Due giorni fa si sono tenute al Senato le prime audizioni di conferma delle nomine di Joe Biden. In particolare, i protagonisti sono stati alcuni dei futuri massimi esponenti del team di sicurezza nazionale del neo-presidente: Antony Blinken, Segretario di Stato; Lloyd Austin, Segretario della Difesa e Avril Haines, Direttore dell’Intelligence Nazionale. Le audizioni permettono di comprendere quale potrà essere l’approccio strategico che la nuova Amministrazione adotterà riguardo ai dossier cruciali per Washington: la crescente assertività della Cina, il rapporto con la Russia e le dinamiche regionali in Medio Oriente – tra cui le relazioni con l’Iran e la questione del JCPOA. Quanto potrà cambiare, se cambierà, l’approccio strategico dell’Amministrazione Biden rispetto a quello dell’Amministrazione Trump?
Alla vigilia dell’Inauguration Day hanno avuto luogo le prime audizioni per la conferma delle nomine effettuate da Biden. I protagonisti sono stati Antony Blinken, Lloyd Austin e Avril Haines – rispettivamente i futuri Segretario di Stato, Segretario della Difesa e Direttore dell’Intelligence Nazionale (confermata ufficialmente nella notte) – che, davanti al Senato, hanno ribadito l’importanza del ritorno ad una maggiore cooperazione con gli alleati internazionali e ad una leadership americana sempre più forte.
Le audizioni hanno offerto un assaggio di quello che potrà essere l’approccio strategico della nuova amministrazione, un approccio che potrebbe rivelarsi più in continuità con gli otto anni di Obama alla Casa Bianca relativamente ai toni e ad una maggiore ricerca del multilateralismo, anche se su alcuni dossier – tra cui Cina e, potenzialmente, Iran – Biden potrebbe adottare una linea più dura.
L’audizione di Antony Blinken
Durante l’audizione, Blinken ha ribadito l’intenzione di reindirizzare la traiettoria della politica estera americana dopo quattro anni di Amministrazione Trump – pur appoggiando alcune delle sue scelte – rinvigorendo le alleanze per affrontare le minacce più urgenti alla propria sicurezza nazionale, che vanno dalla Cina all’Iran passando per il cambiamento climatico.
Innanzitutto, l’ex vicesegretario di Stato ha affermato di voler ripristinare il ruolo del Congresso nella politica estera riflettendo ciò che lui stesso ha descritto come “una necessità di ottenere il consenso del popolo americano per le decisioni internazionali”. Relativamente alla Cina, ha sostanzialmente appoggiato l’approccio più duro adottato dall’Amministrazione Trump sebbene non fosse d’accordo con alcune specifiche politiche del presidente uscente, tra cui il progressivo allontanamento dagli alleati che – secondo Blinken – saranno fondamentali per il contenimento della Cina. “Pechino rappresenta la sfida più significativa per Washington. Dovremo approcciarci alla Cina da una posizione di forza e non di debolezza”. Inoltre, è interessante sottolineare come Blinken – nonostante abbia ripetutamente criticato Pompeo – sia d’accordo con le valutazioni fatte dal Segretario di Stato uscente riguardo alla situazione degli uiguri nello Xinjiang: “La costrizione di uomini, donne e bambini nei campi di concentramento; il tentativo di rieducarli per aderire all’ideologia del Partito Comunista Cinese, tutto ciò parla di uno sforzo per commettere un genocidio”.
Per quanto riguarda le questioni mediorientali, ha elogiato gli Accordi di Abramo sottolineando però che alcune politiche adottate da Trump abbiano contribuito ad allontanare ulteriormente un possibile accordo tra Israele e Palestina. Invece, alle domande del Senate Committee on Foreign Relations sull’Iran, Blinken ha risposto che “il JCPOA, pur con tutti i suoi limiti, stava riuscendo a bloccare la volontà di Teheran di produrre il materiale fissile necessario per costruire un’arma nucleare”. Nonostante la questione del nucleare iraniano sia uno dei dossier più importanti da affrontare, il futuro Segretario di Stato ha dichiarato che il rientro in tale accordo è “ancora molto lontano” e che, qualora dovesse accadere, ci sarà la necessità di consultarsi prima con Israele e gli Stati del Golfo che hanno espresso le loro preoccupazioni dopo che l’Iran ha iniziato ad arricchire l’uranio al 20%. Blinken ha poi detto che qualsiasi accordo futuro con Teheran dovrà includere anche il nuovo programma missilistico e la fine del sostegno alle milizie “per procura” in Medio Oriente – come avrebbe voluto anche Trump. Dal canto suo però l’Iran ha rifiutato qualsiasi tipo di negoziato che includa altri programmi militari.
Blinken ha poi sostenuto che anche la sfida posta dalla Russia è in cima all’agenda di sicurezza nazionale esprimendo, inoltre, il suo sostegno ad Alexey Navalny – arrestato qualche giorno fa al rientro a Mosca. Si è poi soffermato sulla questione del New START, trattato sulle armi nucleari firmato da Obama e Medvedev nel 2011, che scadrà il prossimo 5 febbraio, confermando la necessità di trovare una nuova intesa entro qualche settimana. Molti analisti sostengono che tale trattato potrà essere rinnovato per un ulteriore anno consentendo a Stati Uniti e Russia di negoziare, successivamente, per un nuovo tipo di accordo. Inoltre, l’ex vicesegretario di Stato ha espresso la volontà di continuare con alcune politiche di contrasto a Mosca, incluso il sostegno all’addestramento delle forze armate ucraine.
L’audizione di Lloyd Austin
Nonostante il Senato sia ufficialmente a maggioranza democratica e molto probabilmente tutte le nomine di Biden verranno confermate, per Lloyd Austin il discorso è un po’ diverso. Infatti, secondo il National Security Act del 1947, un ufficiale deve aver lasciato il servizio da almeno dieci anni (ridotti a sette nel 2008) per poter diventare Segretario della Difesa: dunque, Austin avrà bisogno di una deroga da parte del Congresso.
Ad ogni modo, così come Blinken, anche l’ex Comandante del CENTCOM ha dichiarato che la Cina è la principale minaccia alla sicurezza nazionale americana: “Pechino è la minaccia più importante in questo momento, è in ascesa. Anche la Russia è una minaccia ma è in declino”. Austin ha poi sottolineato, nel caso in cui ottenesse la deroga dal Congresso, di voler rivedere la National Defense Strategy pubblicata dall’Amministrazione Trump nel 2018 perché “dovremo avere un deterrente sempre più credibile e delle capacità che ci permettano di rispondere ad ogni tipo di minaccia”.
Il Generale in congedo ha evidenziato, tra le altre cose, la necessità di un maggiore investimento nell’uso delle tecnologie quantistiche e dell’intelligenza artificiale per riuscire a contrastare Pechino. “Credo che abbiamo ancora un grande vantaggio sulla Cina ma il divario si è ridotto in modo significativo. Il nostro obiettivo sarà quello di ampliarlo per il presente e il futuro della nostra sicurezza nazionale”. A tal proposito, Austin ha ribadito l’importanza delle alleanze militari affermando che uno dei suoi primi viaggi avrebbe luogo proprio tra Giappone, Corea del Sud e Australia, alleati chiave per il contenimento cinese nell’area dell’Indo-Pacifico.
Relativamente all’Iran, si è espresso in maniera negativa, sostenendo che “continua ad essere un elemento destabilizzante nella regione mediorientale sia per i nostri partner che per le nostre forze dispiegate sul territorio”. Interessante poi è il passaggio sull’attuale situazione in Afghanistan. Austin ha detto che la guerra deve assolutamente finire e che, in tal senso, il raggiungimento di un accordo tra il governo afghano e i talebani sarà fondamentale. Non ha però escluso il fatto che il ritiro delle truppe – attualmente 2.500 dopo l’accordo di Doha del 2020 – possa subire un rallentamento qualora gruppi terroristici come al Qaeda o ISIS continuino ad operare in Afghanistan.
Tuttavia, anche se la Cina rappresenta la minaccia principale, secondo l’ex Comandante del CENTCOM la sfida più immediata alla sicurezza nazionale è la pandemia: “ha ucciso oltre 400.000 dei nostri cittadini e dobbiamo fare tutto il possibile per interrompere i contagi”. Austin non ha fornito ulteriori dettagli su come intende intensificare gli sforzi del Pentagono per contrastare il coronavirus e per distribuire in maniera più rapida i vaccini, ha però detto che crede che il Dipartimento della Difesa possa fare ancora meglio.
L’audizione di Avril Haines
Nella notte la nomina di Avril Haines è stata confermata dal Senato con 84 voti favorevoli e 10 contrari, diventando così la prima donna a ricoprire il ruolo di Direttore Nazionale dell’Intelligence, andando a sostituire John Ratcliffe – fedele trumpiano. Haines sarà chiamata a guidare una rete di 18 agenzie che compongono l’intelligence americana, di cui fanno parte anche la CIA e la DIA.
L’ex vicedirettore della CIA, durante l’audizione, ha affermato che una delle sue priorità sarà sicuramente quella di ripristinare il ruolo del DNI come fornitore apolitico di intelligence – così come voluto dal neo-presidente Biden: “per salvaguardare l’integrità della nostra comunità di intelligence, il DNI deve insistere sul fatto che, quando si tratta di intelligence, semplicemente non c’è posto per la politica”.
Haines ha espresso grandi critiche nei confronti delle varie campagne di spionaggio portate avanti da Pechino, promettendo di contrastare “tutte le loro azioni illegali, aggressive nonché di violazioni dei diritti umani”. La nuova DNI ha definito la Cina “una sfida alla nostra sicurezza, alla nostra prosperità e ai nostri valori democratici”, sottolineando la necessità di un’evoluzione nel tipo di approccio da adottare nei confronti di Pechino da parte dell’intelligence community. La posizione di Haines è chiara: “sostengo una posizione aggressiva, in un certo senso, per affrontare la sfida cinese”.
L’ex vicedirettore della CIA ha poi risposto alle numerose domande sull’Iran e sulla questione del JCPOA affermando di essere ancora molto lontani dal rientrare nell’accordo sul nucleare perché Teheran ha ricominciato l’arricchimento dell’uranio ad una percentuale superiore rispetto a quanto stabilito nell’accordo. Haines ha lasciato intendere che gli Stati Uniti rientreranno nel JCPOA e revocheranno le sanzioni – applicate da Trump – soltanto quando l’Iran rispetterà i limiti imposti. Inoltre, la futura DNI ha descritto Teheran come una minaccia ed un attore destabilizzante nella regione mediorientale che “non dovrà mai essere in possesso di un’arma nucleare”.
Successivamente ad Haines è stato chiesto se avrà intenzione di declassificare alcuni documenti sull’omicidio di Jamal Khashoggi, giornalista saudita, avvenuto in Turchia nel 2018. Secondo i rapporti, l’intelligence community avrebbe concluso che Mohammed bin Salman, principe ereditario dell’Arabia Saudita, sarebbe stato il mandante dell’assassinio. Nonostante la pressione bipartisan a declassificare il documento, l’Amministrazione Trump – che ha sempre avuto ottimi rapporti con Riyadh, uno dei principali competitor regionali dell’Iran – si è più volte rifiutata. Tuttavia, la nuova DNI ha chiarito la propria posizione confermando di voler declassificare il documento, una mossa – quest’ultima – che rischia di incrinare i rapporti tra Washington e Riyadh.
Se per la politica interna molte evidenze suggeriscono che Biden si distinguerà in maniera netta dal suo predecessore, per l’approccio di politica estera il discorso cambia. Potranno cambiare i toni e la ricerca di un maggiore multilateralismo ma il dibattito politico su alcune delle questioni più importanti per la sicurezza nazionale americana sembra vedere sia repubblicani che democratici convergere su una linea di pensiero molto simile. Inoltre, le recenti uscite del neo-presidente Biden e, soprattutto tali audizioni, puntano tutte in una direzione: difficilmente vedremo una chiara inversione di marcia rispetto all’ultimo quadriennio.
Alessandro Savini,
Geopolitica.info