Il 31 marzo 2022, il Consiglio di Sicurezza (CdS) delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità la risoluzione 2628 (2022) che rinnova il mandato della Missione dell’Unione Africana in Somalia (AMISOM) per sostenere l’impegno del Governo Federale somalo nella lotta contro Al-Shabaab e i gruppi affiliati allo Stato islamico in Iraq e nel Levante (ISIL/Daesh). Tale decisione è stata preceduta da una serie di accese discussioni tra i donatori internazionali sull’opportunità e sulla tipologia del mandato della Missione.
Le opinioni espresse nell’articolo non rispecchiano necessariamente quelle dell’Agenzia Italia per la Cooperazione allo Sviluppo
Adottata ai sensi del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, la risoluzione 2628/2022 ha di fatto avallato la decisione presa dal Consiglio per la Pace e la Sicurezza dell’UA di riconfigurare AMISOM all’interno della Missione di Transizione dell’UA in Somalia (African Union Transition Mission in Somalia). La risoluzione ha dato mandato agli Stati membri dell’UA di adottare tutte le misure necessarie, incluse le operazioni congiunte con le forze di sicurezza somale, a ridurre e contrastare la minaccia rappresentata da Al-Shabaab e dai gruppi affiliati allo Stato islamico in Iraq e nel Levante (ISIL/Daesh); a sostenere lo sviluppo delle capacità (Capacity Building) delle forze di polizia e militari somale; e a sostenere gli sforzi di pace e riconciliazione nel paese (incluso il processo elettorale).
La necessità di riformare la Missione
Nata nel febbraio del 2007 per supportare il Governo di Transizione Federale somalo e per rispondere alla crescente minaccia islamista dell’Unione delle Corti Islamiche (UCI), la missione AMISOM è stata oggetto di numerose critiche riguardo la sua efficacia nel raggiungimento degli obiettivi di stabilizzazione che si era preposta. Ad oggi, il bilancio ha molte sfumature e contraddizioni e ha portato i paesi donatori a dividersi sulla opportunità di rinnovarne il mandato. Su una cosa però sono tutti d’accordo: la necessità di una riforma radicale.
Nei primi anni di attività, AMISOM ha fatto registrare notevoli successi sul terreno, portando alla cacciata di Al-Shabaab dai principali centri urbani del paese e creando spazio all’élite somala per la costruzione di istituzioni federali e di un sistema politico relativamente stabili. Ma negli ultimi anni c’è stato un forte deterioramento nella contro-insurrezione, con Al-Shabaab che guadagna sempre più terreno. Attualmente AMISOM intraprende meno offensive e agisce più come forza di interposizione tra un esercito somalo sempre più debole e lacerato da divisioni interne e le milizie degli Shabaab. A complicare ulteriormente il quadro è la politica somala che, nonostante la recente elezione alla presidenza della repubblica di Hassan Sheikh Mohamud, si trova ad affrontare la questione delle forti tensioni tra il centro (Mogadiscio) e la periferia (gli stati federali).
AMISOM manca di una visione comune
Ma la questione di fondo è la mancanza di una visione comune tra il governo somalo, l’UA e i donatori internazionali. Mogadiscio e i suoi partner dovrebbero lavorare per l’elaborazione di un piano comune che dia ad AMISOM più tempo (sarebbe opportuno un quinquennio che coincida con la legislatura), delle risorse umane e finanziarie adatte al mandato (al momento sono insufficienti) nonché una maggiore sinergia tra i differenti stakeholder che, a vario titolo, partecipano alla missione. Un maggiore lasso di tempo permetterebbe a quest’ultima e alla leadership somala, lo spazio necessario per attuare le riforme richieste dai partner internazionali. Inoltre, per consentire una migliore pianificazione e placare alcune delle preoccupazioni dell’UA, Bruxelles (principale contributore di AMISOM) dovrebbe dare un’idea chiara del budget messo a disposizione. Allo stesso tempo, l’UA dovrebbe cercare di diversificare i canali di finanziamento ad altri paesi, tra cui Cina, stati del Golfo e Turchia, nessuno dei quali ha interesse a terminare la missione.
Sarebbe inoltre opportuno un ricambio delle forze armate, che coinvolgano paesi estranei al Corno d’Africa e che portino nuova energia e, soprattutto, un nuovo modo di condurre le operazioni militari, cercando di risolvere le persistenti disfunzioni nella catena di comando e di controllo, nonché per aggiungere le competenze necessarie ad affrontare la minaccia di Al-Shabaab, in costante evoluzione. Si dovrebbe, infine, pensare di chiudere le basi operative sparse sul territorio somalo che non servono a nulla, così da poter liberare truppe e impiegarle in modo più efficiente nelle operazioni militari, passando dall’attuale logica di contenimento ad una di effettivo controllo del territorio.
Stabilità della politica somala come precondizione per la stabilità del paese
Ma la sfida più grande resta quella interna alla politica somala: se non si riesce a superare le divisioni tra i leader somali, i partner internazionali si troveranno ad affrontare, nei prossimi anni, lo stesso dilemma che affrontano oggi. In tal senso, la priorità assoluta dovrebbe essere il rafforzamento degli sforzi diplomatici per ricucire i legami tra il governo federale e gli Stati membri, che minano alla base gli sforzi per la costituzione di un esercito nazionale. La riconciliazione tra Mogadiscio e gli Stati Membri è la precondizione per compiere progressi su altri tavoli (in primis la messa a punto della costituzione provvisoria). Altro tema spinoso è il possibile (e anzi per molti probabile) dialogo con Al-Shabaab, o meglio, con le fazioni del gruppo suscettibili al dialogo e propensi a impegnarsi in un processo politico. È evidente che tale mossa è piena di insidie, a partire dall’ostilità dei governi della regione (in primis Etiopia e Kenya) nonché dai principali esponenti politici somali.
Tuttavia, ad oggi, non vi sono elementi concreti che supportino la tesi che Al-Shabaab possa essere sconfitto solo con mezzi militari. E nonostante le tante critiche mosse, il mantenimento della missione AMISOM (in versione riformata) resta il male minore poiché le condizioni del paese che ne permetterebbero il ritiro non sono ancora presenti. Il ritiro, inoltre, potrebbe portare, con tutte le differenze del caso, al ripetersi di ciò che è avvenuto in Afghanistan con i Talebani, innescando un’ulteriore crisi politica e umanitaria che avrebbe ripercussioni in tutto il Corno d’Africa (si pensi ai potenziali rifugiati e sfollati che si riverserebbero nella regione).
AMISOM elemento imprescindibile di stabilità
Nonostante i risultati contrastanti e nonostante la frustrazione della Comunità Internazionale e del Governo Federale Somalo per i modesti risultati raggiunti, AMISOM resta un elemento essenziale per il mantenimento di una certa stabilità nel paese. Un suo ritiro frettoloso incoraggerebbe l’insurrezione islamista di Al-Shabaab e farebbe precipitare il Paese nel caos. Il rinnovo del mandato, per ulteriori 12 mesi, da parte del Consiglio di Sicurezza è sicuramente un segnale che va nella giusta direzione ma che non affronta in profondità le questioni ancora aperte, limitandosi ad un rinvio nel tempo di una soluzione. Ma se la storia ci insegna qualcosa è che rimandare nel tempo la risoluzione dei problemi, molto spesso, non li risolve affatto né li affievolisce, semmai ne acuisce la portata. Ad oggi, questa la tendenza. Un’inversione è doverosa.