Le relazioni tra Egitto e Turchia hanno storicamente oscillato tra momenti di tensione e momenti di avvicinamento, sotto la spinta dei cambiamenti geopolitici regionali. Se negli ultimi otto anni i rapporti fra i due Stati mediterranei hanno raggiunto il loro punto più basso, la recente ricomposizione della crisi del Golfo, unita alla formazione di un Governo di Unità Nazionale in Libia, potrebbero causare un riassestamento diplomatico a livello regionale e condurre Ankara e Il Cairo ad una distensione.
L’offensiva diplomatica turca in Medio Oriente
“Una nuova era sta iniziando nei rapporti fra la Turchia e l’Egitto” con queste parole il Ministro degli Esteri turco, Mevlut Çavuşoğlu, si è rivolto alla stampa lo scorso mercoledì, affermando inoltre che una delegazione diplomatica turca si recherà in Egitto a maggio. La dichiarazione è solo l’ultima di una serie di aperture verbali che si ripetono ormai da circa due mesi fra Ankara e Il Cairo. Le relazioni fra le due sponde del Mediterraneo erano state bruscamente recise quando nel 2013 Erdoğan si oppose al golpe in Egitto che depose il Presidente eletto, ed esponente della Fratellanza Musulmana, Mohammed Morsi. Da quel momento in poi le tensioni fra i due paesi sono ulteriormente aumentate, specialmente in concomitanza dello scoppio del conflitto libico, dove i paesi sostengono fronti opposti, e nel Mediterraneo Orientale, dove il Cairo è entrato a far parte dell’asse anti-turco con Grecia, Cipro, Israele e Francia. L’apice della tensione fu raggiunto quando, all’ormai famigerato Memorandum d’intesa siglato fra la Turchia e il Governo di Accordo Nazionale libico nel novembre 2019, fece seguito quello firmato tra Atene e Il Cairo nell’agosto 2020, volto al riconoscimento delle rispettive Zone Economiche Esclusive e in pieno contrasto alle rivendicazioni turco-libiche.
Tuttavia, i recenti mutamenti regionali quali la fine dell’embargo sul Qatar da parte del Quartetto arabo, il raggiungimento di un accordo per un Governo di Unità Nazionale in Libia e l’elezione di Joe Biden alla Casa Bianca, stanno aprendo la porta ad una serie di rivolgimenti diplomatici che condurrebbero la Turchia a riallacciare i rapporti con l’Egitto, ma non solo. Il 12 marzo, il Ministro degli Esteri turco Çavuşoğlu, di ritorno dal Qatar, ha annunciato la ripresa dei contatti politici con l’Egitto, con l’intenzione di ristabilire la cooperazione diplomatica attraverso una roadmap che preveda graduali misure di confidence-building tra le parti, con consultazioni sui dossier più complicati nelle relazioni bilaterali. Anche il Presidente Erdoğan ha confermato la notizia, auspicando che i contatti, pur non essendo svolti ai massimi livelli, potessero continuare con ancora più decisione.
Ma negli ultimi mesi si segnalano anche diverse aperture verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti: lo scorso 21 novembre, il Presidente Erdoğan e il Re saudita Salman bin Abdulaziz al Saud avevano tenuto un colloquio telefonico nel quale avevano accettato di tenere aperti alcuni canali di dialogo per rafforzare la cooperazione e per la risoluzione delle problematiche, mentre il 27 novembre si è tenuto il primo incontro tra i Ministri degli Esteri dei due paesi dall’affaire Kashoggi del 2018. Proprio sul caso Kashoggi è tornato a parlare il Ministro Çavuşoğlu nelle ultime settimane, affermando che “la Turchia non considera l’uccisione del giornalista come un affare bilaterale e non ha mai accusato il governo saudita”. Timide prove di distensione si segnalano anche con Abu Dhabi: nel corso di un’intervista a Bloomberg, il Ministro degli Esteri emiratino, Anwar Gargash, ha affermato che il suo paese non cerca nessuna faida con Ankara e che gli EAU rimangono il primo partner commerciale della Turchia in Medio Oriente. Il Ministro ha affermato di essere disposto a normalizzare le relazioni con la Turchia nella cornice del mutuo rispetto della sovranità, sollecitando Ankara a cessare il proprio supporto verso la Fratellanza Musulmana. Proprio quest’ultimo è uno dei nodi principali che hanno opposto Ankara alla gran parte dei paesi arabi. La Fratellanza, negli ultimi anni, ha trovato in Turchia un porto sicuro per le proprie attività e numerose emittenti televisive ad essa legate vanno regolarmente in onda da Istanbul e Ankara, motivo per cui la reazione del blocco egiziano-saudita-emiratino alle avances turche risulta ancora molto cauta: il 12 marzo, il Ministro degli Esteri egiziano Shoukry ha voluto precisare che i contatti diplomatici sono ancora lontani dall’essere ristabiliti pienamente: “l’Egitto si aspetta che ogni paese che voglia normalizzare le proprio relazioni con Il Cairo sottostia alle regole del diritto internazionale e al principio di buon vicinato, interrompendo ogni interferenza negli affari interni di altri paesi della regione”. Ma quali sarebbero i potenziali vantaggi di un riavvicinamento fra Turchia ed Egitto? E quali sono gli obiettivi delle due potenze nel perseguire un approccio più pragmatico nelle loro relazioni?
La transizione egiziana dall’intransigenza ideologica al pragmatismo politico
Nonostante i segnali positivi lanciati da Ankara siano stati soltanto timidamente raccolti dall’Egitto, sembra ormai in dirittura d’arrivo un cambiamento nell’atteggiamento adottato negli ultimi anni dal Cairo nei confronti della Turchia. Per inquadrare al meglio questo processo di parziale riapertura, è però necessario andare indietro negli anni, più precisamente al 2011, anno delle Primavere arabe. Quando il vento rivoluzionario si spostò dalla Tunisia all’Egitto, la Turchia colse al volo l’opportunità data dai moti per espandere la propria influenza regionale. Erdoğan, allora Primo Ministro, si pose immediatamente a sostegno delle manifestazioni che avevano portato alla deposizione del Presidente Mubarak, effettuando una visita di Stato al Cairo nel settembre 2011, dove fu omaggiato dalla Gioventù Rivoluzionaria egiziana proprio a piazza Tahrir, luogo simbolo delle proteste. L’anno successivo, l’elezione di un esponente della Fratellanza Musulmana, Mohammed Morsi, nelle prime elezioni presidenziali libere del paese, fornì l’assist per un allineamento strategico fra i due paesi, specialmente in virtù del tradizionale supporto fornito dal Partito di Erdoğan al movimento islamista, relativamente vicino all’ideologia dell’AKP. Tuttavia, questo momento coincise con l’ultimo periodo di distensione fra Il Cairo ed Ankara. A meno di un anno dall’insediamento, Morsi fu deposto dalle Forze armate egiziane, storicamente custodi del secolarismo politico in Egitto e restie ad accettare la deriva islamista della Fratellanza, che assunsero il potere adottando un’ideologia nazionalista e antislamista. Il nuovo governo ad interim iniziò una caccia alle streghe contro i membri del movimento islamico, culminato con il massacro di piazza Rabi’a nell’agosto 2013, dove persero la vita oltre 600 manifestanti. L’incidente fu un durissimo colpo per le relazioni turco-egiziane: Erdoğan arrivò a definire al-Sisi come “un tiranno” e entrambi i paesi a richiamarono i rispettivi ambasciatori, tagliando le comunicazioni politiche. Molta della retorica anti-egiziana portata avanti dal futuro Presidente turco si basava sul fatto che al-Sisi fosse un leader autoritario, non eletto democraticamente e difensore di valori, quelli del secolarismo politico, diametralmente opposti all’Islam politico di cui l’AKP si faceva portatore.
La frattura ideologica fra il Presidente egiziano al-Sisi e la Turchia di Erdoğan ha caratterizzato quindi i successivi anni delle relazioni turco-egiziane. Ankara fu ben felice di ospitare i membri in esilio della Fratellanza Musulmana, che riuscirono a creare un fitto apparato mediatico con cui proseguire le proprie attività politiche ed ergere il Presidente turco a difensore della causa islamista. Ciononostante, alcune recenti decisioni intraprese sembrano indicare che la Turchia sia perlomeno disposta a cedere parzialmente questo strumento di soft power per una normalizzazione con Il Cairo. Nell’ultimo mese, diverse fonti turche hanno comunicato ad al-Arabiya che Ankara ha ordinato a diverse emittenti televisive legate alla Fratellanza – al-Sharq TV e Watan TV, fra le altre – di interrompere immediatamente la messa in onda di programmi politici critici verso l’Egitto, di non nominare al-Sisi e di diversificare il proprio palinsesto. Fra i dissidenti, di fatto censurati, figura anche Moataz Matar, carismatico giornalista egiziano condannato in contumacia per istigazione alla rivolta, molto popolare fra i membri della Fratellanza a causa delle sue aspre critiche nei confronti del governo di al-Sisi.
Queste scelte politiche da parte di Ankara non sono di certo passate inosservate tra gli ambienti dell’establishment egiziano e hanno portato per la prima volta diversi funzionari governativi a commentare esplicitamente il riavvicinamento fra le due potenze. Durante la riunione del Comitato degli Affari Esteri della Camera dei Rappresentanti egiziana del 14 marzo, il Ministro degli Esteri Shoukry ha affermato il suo apprezzamento per le recenti dichiarazioni e azioni intraprese dalla Turchia, le quali testimoniano un reale interesse da parte turca a muoversi verso una fase di apertura politica. Tuttavia, il Ministro ha risposto al gesto con una sfida, dicendo che la normalizzazione “passa attraverso scelte [turche] coerenti con gli obiettivi dell’Egitto per la stabilità regionale”, di fatto ancorando il dossier della normalizzazione ad altre aree in cui entrambi gli Stati si trovano ad essere tatticamente rivali – Mediterraneo orientale, Sudan, Siria, Corno d’Africa, Golfo e Libia.
Proprio in quest’ultimo teatro potrebbe però palesarsi un’intesa conveniente sia ad Ankara che al Cairo. L’assistenza militare che la Turchia ha fornito al Governo di Accordo Nazionale in Tripolitania ha portato a un rovesciamento dell’equilibrio militare e a un ripensamento dell’approccio strategico egiziano al dossier, questa volta molto più pragmatico, passato dall’idea di una soluzione militare al conflitto alla sponsorizzazione del processo politico culminato con la formazione del Governo di Unità Nazionale lo scorso febbraio. L’Egitto è consapevole degli stretti legami tra Ankara e il Primo Ministro Dbeibah, che ha visitato Il Cairo il mese scorso, i quali sono condivisi anche da molti membri del nuovo governo libico. Questo fattore dovrebbe spingere il Cairo a cercare di controbilanciare l’influenza turca sul nuovo esecutivo e in tal senso sono da interpretare l’annuncio di riaprire l’ambasciata egiziana a Tripoli e l’invio di una delegazione diplomatica del Mukhabarat, l’intelligence interna (a cui è delegato il dossier libico, a differenza del Ministero degli Esteri).
Il processo di riallineamento fra Turchia ed Egitto potrebbe quindi passare da un compromesso tattico nel paese nordafricano, se entrambe le potenze riuscissero a trovare una convergenza di interessi nel periodo di transizione verso le elezioni del prossimo dicembre, abbandonando l’intransigenza ideologica per abbracciare un maggior pragmatismo politico. Tuttavia, da parte egiziana un accordo sarebbe possibile soltanto qualora venissero soddisfatte alcune condizioni fondamentali, fra cui soprattutto il ritiro dei mercenari siriani e dei consiglieri militari turchi dalla Tripolitania e l’unificazione dell’esercito libico, cercando di includere la reintegrazione di Haftar. In questo caso, la Turchia sarebbe disposta a ritirare le truppe e cedere parte della propria influenza sul GUN, o Ankara cercherà piuttosto di accordarsi sulla stabilizzazione delle linee rosse reciproche per favorire una sorta di distensione con Il Cairo? Per il momento, questo non è ancora del tutto chiaro, soprattutto a causa dell’incertezza che ancora attanaglia il percorso verso la democrazia in Libia.
Il piano di Ankara: ridisegnare i confini marittimi nel Mediterraneo orientale
La ripresa del dialogo con questi paesi è un chiaro segnale di quanto i turchi necessitino di uscire dall’isolamento diplomatico causato da una politica estera assertiva, frutto anche del supporto incondizionato dato alla Fratellanza Musulmana, e che ha causato innumerevoli tensioni con le altre potenze regionali. Ma la recente ripresa del dialogo con Il Cairo, inoltre, presenterebbe un potenziale vantaggio pratico per il paese della mezzaluna: riallacciare i rapporti diplomatici, secondo i calcoli dei circoli vicini al Presidente turco, vorrebbe dire aprire la pista ad una possibile discussione per la definizione dei confini delle rispettive zone economiche esclusive nel Mediterraneo Orientale. Da almeno tre anni il controllo dei mari è divenuto un elemento fondante tanto della politica di sicurezza turca che di quella energetica ed un possibile accordo con l’Egitto, membro dell’East Med Gas Forum, avrebbe un duplice obiettivo: da un lato rompere l’asse, fino ad ora solido, fra Atene e Il Cairo, uscendo da un isolamento diplomatico asfissiante; dall’altro permetterebbe ad Ankara di vedere riconosciute le proprie rivendicazioni marittime ai danni dei rivali greci e ciprioti. I segnali di una possibile distensione si sono rincorsi negli ultimi due mesi: il 18 febbraio l’Egitto ha lanciato una gara d’appalto per la prospezione di gas e petrolio in 24 aree nel Golfo di Suez, nel deserto a ovest e lungo i confini della propria zona economica esclusiva nel Mediterraneo, prestando tuttavia attenzione alle rivendicazioni marittime turche contenute nella dottrina della Mavi Vatan.
La mappa presentata dal Ministero del Petrolio egiziano ha immediatamente innescato il plauso delle autorità turche che si sono dette soddisfatte del riconoscimento implicito della loro piattaforma continentale, come notificato alle Nazioni Unite dopo il MoU con Tripoli del novembre 2019: “Essendo i due paesi con il maggior numero di chilometri costieri nel Mediterraneo orientale, possiamo negoziare un accordo di demarcazione marittima con l’Egitto”, queste le parole del Ministro degli Esteri turco Çavuşoğlu. Anche il Ministro della Difesa, Hulusi Akar, si è espresso a riguardo, affermando il 6 marzo che “una vasta area marittima sarà aggiunta alla ZEE egiziana grazie ad un accordo con la Turchia”. Questa frase è pienamente in linea con la retorica proveniente da Ankara, che da mesi sui propri media propone tale soluzione alla controparte egiziana, puntando sul fatto che un accordo con la Turchia farebbe “guadagnare” all’Egitto circa 21.500 km quadrati di area marittima, contro i 15.000 che Il Cairo avrebbe perso accordandosi nell’agosto del 2020 con Atene. I media greci hanno reagito con preoccupazione alla notizia e l’8 marzo il Ministro degli Esteri greco Dendias è volato in Egitto per un incontro di alto livello con la controparte egiziana, Shoukry, nel quale è stata ribadita la centralità della partnership greco-egiziana ed è stato sostanzialmente risolto il problema del blocco di esplorazione 18 con la pubblicazione di una nuova mappa in linea con la ZEE egiziana. “Il problema sollevato da parte egiziana con il recente annuncio dei blocchi di esplorazione nel Mediterraneo Orientale è puramente di natura tecnica e riguarda solamente l’Egitto […] la Grecia considera l’accaduto come essenzialmente risolto”, queste le parole di Dendias.
Nel corso dell’incontro, Shoukry ha chiarito che non c’è mai stata una discussione sulla delimitazione della ZEE con la Turchia, tuttavia, la pubblicazione della prima mappa da parte del Ministero del Petrolio non sembra casuale e potrebbe essere interpretata come la volontà da parte egiziana di non voler chiudere la porta ad un potenziale accordo con Ankara, o quantomeno come un segnale dell’intenzione del Cairo di non gettare ulteriore benzina sui rapporti già infuocati con il paese della mezzaluna, specialmente ora che la congiuntura internazionale favorirebbe una ripresa del dialogo su dossier cruciali per al-Sisi come quello della fratellanza musulmana e quello libico. Rimane tuttavia da comprendere come e se un eventuale accordo di delimitazione con la Turchia possa integrarsi con l’accordo siglato tra Atene e Il Cairo lo scorso 6 agosto, peraltro rigettato da Ankara. Qualora l’Egitto aprisse davvero alla Turchia, quale sarebbe il futuro dell’EastMed e come muteranno i rapporti con Grecia e Cipro, fino ad oggi molto positivi? Secondo diversi analisti turchi, un eventuale accordo con l’Egitto potrebbe riguardare solamente alcune porzioni di aree marittime che non sono state oggetto di delimitazione con i greci, questo perché Il Cairo sarebbe restio a rinunciare ai propri partner regionali e perché, nonostante la recente apertura verso Ankara, rimarrà sempre una forte diffidenza e competizione con l’altra sponda del Mediterraneo.