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TematicheAmerica LatinaL’Argentina e la scommessa BRICS

L’Argentina e la scommessa BRICS

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Durante il XIV vertice dei paesi BRICS il presidente Fernández ha formalmente espresso la volontà argentina di entrare a far parte del blocco. Buenos Aires, in cerca di nuovi finanziamenti, ha attirato l’interesse dei BRICS soprattutto per le potenzialità delle proprie risorse naturali. Alla luce dello scenario internazionale, il gruppo prova a intraprendere una fase di espansione della propria influenza, proponendosi come guida di un nuovo multilateralismo. 

I BRICS

La genesi dei BRICS – acronimo composto dalle iniziali dei paesi che ne fanno parte: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – ha seguito un percorso piuttosto peculiare. Il termine BRICs è stato coniato nel 2001 dall’economista di Goldman Sachs Jim O’Neill, che nel suo studio “Building Better Global Economic BRICs” mise in luce come il peso sul PIL mondiale di quattro paesi, denominati con un gioco di parole “BRIC” (allora non veniva incluso il Sudafrica), sarebbe notevolmente accresciuto nell’arco del successivo decennio. Nei quattro scenari analizzati, il peso relativo del PIL dei BRIC sarebbe infatti salito in termini assoluti dall’8,0% al 14,2% e dal 23,3% al 27,0% a parità di potere d’acquisto. Tali cambiamenti avrebbero richiesto in primo luogo la riorganizzazione dei forum politici mondiali, partendo da una riforma del G7 che avrebbe ridotto da 3 a 1 i rappresentanti della cosiddetta “Euroland” (Francia, Germania e Italia), integrando al loro posto la Cina e, considerando alcuni degli scenari previsti nell’analisi, anche gli altri tre BRIC. 

Lo studio sui BRIC venne poi ampliato da Goldman Sachs negli anni successivi. Nella pubblicazione di Wilson e Purushothaman del 2003 “Dreaming With BRICs: The Path to 2050”, si prospettava che entro il 2050 le economie di Brasile, Cina, India e Russia avrebbero ricoperto un ruolo dominante nel panorama mondiale. In particolare, il valore del PIL dei BRIC nel 2025 sarebbe stato superiore alla metà di quello delle economie del G6 (Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Germania, Francia e Italia) e lo avrebbe superato in meno di quarant’anni. 

Le analisi di Goldman Sachs contribuirono ad aumentare la consapevolezza sulle potenzialità di questi paesi, ma non vennero elaborate a seguito di qualche tipo di accordo precedentemente adottato tra i BRIC. Il primo avvicinamento formale tra i quattro paesi, infatti, avvenne solo dopo qualche anno, a margine dell’Assemblea delle Nazioni Unite del 2006, quando i ministri degli esteri di Brasile, Russia, India e Cina si riunirono per discutere della possibilità di creare una collaborazione a livello istituzionale. Dopo l’incontro di New York, il primo vertice ufficiale dei BRIC ebbe luogo nel giugno 2009 a Ekaterinburg, in Russia. Al termine del summit, i quattro integranti elaborarono una dichiarazione congiunta che rifletteva le esigenze comuni di quella fase. In particolare, venivano affermati alcuni punti cardine, tra i quali la necessità di portare avanti la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali, garantendo maggiore rappresentanza alle economie emergenti, e il sostegno – attraverso il conferimento di liquidità – ai paesi più poveri, maggiormente colpiti dalla crisi economica. A livello geopolitico, i BRIC si limitavano ad attestare il proprio sostegno a un ordine mondiale multipolare, più democratico e giusto, basato sul diritto internazionale e sull’uguaglianza, impegnandosi a promuovere la diplomazia multilaterale e la risoluzione pacifica dei conflitti.   

Dal 2011 anche il Sudafrica è stato integrato nel gruppo, che da allora è passato a chiamarsi BRICS. Attraverso incontri annuali, il blocco ha ampliato le proprie aree di cooperazione, che spaziano dall’economia alla finanza, dalla scienza alla tecnologia, dall’agricoltura alla cultura. Oltre all’enorme peso in termini demografici (41% della popolazione mondiale) e geografici (29,3% delle terre emerse), i paesi BRICS sommano il 24% del PIL mondiale e detengono una quota del commercio mondiale superiore al 16%. Nonostante queste potenzialità e gli inizi promettenti, però, il blocco dei BRICS non ha conosciuto una crescita lineare. In particolare, dopo la spinta iniziale, il gruppo ha dovuto ben presto fare i conti con un processo di stagnazione economica e politica. In quella fase, anche l’attenzione di Goldman Sachs si spostò verso i cosiddetti MIST (Messico, Indonesia, Corea del Sud e Turchia), con il fondo di investimento destinato a quest’ultimo che ebbe un rendimento del 12% nel 2012, contro l’1,5% del fondo destinato ai BRICS. Inoltre, divergenze tra i paesi membri e – soprattutto – l’assenza di risultati concreti, mettevano in discussione lo stesso futuro del gruppo. 

Tuttavia, negli anni successivi i BRICS seppero rilanciarsi: il ritorno al potere – almeno formalmente – di Putin in Russia e l’arrivo di Xi Jinping a Pechino dettero il via a un nuovo corso alle politiche del blocco, incentrato principalmente su due importanti progetti: la Nuova Banca di Sviluppo e l’Accordo di Riserve di Contingenza (una sorta di fondo di stabilizzazione dei cambi). 

L’Argentina nella prospettiva dei BRICS

Inizialmente considerati come un gruppo di economie emergenti, i paesi BRICS si sono ritagliati un ruolo sempre più importante nel panorama mondiale. La crescente influenza economica e geopolitica del gruppo ha progressivamente attirato l’interesse di vari attori sparsi per il globo, uno di questi è l’Argentina. Quando vennero intraprese le discussioni sulle potenzialità dei BRIC, all’inizio degli anni duemila, l’Argentina non venne inclusa nel novero: il paese stava vivendo in quel periodo una delle peggiori crisi economiche della propria storia, la recessione iniziata nel 1998 si protrasse per oltre tre anni e il PIL crollò fino a toccare il -10,9% nel 2002. 

Oltre ad essere membro del G20 e godere di un bacino demografico tra i più importanti del Sud America – terza dopo Brasile e Colombia – l’Argentina rappresenta la seconda economia sudamericana ed è membro fondatore del MERCOSUR, un blocco che ricopre un ruolo preminente per quanto riguarda la produzione alimentare globale. Per riportare alcuni dati, a livello mondiale l’Argentina è il sesto produttore di carne – il secondo in America Latina – il terzo produttore di soia e il quinto di mais. Inoltre, è il primo produttore di grano in America Latina (oltre 19 milioni di tonnellate nel 2020) e il secondo produttore di vino (12,5 milioni di ettolitri nel 2021). Se poi si tenesse conto del PIL pro capite, l’Argentina si collocherebbe terza tra i paesi BRICS, mentre sarebbe al primo posto secondo l’Indice di Sviluppo Umano. A livello geopolitico, nonostante sia in corso un dibattito sulla progressiva perdita di influenza del paese, l’Argentina può probabilmente ancora essere considerata una potenza regionale. Tuttavia, evidenti carenze si presentano per quanto riguarda l’enorme debito estero e il settore della difesa: il numero del personale militare attivo è lontano da quello dei paesi BRICS (ad eccezione del Sudafrica) ed è estremamente ridotta la percentuale del PIL dedicata alle spese militari (0,80% nel 2021).

I primi passi formali verso la possibile adesione argentina vennero mossi nel 2014. Facendo seguito all’apertura indiana, un segnale forte giunse dalla Russia: durante una visita a Mosca dell’allora ministro degli esteri Héctor Timerman, il suo omologo russo Lavrov informò che l’Argentina sarebbe stata invitata a partecipare al VI Vertice dei paesi BRICS, in programma nel luglio di quell’anno a Fortaleza, in Brasile. Il contesto internazionale in cui si produsse l’avvicinamento tra Russia e Argentina era per certi versi simile a quello odierno: la Russia cercava appoggio internazionale a seguito della condanna per l’annessione della Crimea, mentre l’Argentina doveva far fronte al rischio (poi concretizzatosi) di un ennesimo default tecnico, derivato in quel caso dal mancato pagamento dei fondi statunitensi, a cui avrebbe dovuto versare – secondo una sentenza del tribunale di New York – circa 1,33 miliardi di dollari. 

In quella fase, la presidente Cristina Fernández de Kirchner assunse un posizionamento particolarmente apprezzato dallo stesso Putin, denunciando il differente approccio della comunità internazionale nei confronti dei referendum sull’autodeterminazione della Crimea e sullo status delle isole Falkland/Malvinas. L’Argentina, infatti, si astenne durante la votazione della Risoluzione 68/262 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che riconosceva l’integrità territoriale dell’Ucraina e respingeva la validità del referendum in Crimea. In un contesto in cui i rapporti bilaterali erano particolarmente favorevoli, rafforzati anche dalla forte crescita del commercio bilaterale, l’Argentina vedeva nella Russia una potenziale fonte di finanziamento, soprattutto nel settore dell’energia. Allo stesso tempo, la decisione presa durante il vertice BRICS di Fortaleza di creare la Nuova Banca di Sviluppo – un ente di finanziamento alternativo ai principali organismi internazionali – poteva rappresentare per l’Argentina un’occasione propizia per ottenere liquidità. 

L’avvicinamento registrato in quegli anni non portò all’adesione argentina al blocco, ma il dialogo tra le parti proseguì. Dopo l’incontro di Fortaleza – in cui ebbe luogo anche il primo incontro tra i paesi BRICS e i membri dell’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR) – l’Argentina venne nuovamente invitata a una riunione del gruppo nel 2018, in occasione del X Vertice svoltosi a Johannesburg, in Sudafrica. Nonostante un atteggiamento ideologicamente meno affine alle sensibilità dei BRICS rispetto al precedente governo, Macri sostenne importanti riunioni bilaterali con i presidenti dei cinque paesi. 

Al netto dell’incontro scarsamente produttivo con Temer sul futuro dell’accordo con l’Unione Europa, Macri discusse con il presidente cinese Xi Jinping la possibilità di ampliare la linea di swap e di estendere gli investimenti finanziati dalla Cina, anche attraverso l’adesione argentina al progetto della Belt and Road Initiative (eventualità poi realizzatasi nel 2022). Con Putin, nonostante alcuni attriti precedenti, Macri parlò della possibilità russa di investire nel paese attraverso lo strumento della partecipazione pubblico-privata. Inoltre, Macri chiese all’omologo indiano Narendra Modi di investire nel giacimento petrolifero Vaca Muerta, mentre al presidente sudafricano Cyril Ramaphosa propose il coordinamento tra la Fábrica Argentina de Aviones e il gruppo sudafricano Paramount, ai fini di approfondire la fabbricazione e la vendita congiunta di equipaggiamento militare, in particolare per quanto riguarda la produzione e la commercializzazione degli aerei da addestramento Pampa

Verso l’integrazione?

La situazione internazionale attuale ha rilanciato il ruolo dei BRICS come un blocco potenzialmente alternativo al G7. Le deboli (se non assenti) reazioni degli altri membri all’invasione russa dell’Ucraina nascondono necessità geopolitiche ben precise: Cina e India importano petrolio e gas russo a prezzi scontati, mentre per il Brasile sono indispensabili i fertilizzanti russi. Il Sudafrica – pur essendo meno dipendente economicamente da Mosca – è disposto a incrementare il proprio import dalla Russia per ridurre i prezzi di cibo e carburante. Rimangono però alcune divergenze rilevanti che potrebbero inficiare forme di cooperazione più ampie, ad esempio quella tra Cina e India riguardante le zone di confine contese lungo la catena dell’Himalaya. 

Di fronte all’impatto delle sanzioni comminate alla Russia, il XIV vertice dei paesi BRICS si presentava quindi come un’opportunità per ridiscutere del multilateralismo e la governance globale di cui i membri si fanno promotori, coinvolgendo nel dibattito anche altri leader delle economie emergenti. La partecipazione del presidente Fernández – al momento presidente di turno della CELAC – è stata anticipata negli scorsi mesi dalle discusse visite del leader argentino a Mosca e Pechino, servite per blandire le due potenze e per formalizzare l’adesione argentina alla BRI. In precedenza passi in avanti erano stati effettuati anche con il Brasile: ad aprile 2022 il Brasile ha affermato di voler proporre l’incorporazione argentina nella Nuova Banca di Sviluppo, un primo passo verso la totale integrazione del paese nel gruppo BRICS. Nella riunione virtuale dello scorso giugno, Fernández ha infine candidato l’argentina come aspirante membro dei BRICS, sottolineando come il paese possieda la seconda riserva mondiale di shale gas e la quarta di shale oil e le imprese locali stiano esplorando anche lo sfruttamento del litio, dell’idrogeno verde e di altre energie rinnovabili. L’Argentina ha indubbiamente enormi potenzialità nel campo della produzione agricola ed energetica, oltre che nei settori della biotecnologia e della tecnologia logistica applicata, ma l’incorporazione nei BRICS aiuterebbe in primo luogo a far fronte alla critica situazione economico-finanziaria che ormai cronicamente attanaglia il paese. 

Fernández richiede la creazione di un’Agenzia pubblica internazionale di rating del rischio e la ridiscussione delle linee guida che determinano l’allocazione generale dei Diritti Speciali di Prelievo del Fondo Monetario Internazionale. Inoltre, è da considerare la proposta avanzata dalla Russia di utilizzare le valute proprie per investimenti e scambi all’interno del blocco. Tale misura servirebbe a Mosca per aggirare le sanzioni, ma avrebbe effetti che si ripercuoterebbero sull’andamento dell’economia globale. L’alleanza dei BRICS sembra quindi aver compiuto un salto di qualità, che ha recentemente attirato l’interesse anche di un’altra potenza regionale come l’Iran. Dopo il recente via libera della Cina, le possibilità argentine di entrare a far parte dei BRICS sono concrete: l’ipotesi di ricevere finanziamenti dalla Nuova Banca di Sviluppo destinati alla costruzione di nuove infrastrutture – soprattutto in campo energetico – fa gola a Buenos Aires, che è interessata a promuovere una nuova architettura finanziaria internazionale che riduca la propria dipendenza dal dollaro. 

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