Il 14 gennaio 2023 l’agenzia di stampa della magistratura iraniana Mizan ha riportato l’avvenuta esecuzione di Alireza Akbari, cittadino anglo-iraniano ed ex Viceministro della Difesa in Iran, accusato di spionaggio per conto del Regno Unito. Londra non ha mai confermato la versione secondo cui Akbari sarebbe stato una spia britannica; tuttavia, il 6 maggio il New York Times ha pubblicato un resoconto approfondito dal quale emerge il ritratto di una vita segreta, che nasconde contraddizioni e comporta significative implicazioni. L’uccisione di Akbari da parte delle autorità iraniane, infatti, oltre a svelare la doppia vita di un personaggio di alto livello per la Repubblica islamica, contiene risvolti che rivelano dinamiche controverse nella politica interna del Paese e rafforzano la retorica di intromissione dell’Occidente negli affari interni iraniani. Per questo motivo, è importante cercare di capire: chi era Alireza Akbari? E quale significato assume, nell’Iran turbolento di oggi, la sua morte?
Chi era Alireza Akbari?
Ad un primo sguardo, si poteva già comprendere l’inclinazione profondamente religiosa di Alireza Akbari. Sulla fronte portava infatti il segno indelebile della propria devozione all’Islam sciita: una fossetta, formatasi nel tempo a causa della continua pressione contro il mohr, una pietra di argilla usata nelle preghiere quotidiane. Sono state le testimonianze dei suoi familiari e dei funzionari che hanno avuto a che fare con lui nel corso degli anni, a far emergere la fedeltà a tratti estremista che Akbari nutriva per gli ideali della Repubblica e il sostegno incrollabile che mostrava nei confronti dei suoi leader. Agli occhi del pubblico era dunque un fanatico religioso e un falco politico, eppure la Repubblica Islamica lo ha condannato a morte lo scorso gennaio con l’accusa di spionaggio e “corruzione sulla terra”. Ripercorrendo le tappe della sua carriera, il New York Times è riuscito a ricostruire dettagliatamente le date e i luoghi del reclutamento, le informazioni trapelate, le implicazioni che ne sono seguite; ciò che invece rimane ancora privo di una risposta, è il perché: la motivazione che si celerebbe dietro la seconda vita di questo insider all’apparenza insospettabile.
Nato a Shiraz nel 1961 da una famiglia conservatrice della classe media, Akbari, appena maggiorenne, seguì la rivoluzione iraniana nel 1979, arruolandosi subito dopo nella guerra contro l’Iraq. Nel corso del conflitto arrivò a ricoprire ruoli di sicurezza, tra cui quello di consigliere della marina iraniana, fino a guidare l’attuazione della risoluzione 598 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ha posto fine alla guerra nel 1988. Fin da allora, ha saputo stringere rapporti significativi con uomini di potere, in particolar modo con Ali Shamkhani, un generale iraniano a due stelle, fino a poco tempo fa Capo del Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale (SNSC), che tra il 1997 e il 2005 svolse l’incarico di Ministro della Difesa. In quegli anni Alireza Akbari lavorò come suo Vice, durante il governo del riformista Mohammad Khatami, ricoprendo anche incarichi consultivi nel SNSC e in altri organi governativi.
Continuò a lavorare nelle istituzioni ministeriali fino al 2005, quando si ritirò dai suoi incarichi per spostarsi nel settore privato, come era solito fare da altri ex comandanti delle Guardie Rivoluzionarie, pur continuando a servire come consigliere del generale Shamkhani e di altri funzionari governativi. Secondo l’intelligence iraniana, il reclutamento da parte del Regno Unito sarebbe avvenuto nel 2004, durante un contatto con l’ambasciatore britannico a Teheran. L’anno successivo Akbari si recò a Londra per la prima volta e in seguito aprì diverse società in Austria, Spagna e Gran Bretagna, per fornire presuntamente una copertura agli incontri con i funzionari dell’MI6, il servizio di intelligence britannico. Proprio nel 2008, Akbari venne arrestato per la prima volta, con l’accusa di essere una spia del Regno Unito. Le visite a Londra e il permesso di soggiorno (e successivamente cittadinanza) erano molto probabilmente legati alle sue attività commerciali, ma i sospetti nei suoi confronti si fecero più fitti nel momento in cui il Ministero dell’Intelligence iraniano avrebbe trovato documenti riservati nella sua abitazione. Gli interrogatori però non produssero alcuna confessione e molte persone si esposero e garantirono per lui. Dopo 4 mesi di detenzione, Akbari venne dunque rilasciato su cauzione con il permesso di lasciare l’Iran e viaggiare liberamente.
La fuga di notizie
Nello stesso 2008, La Gran Bretagna ricevette informazioni di sensibile valore su alcune attività sospette in Iran. Informazioni che hanno fatto chiarezza su diverse ipotesi formulate da parte delle agenzie di intelligence occidentali e israeliane: da tempo infatti, circolavano delle immagini satellitari che mostravano movimenti ambigui nelle profondità delle montagne a Fordo, dove si riteneva che l’Iran stesse segretamente implementando la costruzione di armi nucleari. Nel 2008, un insider con accesso di alto livello ai segreti nucleari del Paese, rivelò invece che si trattava di tutt’altro: Fordo era un impianto di arricchimento di uranio. Questa scoperta ha influito notevolmente sulle relazioni tra l’Iran e le più grandi potenze mondiali: “ha modificato radicalmente l’atteggiamento della comunità internazionale nei confronti dell’Iran, ha contribuito a convincere Cina e Russia che non era stato trasparente riguardo al suo programma nucleare e ha guidato la spinta per ulteriori sanzioni” ha affermato Norman Roule, ex direttore dell’intelligence nazionale per l’Iran presso la CIA. Nel settembre 2009, in un vertice dei 7 a Pittsburgh il presidente Obama insieme ai leader di Gran Bretagna e Francia rivelò la notizia, dissipando definitivamente il dubbio che l’Iran stesse perseguendo un programma di armi nucleari.
Il Ministero dell’Intelligence iraniano ha ritenuto che proprio Alireza Akbari fosse stato responsabile della fuga di informazioni. Oltre all’accusa di aver rivelato segreti militari di tale portata, Akbari venne anche accusato di aver rivelato l’identità e le attività di oltre 100 funzionari iraniani, tra cui in particolare Mohsen Fakhrizadeh, il capo scienziato nucleare responsabile del progetto Fordo, che Israele ha assassinato nel 2020. In quell’anno, tuttavia, Akbari era già stato arrestato e si trovava rinchiuso nella famigerata prigione di Evin, divenuta tristemente nota nel corso delle proteste iniziate nel settembre scorso.
Fino al 2019, era infatti riuscito a mantenere intatta la propria copertura; secondo alcune testimonianze, avrebbe persino continuato a fornire consigli ai funzionari del ministero degli esteri su loro richiesta e a rimanere informato degli incontri a porte chiuse sulle politiche e sui negoziati nucleari. Nel 2010, dopo aver avuto un attacco di cuore, si trasferì definitivamente a Londra con la moglie e le due figlie, dove in seguito ottenne la cittadinanza britannica. Tra il 2010 e il 2019 continuò comunque a viaggiare da Londra a Teheran per almeno tre volte. La sua ultima visita avvenne proprio nel 2019, dietro richiesta del generale Shamkhani, divenuto nel frattempo Capo del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale. Era stato convocato con la comunicazione che il paese aveva bisogno di lui per una questione nucleare e di difesa urgente. Suo fratello Ahmedi Akbari ha raccontato che Alireza, pur avendo lasciato il Paese, non aveva mai perso la fiducia nei propri leader, motivo per cui aveva fatto ritorno nel momento il governo chiedeva la sua presenza.
Una volta in Iran, tuttavia, scoprì che l’invito faceva parte della cosiddetta “Operazione inganno”: un lungo piano di controspionaggio attraverso il quale diversi dissidenti politici erano stati attirati nel Paese per poi essere arrestati. Akbari è stato trattenuto per alcuni mesi all’interno di una prigione sotterranea per poi essere trasferito nella prigione di Evin, dove ha trascorso i suoi ultimi anni. Alla famiglia è stato intimato di non diffondere la notizia, poiché, stando al resoconto dei funzionari statali, durante la detenzione, lo avrebbero incaricato di accedere regolarmente ad un computer fornito dagli inglesi, per comunicare informazioni fuorvianti. L’11 gennaio 2023, in un clima di violenta repressione del dissenso interno, il governo iraniano ha annunciato che Alireza Akbari era una spia. Dopo appena tre giorni, nonostante gli appelli dei governi internazionali e specialmente del Regno Unito, Akbari è stato giustiziato con l’accusa di “spionaggio” e “corruzione sulla terra”. La famiglia è stata informata solamente attraverso un video che mostrava il suo corpo senza vita che veniva lavato e preparato secondo i rituali islamici, per poi essere sepolto in un vasto cimitero alla periferia di Teheran. Quaranta giorni dopo la sua morte è stato concesso loro di tenere una cerimonia commemorativa, nella sala di una moschea, ma oltre ai suoi familiari, non si è presentato nessun altro.
I risvolti interni e internazionali dell’esecuzione
Gli elementi irrisolti della vicenda rimangono numerosi. Pochi giorni dopo la sua esecuzione, l’agenzia di stampa IRNA ha rilasciato sulle tv nazionali 8 brevi video in cui Alireza Akbari confessava dettagliatamente le sue attività di spionaggio e il processo di reclutamento da parte di Londra. A distanza di pochi giorni, tuttavia, BBC Persian ha trasmesso un messaggio audio ottenuto attraverso la mediazione della famiglia, in cui il condannato negava con forza la veridicità delle confessioni, denunciandone l’estorsione dopo aver subito per più di 10 mesi torture e interrogatori. Anche la famiglia ha negato ripetutamente l’autenticità delle confessioni, sostenendo che sarebbero state formulate dal governo. Eppure, i familiari hanno riconosciuto la correttezza di dati ed eventi riportati all’interno dei video, constatando una certa coerenza tra il racconto fornito alle autorità iraniane e le attività di Akbari nel corso degli anni. Questa ambiguità si fa ancor più intricata nel momento in cui si cercano di comprendere le motivazioni che si celano dietro la doppia vita di Akbari. Nei video afferma di essere stato guidato da avidità e sete di potere, tuttavia molti testimoni hanno insistito nel riconoscere che non fosse afflitto da alcun problema di natura finanziaria. La verità rimane dunque confinata dietro diverse incertezze; ciò che invece emerge con sicurezza, sono le implicazioni che la condanna di Akbari ha avuto sulla politica interna e internazionale dell’Iran.
L’attacco ad un cittadino con passaporto britannico sembra celare un attacco all’Occidente stesso. La tempistica della condanna è infatti eloquente: è stata annunciata nel pieno della repressione delle proteste iniziate lo scorso settembre, un momento in cui le massime autorità iraniane, incluso l’ayatollah Khamenei, hanno fatto massiccio ricorso alla retorica dell’intromissione dell’Occidente negli affari interni del Paese. Israele, gli Stati Uniti e gli Stati europei sono stati regolarmente accusati di manovrare i disordini interni per destabilizzare la Repubblica islamica e indebolire la sua posizione al livello regionale. Pertanto, il caso di Akbari e le reazioni ad esso sembrano sottolineare pubblicamente l’idea secondo cui il Regno Unito e i suoi alleati siano attivamente coinvolti nell’intervenire in questioni di politica interna, fornendo una prova concreta della loro colpevolezza. Inoltre, la morte di Alireza Akbari ha prodotto ricadute anche in politica interna. Difatti, dopo il suo arresto, il generale Shamkhani è stato messo sotto esame per i rapporti che continuava a intrattenere con il suo ex Viceministro e consigliere. I due erano molto legati ed erano tra i pochi riformisti rimasti in posizioni di potere in Iran. Alcuni osservatori hanno interpretano dunque l’esecuzione di Akbari come un modo per minare gli sforzi di Shamkhani a rimanere in carica e per indebolire la sua influenza sul Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale. Questi timori hanno trovato conferma il 24 maggio, quando il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha stabilito la fine del mandato di Shamkhani come Capo del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale, nonostante i recenti successi raggiunti nel ristabilire le relazioni tra Iran e Arabia Saudita, in un accordo mediato a marzo dalla Cina, dopo una rottura durata sette anni. Al suo posto è stato nominato Ali Akbar Ahmadian, comandante delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC). Questo gesto segna un ulteriore smacco all’Occidente, poichè arriva in un momento in cui Regno Unito e Unione Europea stanno prendendo in considerazione la designazione dell’IRGC come organizzazione “terrorista”.
L’ultimo di una lunga lista
L’esecuzione di un alto funzionario in Iran è estremamente rara, l’ultima volta che un tecnocrate anziano è stato giustiziato era il 1982. Tuttavia, negli ultimi mesi, il tasso di esecuzioni di civili e dissidenti è cresciuto in maniera esponenziale, arrivando a coinvolgere anche personalità di alto calibro. Risale solo a pochi giorni fa, la notizia dell’esecuzione del cittadino iraniano-svedese Habib Chaab, con l’accusa di “corruzione sulla terra” per presunte attività “terroristiche” legate al gruppo separatista arabo noto come “Movimento di lotta araba per la liberazione di Ahwaz”. Solamente un mese prima, la Corte Suprema iraniana aveva confermato la condanna a morte dell’iraniano-tedesco Jamshid Sharmahd, 67 anni, per il suo legame con un attentato mortale alla moschea nel 2008. Teheran insiste che tutti siano passati attraverso un adeguato processo giudiziario. Ad oggi, sono almeno 16 i titolari di passaporti occidentali, la maggior parte dei quali con doppia nazionalità, non riconosciuta dallo Stato iraniano, a trovarsi imprigionati in Iran.
Sebbene gli attacchi ad iraniani con doppia cittadinanza tendano ad aumentare, i loro arresti e le loro esecuzioni continuano a destare scalpore e suscitare indignazione e rabbia tra i governi occidentali. Coloro che invece vivono nell’ombra della dimenticanza collettiva, sono i cittadini iraniani che vivono in Iran e non hanno voluto o potuto lasciare il Paese. Solamente pochi giorni fa, nella città di Isfahan sono stati giustiziati Majid Kazemi, Saleh Mirhashemi e Saeed Yaghoub: tre manifestanti arrestati nel novembre 2022 per aver preso parte ai sommovimenti scatenatisi dopo la morte di Mahsa Amini. Recentemente si è stimato che il Paese ha registrato 260 impiccagioni solo quest’anno, che si aggiungono alle 576 dello scorso anno. Amnesty International ha denunciato la Repubblica islamica per le frequenti esecuzioni che avvengono sulla base di un processo iniquo, spesso concluso con confessioni estorte con la tortura.