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Recensione di Antonio Campati: “La necessaria, ma vituperata, distanza democratica” (Vita e Pensiero, 2022)

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Dopo il 24 febbraio scorso, con l’invasione russa in Ucraina, le riflessioni sul futuro delle democrazie sono diventate ancora più impellenti. Occorre monitorare con attenzione i loro cambiamenti, anche quelli che ci appaiono impercettibili perché provocati da influenze che siamo indotti a considerare (e talvolta sono) “innocue”. Ma questa attenzione non c’è sempre stata nel passato e pertanto oggi fatichiamo a capire alcune trasformazioni del sistema democratico perché abbiamo perso le coordinate per farlo. In altre parole, le tendenze a enfatizzare solo alcuni aspetti del complesso meccanismo istituzionale di un regime democratico hanno talvolta offuscato l’importanza di altri elementi altrettanto fondamentali. 

Con il libro La distanza democratica. Corpi intermedi e rappresentanza politica (Vita e Pensiero), Antonio Campati, ricercatore di Filosofia politica presso la facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, si sofferma proprio su un aspetto della teoria democratica che merita una particolare attenzione, ma che è stato in parte trascurato. Spiega, infatti, che il concetto di democrazia spinge molti a parlare sempre più di vicinanza tra popolo e istituzioni, tra governati e governanti, invece una certa distanza è necessaria, proprio per salvaguardare gli equilibri interni alla democrazia rappresentativa.

«Non è un caso che nel costante dibattito sulle trasformazioni in corso nella Res Publica riemerge spesso la tentazione di dare forma a un nuovo modello di organizzazione del potere che faccia a meno delle mediazioni, così da consentire a ogni cittadino di essere direttamente in contatto con il decisore politico», sostiene l’autore. Campati cerca quindi di discutere problematicamente questa ipotesi, sottolineando come la distanza tra rappresentanti e rappresentati sia un elemento indispensabile per il funzionamento della democrazia. 

L’obiettivo principale del volume è infatti quello di riportare l’attenzione della teoria politica sull’area intermedia tra chi governa e chi è governato, a partire dalla ricostruzione del tortuoso percorso di sviluppo e di legittimazione dei corpi intermedi e dalla discussione delle principali teorie della mediazione (e della disintermediazione). 

Un’attenzione particolare è riservata alla «democrazia immediata»: un’espressione usata in tempi recenti per indicare un modello politico fortemente influenzato dai processi di disintermediazione che, in verità, ha una lunga storia alle spalle, intrecciata con i processi di sviluppo della democrazia rappresentativa. 

Spazio è dato in questo contesto anche al ruolo dei social: «L’idea di una democrazia senza mediazioni non è una moda intellettuale, più o meno effimera, che influenza il dibattito pubblico contemporaneo, ma ha radici profonde nella teoria politica degli ultimi secoli, proprio perché chiama in causa i fondamenti della rappresentanza politica. Oggi viene riproposta in termini nuovi, potendo contare, per un verso, su un’enfatizzazione del ruolo dei social network come mezzi per garantire una partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica e, per un altro, sulla fascinazione che emana la possibilità di poter incidere immediatamente sulle dinamiche della vita pubblica, senza dover ricorrere a intermediari». 

Infatti, come spiega Miguel Benasayag, c’è un’idea di disintermediazione talmente influente da forgiare il modo di pensare dominante, secondo cui verità, giustizia e democrazia sono immediatamente alla nostra portata e che le istituzioni che dovrebbero dare vita a questi valori sono in realtà colpevoli del loro disfacimento. Sulla stessa lunghezza d’onda, Daniel Innerarity sostiene che la nostra epoca è in larga parte plasmata da una vera e propria ideologia dell’immediatezza, la quale suggerisce «di trasferire al popolo il potere detenuto dai suoi rappresentanti» dal momento che si ritiene che la rappresentanza democratica costituisca inevitabilmente «una falsificazione, o quantomeno una deformazione della volontà popolare pura, la frammentazione di una sua presunta originaria unità nell’atomismo degli interessi». 

Con La distanza democratica Campati mette in primo piano il tema della mediazione in un’epoca nella quale tutto sembra convergere verso la consacrazione dell’immediatezza. Ma quella che può apparire come una contraddizione, in realtà, è uno sforzo per provare a non trascurare nessun elemento della complessa architettura democratica, fatta di regole, procedure e valori. Gli scenari internazionali ci inducono a pensare che questa particolare attenzione sia la precondizione necessaria per rafforzare la democrazia, al cui cronico malessere si sono aggiunte pericolose minacce derivanti dalla nuova competizione globale in corso.

L’autore del volume:

Antonio Campati è ricercatore di Filosofia politica presso la facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove collabora con Polidemos (Centro per lo studio della democrazia e dei mutamenti politici). È membro del comitato editoriale della «Rivista italiana di filosofia politica», di «Power and Democracy» e del «Dizionario di dottrina sociale della Chiesa». Fa parte delle redazioni di «Rivista di politica» e «la Società». I suoi interessi di ricerca vertono principalmente sulle trasformazioni della rappresentanza politica e sul ruolo delle élite e dei corpi intermedi all’interno delle democrazie. Su questi temi ha scritto diversi saggi apparsi su riviste e volumi collettanei. È autore di: I migliori al potere. La qualità nella rappresentanza politica (Soveria Mannelli 2016); ha curato Cittadinanza e sogno europeo. Partecipazione e inclusione tra vincoli e opportunità (Milano 2019), Democrazia e liberalismo: un connubio da ripensare? (Roma 2022) e Democracy and Disintermediation. A Dangerous Relationship (con D. Palano, Milano 2022).

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