Le ragioni che hanno spinto l’offensiva dell’esercito governativo siriano verso la cittadina di Idlib, situata nella Siria nord occidentale, risultano essere strategicamente determinanti, non solo per le sorti future del conflitto in Siria ma anche per l’assetto geopolitico dell’intera Siria. Non va dimenticato che ad oggi la politica estera siriana (in parte anche quella interna), visto il recente e massiccio aiuto fornito dal Cremlino contro le forze jiadhiste del Califfato guidato da Al Baghdadi, deve tener conto delle opinioni, o delle ingerenze, che provengono da Mosca; non a caso l’offensiva su Idlib è avvenuta ad opera dell’aviazione russa.
L’offensiva siriana del 4 settembre ha interessato l’area del paese che si trova tra le città di Jisr ash Shugur, Hama e per l’appunto Idlib, zona controllata in parte sia dalla formazione ribelle Salafita di Hayat Tharir al Sham, conosciuta pure come al-Qaeda in Siria, formatasi dalla separazione consensuale del Fronte al-Nusra dal network di Al-Qaida, con altri gruppi minori come Fronte Ansar al-Din, Jaysh al-Sunna, Liwa al-Haqq e Movimento Nour al-Din al-Zenk, che ha iniziato fin dall’inizio dell’agosto scorso ad arrestare tutti quei civili si proclamavano fautori di una possibile riconciliazione con il governo, sia dal Fronte di liberazione nazionale dichiaratamente sostenuto dalla Turchia.
Non a caso il presidente Bashar Al Assad, in accordo coi suoi alleati e sostenitori, il presidente russo Putin e il presidente iraniano Rouhani, ha deciso di far partire l’operazione per la riconquista del territorio nord-siriano, proprio pochi giorni prima del terzo incontro trilaterale russo-turco-iraniano, che avrà luogo il 7 settembre a Teheran (incontri nati dalla volontà dei presidenti Putin, Rouhani e Erdogan per rivitalizzare il processo di Astana), in modo tale che l’offensiva delle forze governative siriane su Idlib possa mettere pressione al presidente turco in vista del meeting .
Perché l’offensiva su Idlib avrebbe dovuto mettere sotto pressione il presidente Erdogan? La risposta a tale quesito appare quanto mai scontata, ma prima bisogna ricordare quanto avvenuto durante il corso dei precedenti meeting, quello di Ankara e quello di Sochi.
L’obiettivo di questi incontri trilaterali tra Russia, Iran e Turchia era, è rimane tutt’ora, quello di agire sul decision making della Siria post-Califfato. L’incontro di Ankara ma, ancor più quello di Sochi, non sono stati altro che tasselli fondamentali di una lunga trattativa diplomatica già avviata da tempo.
A Sochi si è discussa una proposta russa, con l’approvazione del presidente Assad, per la creazione di un congresso dei popoli siriano, per dare voce a quella pluralità di fazioni antigovernative che rischiavano di far cadere nuovamente la Siria nel caos. La proposta, ha dichiarato successivamente il presidente Putin durante la riunione annuale del Valdai Club tenutasi a Sochi, “potrebbe diventare un importante passo sulla via verso una soluzione politica che metta fine ai dissidi interni e che venga accompagnata anche dalla redazione di una nuova Costituzione”, scongiurando così l’ipotesi di una divisione della Siria in zone controllate da diverse forze straniere, come ad esempio la Turchia nel nord del paese.
A ragion di fatto di quanto appena scritto, risulta evidente che prima del terzo incontro di Teheran, la coalizione Siriana-Russo-Iraniana tenti di sbaragliare le rimanenti sacche ribelli presenti al confine turco-siriano e al contempo possa mettere alle strette la stessa Turchia; la quale mossasi con abilità all’interno del conflitto civile siriano fin dalle prime fasi iniziali, ha cercato fin da subito di ingaggiare gruppi jihadisti al fine di abbattere il presidente Bashar Al-Assad. L’intervento russo però ha permesso ad Assad di non capitolare, creando così un nuovo scenario, dove il presidente Erdogan bloccato in una fase di stallo, ha saputo muoversi abilmente, divenendo fin da subito interlocutore privilegiato di Mosca. Infatti le sorti del territorio a nord della Siria, a meno di un repentino stravolgimento delle parti in causa, rimangono ancora formalmente sotto l’autorità delle fazioni islamiste e saldamente sotto il controllo de facto del governo di Ankara, come preziosa moneta si scambio al vertice.