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TematicheAfrica SubsaharianaLe alleanze russe in Africa

Le alleanze russe in Africa

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Mentre Parigi e Bruxelles perdono la loro storica influenza in Africa, Mosca estende la sua presenza anche nel Sahel centro-occidentale con le milizie del gruppo Wagner, sfruttando il diffuso sentimento anti-francese acuito dal fallimento delle operazioni di counter-terrorism e testimoniano da episodi quali l’assalto all’ambasciata francese a Ouagadougou in Burkina Faso o dalla cacciata dell’ambasciatore francese dal Mali. L’aumento dell’influenza del Cremlino emerge anche nel susseguirsi di colpi di stato del biennio 2020-22, le cui immagini mostrano le bandiere nazionali russe sventolare tra la folla, all’alba dell’istaurazione dei nuovi governi. Insieme ai paesi dell’Africa Occidentale, sempre più Paesi considerati vicini ad Europa e Paesi nord americani, rafforzano i propri legami con la Russia, come Camerun e Repubblica Centrafricana, destando la preoccupazione degli alleati occidentali.  In cinquant’anni, le relazioni tra il continente africano e il gigante russo sono passate dal semplice assistenzialismo alla definizione di una strategia regionale di cooperazione militare ed economica che dall’Algeria ha proiettato Mosca nell’Africa australe.

Dalla dissoluzione dell’URSS, il Cremlino ha lavorato nella direzione di ridefinizione di nuovi rapporti con i contesti africani, sfruttando l’efficienza della propria industria bellica, eredità delle precedenti generazioni sovietiche e assicurando il rifornimento di armamenti e assistenza logistico-militare a molti Paesi del continente durante la decolonizzazione e lungo tutto l’arco della Guerra Fredda. Un legame, oggi estremamente funzionale nell’ottica del riallineamento delle forze politiche africane nel contesto internazionale. D’altronde, come di recente espresso dal presidente dell’African Export-Import Bank, Benedict Okey Oramah, “anche i giovani in Africa sono consapevoli del legame emotivo con la Russia” forgiato dall’alleanza sovietica nella lotta per le indipendenze dal colonialismo europeo e rievocato in ogni occasione di incontro istituzionale.  

Aldilà della solidarietà storica, nel contesto al contrasto all’attivismo jihadista e della centralità dell’accesso alle risorse per la produzione energetica, il partenariato odierno con i Paesi africani è di eccezionale rilievo. L’assistenzialismo informale e la specializzazione consolidata nella conduzione della guerra ibrida, rendono il coinvolgimento russo strategico tanto per Mosca, quanto per molti Paesi africani. Nel partenariato con la Russia, in Sahel come in Nord Africa e in Africa meridionale, forze politiche istituzionali ed extragiudiziali si assicurano l’approvvigionamento di tecnologie, formazione e supporto militare. Altro fattore rilevante in termini di attrattiva strategica è la posizione di non ingerenza negli affari interni e di aperto sostegno all’autonomia nella definizione politico-istituzionale dei contesti africani. Dal canto suo, Mosca ha collaudato una strategia focalizzata sui mercati più redditizi delle armi di cui sono principali fornitori in tutto il continente, quello dei combustibili fossili e il settore minerario. Gli interventi di peacekeeping e di supporto militare, grazie alle compagnie militari private (PMC), si subordinano all’accesso ai mercati e alla concessione di diritti minerari, oltre ad aprire la via per intese istituzionali con il Cremlino. 

Nel novembre 2019, nella città di Soči si è tenuto il primo vertice “Russia-Africa”, la cui seconda edizione è prevista per il luglio del 2023, cui hanno partecipato migliaia di delegati di 54 diversi Paesi africani. I 92 accordi firmati, molti dei quali non prescindono dal sostegno militare russo, sono stimati dai report del vertice per un valore totale di 1,004 trilioni di rubli, corrispondenti a circa 12,5 miliardi di dollari impiegati per la realizzazione di progetti da parte di aziende e società russe leader del settore estrattivo, tra le più note, Rosatom, Rosneft, Lukoil e Gazprom. Tra i più rilevanti, quello annunciato dalla compagnia petrolifera pubblica Rosneft per l’avvio di un’esplorazione petrolifera off-shore in Mozambico. Inoltre, Ruanda, Sud Sudan e Guinea hanno firmato con l’Istituto Russo di Ricerca Geologica (VSEGEI) accordi per le ricerche di riserve di carbonio, mentre in Namibia proseguono i progetti sull’estrazione di uranio, oro, diamanti e ferro. 

L’obiettivo della Russia moderna è creare legami cooperativi “strutturati e reciprocamente vantaggiosi tra la Russia e i Paesi africani, compresa la formazione di un’infrastruttura sociale ed economica affidabile e per la sicurezza alimentare ed energetica”, come espresso da Oleg Ozerov, Ambasciatore presso il Ministero degli Affari Esteri e Capo del Segretariato del Forum di partenariato Russia-Africa, proprio in occasione del Vertice. La volontà cooperativa di lungo periodo emerge anche nelle dichiarazioni del Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, dal luglio del 2022 impegnato in un tour diplomatico in Africa, a ribadire l’importanza di espandere i legami commerciali e di reciproco investimento, facilitando l’accesso dei rispettivi operatori economici nei mercati e la partecipazione a progetti infrastrutturali su larga scala. Le ambizioni dichiarate e confluite negli accordi con i diversi Paesi africani, saranno valutate ed eventualmente rinnovate in occasione del secondo vertice Russia-Africa. 

Proprio come i Paesi europei, Cina e Stati Uniti, anche la Russia ambisce all’accesso ai mercati e all’Area di Libero Scambio Continentale Africana di recente istituzione, i cui centri di crescita economica ne aumentano la concorrenzialità: le imprese russe che si occupano di esportazione di prodotti non di base possono trarre enorme vantaggio dalla cooperazione africana in termini di produzione, tecnologie, ampliamento della capacità investimenti e commercio. Nonostante l’ottimismo espresso dalle dichiarazioni politiche di Russia e Paesi africani, il miglioramento delle relazioni non prescinde dal successo degli investimenti programmati dalla Russia, la cui effettiva mancanza di mezzi e disponibilità economica (e che l’ha sempre tenuta lontana da investimenti infrastrutturali di larga scala e nel settore agricolo) simile a RPC o ai contesti europei, pone numerose sfide in rapporto alla concreta possibilità di far fronte ad ambizioni così audaci. Al di là degli effettivi risultati tutti ancora da valutare, la presenza russa è sempre più diffusa e si consolida in tutto il continente, forte anche della storia dell’ultimo mezzo secolo. 

Negli ultimi due anni, il vuoto francese in Africa Occidentale è stato presto colmato e l’influenza russa diventa sempre più evidente, a partire dalla presenza delle truppe paramilitari della Wagner. La compagnia privata agisce a supporto degli interventi delle amministrazioni locali in molti Paesi del continente da quasi un decennio, aprendo la strada a canali di cooperazione istituzionali e alle relazioni commerciali con il Cremlino.

Inoltre, il ricorso a contractor privati come il gruppo Wagner consente a Mosca (così come a molti governi africani) di negare il proprio coinvolgimento ufficiale in contesti di crisi e di dover rispondere delle azioni illegali e in violazione dei diritti umani dei gruppi paramilitari, ai cittadini russi come alla comunità internazionale. Anche per questa ragione, risulta difficile risulta tracciare una mappatura esatta delle relazioni tra i contesti africani e la Federazione Russa, le cui attività dipingono un quadro complesso che va dall’assistenzialismo informale alla cooperazione e partnership bilaterali con diversi Paesi.  

In Nord Africa, il Cremlino è legato a doppio filo con l’Algeria: Algeri è considerata un partner storico di Mosca per la cooperazione militare ed economica, di recente rinnovata dagli accordi per l’estrazione del petrolio tra le società statali Gazprom, Transneft e Stroytransgaz con la controparte algerina Sonatrach. Inoltre, la volontà dimostrata da Mosca nel trattare con le autorità extragiudiziali oppositrici dei governi riconosciuti dalla comunità internazionale, come nel caso dell’appoggio delle truppe Wagner (la cui affiliazione con il governo russo è stata negata dal Cremlino a più riprese) all’assedio militare di Tripoli delle milizie di Bengasi guidate dal generale Haftar, ha ulteriormente rafforzato la presenza geostrategica russa. Anche in Libia, la Russia è presente non solo militarmente, ma anche economicamente e proprio nei settori estrattivi di gas e petrolio con le società statale Transneft, presente anche in Marocco, e la Gazpromneft, legata alla produzione di lubrificanti. In Egitto, longevo alleato russo, la società privata Lukoil, insieme alle pubbliche Zarubehzneft e Rosneft sono impegnate nell’estrazione petrolifera. Inoltre, nel 2015, al-Sisi e Putin hanno rafforzato la reciproca intesa in termini di cooperazione militare nella lotta ai gruppi di al Qaeda nel Sinai, definendo accordi per la vendita d’armi per quasi 3 miliardi di dollari, la costruzione di un’area industriale sul canale di Suez, oltre   la costruzione della prima centrale nucleare egiziana a Dabaa, concessa in appalto alla Rosatom. Nel 2022, Mosca è ormai attore imprescindibile in tutto il Nord Africa.

Al di sotto della fascia dei Paesi del Sahel, Mosca ha intessuto relazioni con i Paesi dell’Africa Meridionale, garantendo la sua presenza in tutti i contesti più politicamente ed economicamente determinanti (per posizione geografica e ricchezza di risorse come petrolio, gas e carbone, oro) per il continente, come Mozambico e Repubblica Centro Africana. Grazie all’accordo con il Presidente Touadéra che ha appuntato i militari russi come consiglieri per la sicurezza nazionale, Putin ha ottenuto licenze minerarie (oro e diamanti). 

In Mozambico, alla cooperazione militare contro il gruppo jihadista di origine somala al Shabaab si affianca quella di lungo periodo nella commercializzazione del gas, del quale il Paese possiede riserve tali da rappresentare (anche grazie alla posizione geografica) nuovo polo energetico africano e tra i più importanti a livello internazionale. In questo modo, la Federazione Russa si proietta nell’Oceano Indiano, in diretta relazione con le grandi economie asiatiche, di molte delle quali già rappresenta partner commerciale e alleato regionale. 

Anche nella Repubblica Democratica del Congo le unità Wagner e la Lukoil continuano le proprie attività rispettivamente sul fronte militare ed economico. Più a sud, la Russia ha legami con l’Angola, partner ufficiale militare della Difesa e tra i fornitori di metalli rari del Cremlino, mentre in Sud Africa gli accordi commerciali garantiscono le forniture del nichel. Insieme agli investimenti per l’estrazione petrolifera e mineraria, altra direzione nella stipula degli accordi è l’assistenza ai programmi nucleari. Come l’Egitto, anche in Zambia si è raggiunto l’accordo per la costruzione di un reattore nucleare, mentre sono aperte le trattative in Uganda, già coinvolta con i progetti della China Nuclear Corporation e Tanzania, entrambi Paesi con i quali Mosca si rapporta per la commercializzazione dell’uranio.

La stessa strategia già impiegata in Africa centro-meridionale si riscontra nelle relazioni con i contesti dell’Africa Occidentale e i Paesi del Sahel. Nei Paesi del Sahel, la presenza più diffusa delle aziende estrattive russe risale già dal giungo 2014, quando la Lukoil è parte del progetto Deepwater Tano/Cape Three Points, tra i giacimenti più profondi del mondo, nel golfo di Guinea tra Ghana e al confine con la Costa d’Avorio. In Camerun, nello stesso anno, la Lukoil ha acquistato una quota per il progetto di sviluppo del lotto offshore di Etinde e nell’aprile 2014 ha firmato intesa per la cooperazione politica nel Sahel. In Nigeria, Mosca ha stretto accordi commerciali in particolare in relazione agli armamenti e a sostegno del programma nucleare statale con la Rosatom, impegnata nella fornitura di reattori e la creazione di una centrale. In tutti questi contesti, è stata inoltre attestata la presenza del gruppo Wagner che più di recente, ha consolidato la presenza russa anche in Mali,  grazie all’accordo stipulato dalla giunta militare di Bamako per attività di addestramento e counter-terrorism nel Paese, in contrasto all’espansione dell’État Islamique au Grand Sahara (EIGS) e dell’affiliato di al-Qaeda, Jamaat Nusrat al-Islam wal-Muslimin (JNIM),  Già nel 2018, proprio i Paesi del G5 Sahel, ovvero Mauritania, Ciad, Niger, Mali e Burkina Faso si sono rivolti direttamente a Mosca nel sostegno alla stabilizzazione della regione occidentale e il terrorismo. 

In Burkina Faso, le cui relazioni con Mosca hanno superato il mezzo secolo, il ministro degli esteri Sergei Lavrov e il colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba a capo della giunta militare che aveva preso il potere a Gennaio del 2022, insieme al presidente del governo di transizione Albert Ouédraogo, all’inizio di quest’anno avevano ribadito la volontà reciproca di consolidamento delle relazioni bilaterali in prospettiva delle sfide del Sahel e del contesto globale. Una relazione che non sembra essere messa in discussione dal recente sovvertimento militare di governo, né in termini politici, né economici, garantendo alle aziende russe la continuità nei lavori per l’estrazione metalli rari e l’appoggio per la sicurezza del Liptako-Gourma. 

La cooperazione russo-africana si estende anche in Sudan, dove la Stroytransgaz è stata impegnata nella costruzione dell’oleodotto che dal bacino di Melut nella provincia di Palougue, arriva a Port Sudan sul Mar Rosso, dove Mosca intende aprire una propria base navale, volontà finora rimasta insoddisfatta. Il Paese è considerato un’altra base per i militari della Wagner e gli accordi segreti per l’estrazione aurea, si presume sotto il comando del vice presidente del Consiglio sovrano Mohamed Hamdan Dagal. 

Anche nel Corno d’Africa, la Russia si rivolge ai Paesi più influenti come l’Etiopia, le cui relazioni consolidatesi a partire dalle intese sul nucleare hanno portato agli accordi per la cooperazione militare, resa estremamente strategica dalla questione sorta con il vicino Sudan per la diga Gerd sul Nilo e dalla gestione della crisi in Tigray. La vicinanza con Addis Abeba accresce l’influenza russa in relazione alle crisi Sahel e del Tigray, anche in sede del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il cui coinvolgimento umanitario e militare potrebbe essere vincolo richiesto proprio dai Paesi africani alleati. 

L’accesso al Mar Rosso è essenziale per il Cremlino e il legame etiope potrebbe creare le condizioni di esercitare pressione al governo sudanese, risolvendo una volta per tutta lo stallo del progetto di una base militare navale a Port Sudan. In ogni caso, consente alla Russia di rafforzare la sua traiettoria d’interesse che dalla Cirenaica si estende al Sahel e in Africa Centrale, controbilanciando la presenza non solo dei Paesi europei e degli Stati Uniti, ma anche delle monarchie del Golfo e della Repubblica Popolare Cinese.

Oltre all’impegno bilaterale, Mosca intende definire la propria influenza diplomatico-militare con l’Unione Africana e le relazioni economiche e commerciali in senso più ampio con le diverse istituzioni economiche regionali, seppur -forse anche per la mancanza dei mezzi- in modo meno strutturato di RPC e Paesi del Golfo, come rileva la quasi totale assenza nei settori di investimento infrastrutturali e nel settore agricolo. In ogni caso, il volume degli scambi commerciali tra Russia e Paesi africani è cresciuto esponenzialmente negli ultimi decenni, rendendo la Russia uno dei partner principali dell’ECOWAS (Comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale). Tuttavia, il prolungarsi del conflitto in Europa, potrebbe incidere anche sugli equilibri e le relazioni e degli altri Paesi africani, esportando le dinamiche conflittuali e di contro-allineamento strategico nell’intero continente. 

La crisi del grano, quella dei fertilizzanti, potrebbero essere leve eccezionali per influenzare i governi e le istituzioni locali. Mosca è il secondo fornitore di fertilizzanti dell’ECOWAS (12% del mercato): Mali, Niger, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Sierra Leone e Senegal importano l’80% del potassio necessario alla produzione dei fertilizzanti dalla Federazione Russia e dalla Bielorussia e sono rimasti fortemente colpiti dalla crisi dell’approvvigionamento del materiale. Ciononostante, la capacità di sostituzione di Ghana e Nigeria legata alle enormi risorse di gas naturale, potrebbe garantire il fabbisogno prima soddisfatto dalla Russia. Diversa questione è quella legata all’insicurezza alimentare, acuita dalla crisi nella fornitura dei cereali delle importazioni da Ucraina e Russia, da cui Paesi come il Senegal dipendono quasi completamente. Si paventa dunque la possibilità di sfruttare le vulnerabilità strutturali per forzare la mano politica degli stati africani sul conflitto in corso, alla luce della sottoperformance sul piano economico e della ridotta capacità d’investimento se paragonata alle altre superpotenze con cui condivide lo status e che sono presenti in Africa (Francia, l’Unione Europea, USA e Cina). 

Una leva eccezionale se si considera che Russia e Ucraina da sole rappresentano oltre il 30% delle esportazioni globali di grano e dall’invasione di febbraio, il drammatico aumento dei prezzi di petrolio e dei cereali logora la condizione socio-economica di molti Paesi del continente. Eppure, i legami commerciali e strategici sempre più stretti, la presenza militare più o meno istituzionalizzata sempre più diffusa e le recenti intese sulla riapertura dell’accordo sulla spedizione del grano dal Mar Nero la cui priorità accodata è per i Paesi africani (in particolare Sudan, Gibuti, Somalia), potrebbero indicare altrimenti. 

Nel giugno 2022, il presidente dell’Unione Africana, nonché leader senegalese Macky Sall, congiuntamente con il presidente della Commissione dell’UA Moussa Faki Mahamat, hanno incontrato il presidente russo Vladimir Putin. Il continente africano ha interesse a risolvere il conflitto che ha aggravato le crisi umanitarie ed eroso le condizioni di stabilità. L’accordo raggiunto con l’occasione è espressione di un posizionamento sempre più delineato espresso anche nelle considerazioni del presidente Macky Sall che descrivono il continente come vittima economica del conflitto, condannando le sanzioni occidentali alla Russia in rapporto alla vulnerabilità alimentare del continente africano, le cui fragilità vengono discusse proprio con il Cremlino. Per Mosca infatti, questa è stata ulteriore occasione per rafforzare i legami con le istituzioni regionali africane, ampliando la portata del suo dialogo politico e della cooperazione economica ed umanitaria russo-africana.

A fronte di una nuova prospettiva di lungo periodo, sostenuta da esperienze di cooperazione bilaterale di successo e forte delle eredità ideologiche (la vicinanza storica con il contesto africano nella lotta al colonialismo e al neo-colonialismo) e materiali (progettazione infrastrutturale energetica e tecnologica) della presenza sovietica nel continente, la Russia lavora dunque per la definizione di legami stabili e duraturi e che imposizioni di questo tipo potrebbero minare. Inoltre, Mosca, proprio come Pechino, nell’allineamento africano vede la possibilità di ridefinizione degli equilibri internazionali in ottica multipolare, a partire dall’istituzione di un’area commerciale e finanziaria internazionale alternativa a quella basata sul dollaro,  attualmente perseguita nel quadro di attività della Shangai Cooperation Organization.

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