato il crollo delle relazioni al punto più basso dal 1973, in virtù della politica di dialogo nei confronti dell’Iran e delle pesanti critiche al trattamento dei diritti umani nel regno ciò è sfociato nel ripristino delle relazioni tra Riad e Teheran grazie alla mediazione cinese e al rifiuto saudita di rinviare il taglio della produzione petrolifera al fine di danneggiare gli sforzi bellici russi in Ucraina.
Il possibile rilancio
Gli elementi che hanno determinato la nascita della partnership tra Stati Uniti e Arabia Saudita, risultavano essere l’estrema importanza strategica del petrolio saudita, la presenza di un attore caratterizzato da entrambi come una minaccia di assoluta rilevanza quale l’Unione Sovietica e la grande mportanza dall’area MENA per Washington. La fine delle Guerra Fredda ha determinato il venir meno di questi elementi: a seguito del boom della produzione di scisto negli Stati Uniti grazie alla tecnica del fracking, il petrolio saudita è divenuto sempre meno rilevante nel mix energetico statunitense. Contemporaneamente la caduta dell’Unione Sovietica ha comportato l’uscita di scena dell’unico attore considerato come una grande minaccia da entrambe le nazioni. Allo stato attuale l’Arabia Saudita considera l’Iran come la principale minaccia alla propria sicurezza, tuttavia tale considerazione non risulta assolutamente valida anche per Washington, per cui l’Iran non rappresenta assolutamente la principale fonte di preoccupazione. In ultima analisi l’attenzione statunitense è ora più che mai rivolta verso l’Indo Pacifico, piuttosto che verso l’area MENA, rendendo quindi Riad un attore molto meno rilevante nell’ottica della politica estera americana. Al contempo anche gli interessi sauditi sono mutati e allo stato attuale il principale importatore di greggio saudita risulta essere la Cina, la cui influenza economica e politica sul regno è ormai giunta ai massimi storici. Al netto di tutto la partnership tra Stati Uniti e Arabia Saudita rimane ugualmente forte, come indicato dal via libera da parte del Presidente Biden a due grosse forniture di armi a Riyad a dispetto dei forti toni usati contro la monarchia saudita in campagna elettorale. L’elemento di aggregazione tra le due nazioni, risulta essere il reciproco svolgimento di funzioni rilevanti nella politica estera altrui che nessun’altra nazione è in grado di svolgere.
L’Arabia Saudita risulta infatti impossibilitata a trovare un attore che disponga delle capacità di svolgere la funzione di garante della propria sicurezza e le potenze ostili agli Stati Uniti quali la Cina, non hanno interesse a garantire un contenimento dell’Iran. Al contempo la monarchia wahhabita rappresenta per Washington un pilastro della stabilità regionale e rimane un attore dotato di assoluto prestigio e influenza nel mondo islamico. L’Amministrazione Biden sta pertanto cercando di rilanciare tale partnership attraverso l’arma più importante in mano agli Stati Uniti, la loro unica capacità di garantire la sicurezza del regno. Tale approccio si sta concretizzando attraverso la mediazione condotta da Washington avente lo scopo di pervenire al raggiungimento di un accordo di normalizzazione tra l’Arabia Saudita e Israele, unico attore in grado di subentrare parzialmente agli Stati Uniti nel ruolo di prestatore di sicurezza del regno, tramite il suo rilevante know how tecnologico e militare e intenzionato al pari di Riad a porre un freno all’espansionismo iraniano. Un simile accordo rappresenterebbe un precedente virtuoso, potenzialmente in grado di spingere altre nazioni musulmane a fare lo stesso. In particolare è opportuno citare l’Indonesia, paese di importanza centrale per gli Stati Uniti, sul quale l’Arabia Saudita dispone di una rilevante influenza in grado di mitigare i dubbi sinora espressi da Giacarta relativi ad una normalizzazione dei rapporti con lo Stato ebraico. In conclusione, la partnership tra Stati Uniti e Arabia Saudita rappresenta un rapporto caratterizzato da alti e bassi, le cui recenti tensioni non rappresentano un evento straordinario, bensì ciclico. Tuttavia, in virtù dei ruoli assolutamente decisive che le due nazioni svolgono nelle rispettive politiche estere, essa rimane ancora molto solida e potenzialmente in grado di essere rilanciata.