La prossima finale di Conference League tra la Roma e il Feyenoord si svolgerà a Tirana, in Albania, e la scelta di giocare la finale nel Paese delle Aquile è sembrata anomala, considerando gli appena 22mila posti dell’Arena Kombëtare e la scarsa tradizione calcistica albanese. Se la UEFA ha scelto di giocare la finale in un paese tradizionalmente escluso dalle grandi competizioni europee per allargare la platea di possibili spettatori e partecipanti alla coppa, le relazioni tra il nostro paese e Tirana sono ben più profonde di quanto in realtà non sembri.
La versione originale dell’articolo è stata pubblicata su “Il Romanista” lo scorso 23 maggio
La presenza italiana sulla sponda orientale dell’Adriatico risale al basso medioevo con la colonizzazione veneziana delle coste balcaniche che aprì la strada ad una fitta rete di commerci che dalla città di San Marco giungevano fino ad Istanbul, anche dopo la conquista ottomana dell’Albania. Proprio la conquista musulmana del Principato di Albania ha rappresentato uno snodo fondamentale della storia del Paese delle Aquile, segnato dall’ascesa di Scanderbeg, il grande condottiero cattolico ed eroe nazionale albanese la cui statua campeggia a Roma vicino il Circo Massimo, che si oppose nella prima metà del Quattrocento alla conquista ottomana dell’Albania, divenendo così uno dei simboli più sentiti della cultura nazionale albanese. Tutt’ora infatti non è raro incontrare nelle case albanesi un’immagine dell’eroe nazionale, affiancata però dal Corano o altri simboli dell’Islam per effetto della lunga dominazione ottomana, un caso più unico che raro di convivenza tra le due religioni nei Balcani.
Dopo l’unificazione, oltre a proiettare la propria politica estera verso il Nord Africa e il Mediterraneo, l’Italia ha mantenuto un’attenzione costante verso i Balcani, teatro a inizio Novecento di due guerre che hanno fatto da preambolo alla Prima guerra mondiale, a seguito della quale l’Italia instaurò un protettorato sul neonato Principato di Albania. L’invasione fascista del 1939 e l’occupazione successiva da parte dell’Italia rappresentano una delle pagine più controverse delle relazioni bilaterali, chiusa con la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’instaurazione del regime comunista di Enver Hoxha.
Con la fine del regime comunista, l’Albania avviò un processo di progressiva democratizzazione, tutt’ora in corso, e apertura verso l’esterno, segnata da un grande processo migratorio soprattutto verso l’Italia. Nei primi anni Novanta, infatti, il nostro paese vide un flusso crescente di profughi e migranti dall’Albania, precipitata nel caos dopo la fine del comunismo e una grave crisi economica che nel 1997 portò il paese sull’orlo della banca rotta e della guerra civile. L’instabilità albanese portò quindi il Governo Prodi a varare la Missione Alba, finalizzata a stabilizzare il paese e imporre una regolarizzazione dei flussi migratori. Da allora, le relazioni tra Tirana e Roma hanno conosciuto un progressivo consolidamento, dovuto non solo alla grande comunità albanese presente nel nostro paese, ma anche a reciproci interessi economici, si pensi ad esempio al TAP, il grande gasdotto che conduce dalla Turchia in Italia il gas azero attraverso l’Albania e la Grecia. Ultima prova dello stretto legame tra Roma e Tirana è stato l’invio da parte albanese di una squadra di medici e infermieri durante i mesi iniziali della pandemia, sebbene il loro contributo sia stato complessivamente limitato rispetto all’andamento della crisi sanitaria, per l’Albania ha rappresentato un momento di riscatto e uno sforzo comunque significativo considerando la complessità del sistema sanitario locale.
Per l’Albania, ospitare la finale di Conference League è quindi un traguardo importante, soprattutto tenendo conto delle ambizioni europee di Tirana, impegnata da anni in un complesso processo di avvicinamento all’Unione Europea.