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Anticomunismo e antiterrorismo: la guerra al terrore in Africa Subsahariana

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La Guerra dichiarata al Terrore (War on Terror) da Bush Junior a seguito dell’attentato alle Torri Gemelle di New York l’11 settembre 2001, non è stata combattuta solo sul fronte mediorientale: è stata invece una guerra che ha riformato la presenza militare statunitense a livello globale. In Africa subsahariana la Guerra Globale al Terrore (Global War on Terror) ha avuto una sua declinazione particolare, poco funzionale al contesto subsahariano e, a distanza di vent’anni, nella maggior parte dei casi inefficace, quando non controproducente. Il Pentagono ha infatti applicato nella sua guerra al terrore africana un approccio molto simile a quello tenuto nella regione contro il comunismo durante la Guerra Fredda. Dopo circa un decennio di disimpegno dai complessi teatri africani, gli Stati Uniti hanno impostato la guerra al terrorismo di matrice islamica in Africa subsahariana supportando economicamente e, soprattutto, militarmente i regimi africani che, in cambio degli aiuti americani, offrivano garanzie sulla repressione delle cellule terroristiche locali.

Una comprensione errata di un fenomeno complesso

Molti dei convogli militari o civili-militari inviati in Africa, in particolare nel Corno d’Africa e nel Sahel, venivano generalmente giustificati dall’ampio e poco definito obiettivo del contrasto al terrorismo internazionale. Secondo l’allora Segretariato di Stato americano, il terrorismo internazionale islamico veniva promosso in Africa subsahariana da alcune foreign terrorist organisations. Queste ultime sono state identificate dal National Counter Terrorism Center, un ufficio creato dall’ordine esecutivo 13354 del 27 agosto 2004 secondo criteri molto ampi che hanno aiutato a confondere, più che a chiarificare il significato di terrorismo internazionale in Africa subsahariana. Secondo i criteri del National Counter Terrorism Center organizzazioni, gruppi, cellule o individui legati all’Islam radicale dovevano esser considerate foreign terrorist organisation che sostenevano il terrorismo internazionale. Tuttavia, in Africa subsahariana molti di questi gruppi svolgevano attività prevalentemente radicate nelle instabilità sociali, politiche ed economiche locali o nazionali, mentre solo poche presentavano nel settembre 2001 legami preesistenti con Al-Qaeda o con movimenti terroristici transnazionali.

Le origini del terrorismo a matrice jihadista in Africa subsahariana

La maggior parte dei gruppi terroristici che hanno agito in più di uno Stato africano, trovano le loro origini nel decennio che separa la fine della Guerra Fredda da quella al Terrore. Un periodo storico, questo, che aveva visto le questioni africane molto lontane dalle priorità di Washington nell’arena internazionale. Le crisi economiche e politiche della fine degli anni ’80 e di tutti gli anni ’90 hanno facilitato la radicalizzazione della popolazione in alcune aree. Povertà endemica e assenza di istituzioni statali hanno reso la società islamica incardinata nella Sharia una più che valida alternativa allo Stato nelle aree rurali dell’Africa, dove la religione musulmana era praticata e diffusa, anche se in forme più spirituali e con contaminazioni provenienti da culti tradizionali, a differenza di quelle praticate negli Stati arabi del Nord Africa e del Medio Oriente. Le ragioni della diffusione di Boko Haram, Ansar Dine, Al Qaeda nel Maghreb Islamico e Al Shabaab possono essere fatte risalire proprio a quel decennio di crescenti risentimenti e instabilità in cui gli Stati Uniti si erano disinteressati anche delle guerre civili scoppiate all’interno degli storici clienti, che avevano abbondantemente supportato in ottica anticomunista durante la Guerra Fredda (ad esempio, Liberia, Somalia e Repubblica Democratica del Congo).

Tuttavia, proprio le modalità con cui si è combattuta la Guerra al Terrore in Africa subsahariana hanno progressivamente avvicinato gruppi islamici che promuovevano istanze prevalentemente locali ad Al-Qaeda prima, e allo Stato Islamico poi. La militarizzazione e gli approcci controinsurrezionali di tipo tradizionale utilizzati nella Guerra al Terrore africana hanno ricordato quelli utilizzati durante la Guerra Fredda. Nel primo decennio di Guerra al Terrore oltre all’aumento di presenza militare in Africa subsahariana, si è registrato un abbondante dispendio di risorse per l’addestramento e il supporto tecnico ed economico delle forze armate africane. Nel 2007 il Dipartimento di Stato americano ha addirittura istituito lo United States Africa Command, che avrebbe coordinato le attività militari statunitensi in Africa. Il comando unificato per l’Africa non era stato disposto neanche durante le fasi più accese delle guerre di decolonizzazione negli anni ’70 e ’80, tanto che le missioni in Africa subsahariana durante la Guerra Fredda rientravano nelle mansioni di quello europeo (EUCOM) o di quello mediorientale (CENTCOM).

Le conseguenze di un approccio inefficace e a lungo immodificato

Questo approccio tradizionale, che assimilava le organizzazioni terroristiche a matrice islamica in Africa con movimenti di guerriglia anticoloniale ispirati e/o sostenuti dai paesi in cui governavano regimi comunisti (Cina, Unione Sovietica e Cuba), ha avuto come prima conseguenza quella di internazionalizzare l’operato di queste organizzazioni. Da una parte, veniva cercato supporto finanziario e ideologico da fondazioni legate al network del terrorismo internazionale; in secondo luogo, Al-Qaeda ha iniziato a supportare attivamente gruppi operanti nei teatri africani, con l’obiettivo di estendere il fronte di opposizione alla War on Terror a stelle e strisce. Allo stesso tempo, il supporto statunitense alla repressione dei gruppi terroristici, più che alla mitigazione delle cause della loro proliferazione, ha permesso a questi gruppi di diffondersi in ampie regioni, coadiuvati da confini estremamente porosi e, a partire dalla fine del primo decennio del XXI secolo, dall’afflusso di armi e miliziani da quei paesi nordafricani travolti dalle Primavere arabe e, in modo particolare, dalla Libia con la dissoluzione del suo grande esercito.

Il secondo decennio del XXI secolo è stato caratterizzato da un parziale ripensamento delle pratiche antiterroristiche statunitensi in Africa e da un nuovo allontanamento del continente africano dagli interessi strategici di Washington. Allo stesso tempo, molte delle cause permissive della proliferazione di gruppi terroristici non si sono risolte; anzi, i fenomeni demografici, i cambiamenti climatici, la degradazione ambientale e da ultimo il COVID-19, le hanno alimentate. Pertanto, a vent’anni dalla dichiarazione della Guerra al Terrore molti dei gruppi terroristici presenti in Africa subsahariana non sono stati sconfitti, anzi si sono spesso rinforzati e rappresentano tutt’oggi una sfida lasciata in eredità ai leader politici africani, che sono costretti sempre di più a dialogare con attori diversi dagli Stati Uniti e dalle ex potenze coloniali, sia per questioni economiche che di sicurezza.

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