Per la prima volta dopo tre anni si discute in Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite delle ripetute violazioni dei diritti umani perpetrate nella Repubblica Popolare Democratica di Corea; l’11 dicembre, una dichiarazione congiunta di Germania, Belgio, Repubblica Dominicana, Estonia, Francia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti ha intimato allo Stato coreano di cessare ogni violazione e rimettersi alle precedenti risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU.
La posizione dell’ONU e degli Stati Uniti nei confronti della Corea del Nord
Il 7 febbraio 2014 la Commissione d’inchiesta incaricata l’anno precedente dal Consiglio dei Diritti Umani di redigere un rapporto riguardo le violazioni di diritti nello Stato coreano presentava il testo all’assemblea. Dal quell’anno in poi, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha tenuto delle discussioni formali sulla questione sino al 2017, mentre nel 2018 e nel 2019 non si è tenuta per volontà del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Questi incontri hanno luogo il 10 dicembre di ogni anno per ricordare il giorno del 1948 in cui l’Assemblea Generale ha adottato la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Nel 2020, su richiesta di Cina e Russia, si è tenuta l’annuale riunione in forma chiusa, ovvero senza che potessero partecipare i media; tuttavia, per la prima volta dopo tre anni, il Consiglio di Sicurezza è tornato a discutere della situazione in Corea. L’11 dicembre l’Ambasciatore Christoph Heusgen, Rappresentante Permanente tedesco alle Nazioni Unite, ha presentato la dichiarazione congiunta dei Paesi di cui sopra come esito della riunione.
L’amministrazione Trump si è caratterizzata per un approccio di tipo personalistico alla questione coreana, dal momento in cui il presidente ha tentato di basare la diplomazia americana sul proprio rapporto con il Leader Supremo Kim Jong-un; nel 2018 i due capi di Stato hanno tenuto un summit a Singapore, durante il quale hanno firmato una dichiarazione congiunta di pacifiche relazioni reciproche e la promessa della denuclearizzazione del regime comunista. Questo episodio è passato alla storia come il primo incontro in assoluto tra un capo di Stato della Corea del Nord e uno in carica degli Stati Uniti.
Tokyo, Washington e Londra contro Pyongyang
Il documento del 2020 denuncia le condizioni disumane in cui versano i detenuti nei campi di prigionia nordcoreani, ma soprattutto il fatto che a causa del sistema della “colpevolezza per associazione” si possano detenere fino a tre generazioni di membri familiari, includendo, quindi, anche donne e bambini. La dichiarazione, inoltre, menziona indirettamente Paesi come la Cina, nel momento in cui denuncia che le defezioni verso di questi vengono respinte e rimpatriate in Corea, rischiando di venire condannate a morte. Infine, denuncia il fatto che le violazioni dei diritti umani perpetrate in Corea del Nord pongono un’imminente minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale, così come costituisce un elemento di tale questione la presenza di un arsenale nucleare e di un programma di missili balistici.
Ci si potrebbe chiedere se l’intento della dichiarazione fosse proprio quello di gettare le basi di un eventuale autorizzazione all’uso della forza del Consiglio di Sicurezza; a prescindere dalla legittimità giuridica di tali basi, è d’obbligo tenere presente due considerazioni: la prima, fondamentale, è che la Cina è membro permanente del consiglio, quindi può porre il veto su qualsiasi decisione volta ad autorizzare un intervento in Corea del Nord; secondo aspetto, da non sottovalutare, è che attualmente Indonesia e Vietnam sono membri non permanenti. Ed è proprio questo aspetto che si può ritenere significativo alla luce dei recenti avvenimenti nel Pacifico.
La schizofrenia asiatica e la strategia FOIP
La prima visita all’estero del neoeletto premier giapponese Yoshihide Suga ha avuto come destinazione il Vietnam (18 ottobre 2020), seguita a pochi giorni di distanza da un’altra in Indonesia (21 ottobre 2020). In queste occasioni i Paesi sopra citati del Pacifico si sono impegnati a rafforzare la cooperazione per un Free and Open Indo-Pacific volta al rispetto dello stato di diritto: tuttavia, Il loro comportamento non rende evidente quale sia lo strumento che essi ritengono opportuno per portare avanti tale strategia. Il Quad attualmente non si configura come la struttura sulla quale costruire uno stato di diritto, come tanto meno l’ASEAN in questo contesto, divisa tra Paesi più o meno vicini al Dragone.
Per citare un esempio, il Vietnam ha visto negli ultimi anni perdere influenza sulla Cambogia a favore di quest’ultimo. Lo Stato khmer, infatti, si trova ad un bivio: la recente demolizione della base navale statunitense di Ream fa presagire l’intenzione della Cambogia di concedere alla Cina la possibilità di costituirne una al suo posto. Inoltre, quello che The Diplomat definisce come il fallimento dell’ASEAN nel Mare Cinese Meridionale, ovvero la definizione di un Codice di Condotta, dimostra come l’“ASEAN way” sia funzionale alla costruzione di proficui rapporti commerciali, si veda la RCEP, ma allo stesso tempo come non lo sia nel contesto securitario.
Quindi, la recente dichiarazione congiunta, che vede da un lato il Giappone schierarsi con Stati Uniti e Inghilterra nel denunciare la Corea del Nord, e dall’altro Cina, Indonesia e Vietnam astenersi dal farlo, rientra tra i sintomi della schizofrenia asiatica, termine con cui Evan Fegeinbaum descrive il comportamento dei Paesi orientali. Secondo il suo parere economia e sicurezza nel Pacifico non percorrono linee parallele; gli eventi degli ultimi mesi, in effetti, non fanno altro che raccontarci nuovamente la storia delle due Asie già narrata da Fegeinbaum. La domanda fondamentale da porsi è se questi due elementi si trovino, o meno, su traiettorie stabili, traiettorie che possano andare a costituire un equilibrio di lungo periodo delle relazioni regionali.
La penisola coreana come elemento destabilizzante del Pacifico
Attualmente la Corea del Nord è tornata a far parlare di sé in Consiglio di Sicurezza ONU, data l’uscita dal campo dell’ex presidente Donald Trump; con la sua controparte meridionale, tuttavia, le relazioni sono tutt’altro che di facile e immediata comprensione: la presidenza di Moon Jae-in si è caratterizzata dal forte desiderio di distendere i rapporti tra i due Stati coreani, ma la recente esplosione del centro intercoreano a Kaesong, cittadina nordcoreana, potrebbe averne allontanato un’evoluzione positiva.
Dato il vincolo del mandato unico, il presidente Moon dovrà lasciare la sua carica e non è certo che chi gli succeda voglia proseguire il sentiero da lui tracciato. I recenti sondaggi davano il Procuratore Generale Yoon Seok-youl, persona vicina all’attuale premier ma con simpatie “conservatrici”, come possibile successore di Moon Jae-in. Tuttavia, egli si trova attualmente coinvolto in un’inchiesta giudiziaria che lo verrebbe presunto colpevole di alcuni casi di favoritismo, per cui non è detto che i sondaggi restino immutati nel breve periodo.
Inoltre, le più grandi città della Corea del Sud, Seoul, Busan e Ulsan, si apprestano ad avere, o riconfermano, sindaci appartenenti all’attuale opposizione – sempre secondo sondaggi recenti. Quest’ultima non ha mai mancato di esprimere le proprie rimostranze verso un’amministrazione troppo favorevole ad un’apertura con la Corea del Nord e con la Cina in generale, tant’è che nei mesi recenti ha presentato in parlamento una proposta di legge per impedire a cittadini ed imprese cinesi di acquistare terreni e proprietà nella Repubblica di Corea; questa proposizione viene espressa in concomitanza con la crisi del sistema immobiliare sudcoreano. Dovesse la posizione di Seoul cambiare drasticamente nell’immediato futuro, questa potrebbe prendere una traiettoria fortemente instabile e portare allo stesso tempo le due Asie a scontrarsi.
Il ruolo della penisola coreana nello scenario del Pacifico sembrerebbe essere legato a dinamiche di potenza ben più ampie di quelle che caratterizzano esclusivamente i rapporti tra i due Paesi del Calmo Mattino. Da una parte si trova un regime comunista appoggiato da una Cina che sta sfidando l’egemonia degli Stati Uniti, dall’altro una repubblica capitalista alleata della superpotenza americana. Sul destino della penisola coreana potrebbe giocarsi una delle partite decisive per decretare la nuova potenza egemone a livello mondiale.
Alessandro Vesprini,
Centro Studi Geopolitica.info