Gli avvenimenti che hanno infuocato il Medio Oriente negli ultimi anni hanno riportato alla luce un problema spinoso riguardo al concetto di stato nel mondo musulmano. Occorre ripensare e riformare la dialettica politica fra Unione Europea e Stati Uniti, da un lato, e Stati mediorientali, dall’altro. Ora più che mai si sente la necessità di un cambio di marcia che permetta una stabilizzazione dell’area che non può non partire dalla comprensione dell’Islam e della sua millenaria tradizione.
Le primavere arabe hanno messo in luce l’incompiuta transizione degli stati nordafricani e mediorientali da regimi autoritari o dittatoriali in democrazie di stampo occidentale, cioè sorrette da una costituzione che sancisce le libertà e i diritti dell’uomo e del cittadino e da una grammatica istituzionale che garantisce la separazione dei poteri e una rappresentanza di tutte le parti sociali, in Parlamento.
In alcuni casi accenni di riforme sono stati messi in atto: gli esempi della Tunisia e del Marocco sono di buon auspicio. D’altro canto, invece, Stati come l’Egitto e la Siria sono stati incapaci di concretizzare in leggi o proposte legislative il desiderio di cambiamento richiesto a gran voce dalla società civile, stanca di vivere in paesi incapaci di rispettare i minimi standard sui diritti umani.
Nonostante queste premesse, che possono essere inserite all’interno di un contesto sociopolitico peculiare al momento storico che stiamo vivendo, c’è una profonda distanza fra l’idea di Stato occidentale, basato sugli scritti di Hobbes, Locke, Montesquieu e lo Stato arabo che non presenta sostanzialmente nessun testo teorico a riguardo fino al XIX secolo.
In altre parole, il desiderio da parte di alcuni paesi occidentali di supportare diversi processi riformatori si è scontrato con una posizione diametralmente opposta su come un popolo si sarebbe dovuto organizzare per controllare e gestire il territorio in cui vive.
Per poter comprendere al meglio queste differenze strutturali, che ancora adesso segnano una voragine fra il mondo occidentale, in particolare l’Unione Europea, e il Medioriente, si dovrebbe avere la pazienza e la voglia di riscoprire i testi arabi medievali ripercorrendo filologicamente il lavoro di giuristi e filosofi.
Può risultare inoltre fuorviante sostenere che il percorso di formazione del concetto di Stato occidentale in Medioriente sia stato un cammino endogeno alla tradizione araba. Al contrario, è più vicino alla realtà sostenere che sia stato imposto come modello, durante la seconda metà dell’Ottocento, da una élite “illuminata” di cui ancora adesso parte dei musulmani non condivide pacificamente la scelta.
Nella top list dei principali giuristi musulmani che hanno trattato il tema della politica e si sono espressi nei confronti di una possibile riforma dell’organizzazione del califfato, حلافة, troviamo Ahmad Ibn Taymiyya (1263-1328) che scrisse un libro السِّيَاسَةُ الشَّىرْعِيَّةُ, traslitterato Al-Siyasa al-shar‘iyya, traducibile in italiano in La Politica religiosa.
A onor del vero occorre sottolineare che i libri di Ibn Taymiyya hanno avuto una certa risonanza solo nell’ultimo secolo più per questioni politiche che per un effettivo interesse da parte del mondo musulmano e non, ma alcuni aspetti da lui evidenziati meritano di essere studiati e approfonditi.
Ibn Taymiyya scrive in un momento storico estremamente particolare: nel 1258 con la presa di Baghdad, da parte dei Mongoli, era caduto il califfato abbaside e venne meno quella figura di riferimento che aveva contraddistinto i primi seicento anni della storia dell’Islam: la comunità dei musulmani, la umma, non aveva più la sua guida. Proprio per questo motivo il giurista hanbalita si domanda in che modo si sarebbe potuta portare avanti una transizione politica e istituzionale in cui il ruolo del Califfo rimane presente, ma secondario. È interessante evidenziare che nel testo non si identifica lo stato parola دَوْلَة, dawla, ma si insiste sulla parola shar‘iyya inteso come strumento primario identitario per i musulmani. Questo aspetto è centrale perché sostanzialmente non si prevede una nuova forma di organizzazione territoriale, ma la si supera identificando la legge religiosa come uno strumento, un collante fra tutti i musulmani che valica qualsiasi confine nazionale o statale.
Non sembrerebbe essere presente, inoltre, nel pensiero di Ibn Taymiyya, alcun accenno a possibili contributi politico-religiosi che porterebbero alla nascita di una nuova organizzazione territoriale alternativa al Califfato. Culturalmente e giuridicamente era infatti impensabile generare uno strappo così forte nei confronti della giurisprudenza classica musulmana che individuava in alcuni ahadith del Profeta le fondamenta per sua istituzionalizzazione. È opportuno ricordare che il giurisperito nativo di Harran riteneva che la sfera religiosa e quella politica fossero indivisibili, come un tutt’uno: non si poteva pensare di portare avanti riforme in ambito politico che non avessero l’appoggio dei leader religiosi.
La difficoltà da parte di Ibn Taymiyya di staccarsi da una visione sostanzialmente personalistica dimostra come la dottrina musulmana sia in completo disaccordo con la filosofia politica occidentale di stampo istituzionalista, che trova in Platone e Aristotele le due pietre miliari del pensiero europeo. Basti pensare che Ibn Taymiyya struttura tutto la sua riflessione sull’uomo come perno per una possibile transizione sociopolitica. Platone, invece, riprendendo il libro VIII della Repubblica, afferma l’importanza dello studio dei caratteri prima dello Stato, e poi dell’individuo.
Naturalmente questo è solo uno degli aspetti che Ibn Taymiyya tratta all’interno della sua opera, ma può essere efficace per dimostrare un punto di fragilità per chi desidera cercare soluzioni o possibili sintesi, fra due mondi apparentemente inconciliabili.
Il dibattito politico, religioso, culturale estremamente florido e dinamico che ha caratterizzato l’Islam fra l’VIII e il XIV secolo è ancora oggi centrale per cogliere il pensiero moderno e contemporaneo di alcuni intellettuali, leader politici e/o religiosi e organizzazioni terroristiche. Non solo, ci permetterebbe di porre le basi per la comprensione e l’analisi di un modello statuale alternativo a quello occidentale.
Davide Marcantoni,
Geopolitica.info