Dall’inizio della guerra in Ucraina, l’Italia ha partecipato al sostegno umanitario, economico e militare fornito all’Ucraina dall’Alleanza Atlantica e dall’Unione Europea. Collaborando con i partner europei, Roma ha inviato armi e munizioni a Kiev, sostenendo parallelamente il governo ucraino finanziariamente sia in ambito bilaterale che multilaterale. Sebbene la partecipazione italiana al sostegno all’Ucraina abbia generato un acceso dibattito nell’opinione pubblica e nei partiti, la portata dell’aiuto italiano dovrebbe essere contestualizzata nel complesso delle forniture a Kiev per capirne l’effettivo impatto e, soprattutto, stimarne il valore.
Gli aiuti: finanziamenti e armi
Dal 24 febbraio scorso, l’Italia ha partecipato immediatamente al sostegno NATO ed europeo alla difesa dell’Ucraina, varando il primo “pacchetto di aiuti” già il 28 febbraio. In virtù della situazione assolutamente emergenziale, il primo pacchetto di aiuti si componeva sia di armamenti che di mezzi e strumenti funzionali all’assistenza umanitaria, come tende da campo, kit medici, pasti e tutta la strumentazione necessaria per gestire i milioni di profughi che fin dalle prime ore dell’invasione si riversavano nell’Ucraina occidentale dalle regioni orientali. Sebbene non sia possibile fare un’analisi puntuale di quanto inviato a Kiev, in virtù dell’apposizione da parte del Governo Draghi del segreto di stato sui decreti relativi all’invio di armi i cui contenuti sono stati comunicati esclusivamente al Copasir, è però possibile avere delle stime indicative del supporto italiano all’ucraina e confrontarlo con quelle di altri partner europei per una prima analisi necessariamente preliminare.
Allo stato attuale, l’Italia risulta tra i primi dieci paesi per il sostegno all’Ucraina, pari a circa 800 milioni di euro, ma questo dato nasconde in sé tre componenti essenziali: l’aiuto economico, umanitario e militare. In particolare, l’Italia ha fornito crediti all’Ucraina per circa 310 milioni di euro su base bilaterale, mentre gli aiuti umanitari sono stati quantificati per un totale di 40 milioni di euro, cui è necessario aggiungere circa 390 milioni allocati agli aiuti militari. Questi ultimi sono stati finanziati almeno parzialmente dallo European Peace Facility, lo strumento predisposto dall’UE per stimolare un maggiore coordinamento tra le industrie della difesa nazionali e promuovere progetti di sviluppo congiunti tra i diversi attori europei, ora ulteriormente consolidato per sostenere le spese in armamenti derivanti dall’invio di armi in ucraina.
Sebbene questi numeri possano sembrare significativi, in realtà non sono dati così importanti se confrontati a quelli di altri alleati. Senza citare Stati Uniti e Regno Unito che rappresentano i due principali fornitori di armamenti a Kiev, la Germania, ad esempio, spesso accusata di non aver fatto abbastanza per sostenere l’Ucraina, ha inviato aiuti di diversa natura per un totale di 5,45 miliardi di dollari, mentre il Canada per 3,79 per lo più in aiuti finanziari ed economici. Il contributo italiano alla difesa ucraina, per quanto importante da un punto di vista simbolico e politico, non ha quindi assunto un ruolo decisivo sull’evoluzione del conflitto. Relativamente alla tipologia di armamenti forniti dal nostro paese, secondo quanto è emerso a mezzo stampa, l’Italia avrebbe inviato in Ucraina munizioni di diverso calibro, armi leggere come mitragliatrici MG, mortai da 120mm, lanciarazzi Milan, mezzi Lince, artiglieria trainata Fh70 e semoventi Pzh2000. Ad eccezione dei pezzi d’artiglieria e dei mezzi semoventi, gran parte dell’equipaggiamento italiano inviato in Ucraina è composto da strumenti vecchi, non più utilizzati dall’Esercito e di concezione arretrata rispetto alle esigenze dei campi di battaglia ucraini, ma pur sempre efficaci considerando la penuria di mezzi e risorse di cui l’esercito ucraino soffriva all’inizio del conflitto. Di conseguenza, il contributo italiano è stato rilevante soprattutto se considerate le risorse complessivamente limitate a disposizione delle Forze Armate italiane, che, come è emerso negli ultimi mesi, mancano, come tutti i paesi europei, di riserve consistenti per far fronte a scenari ad alta intensità e di un sistema di procurement puntuale che possa in breve tempo rispondere ad esigenze improvvise. Tale condizione, come già anticipato, risulta comune a molte forze amate europee in realtà, poiché a seguito della Guerra fredda e con l’avvento delle missioni di peace keeping in Medio Oriente, le forze armate europee hanno visto un progressivo “alleggerimento”, rispetto alle esigenze di fuoco e corazzatura immaginate per un eventuale scontro con l’Unione Sovietica, in favore di forze più leggere e facilmente proiettabili funzionali alle esigenze operative emerse nel corso delle missioni nella ex-Jugoslavia e soprattutto, in Iraq e Afghanistan.
Sanzioni e misure economiche
Rispetto all’adesione e all’attuazione del regime sanzionatorio contro Mosca, l’Italia è stata fin da principio favorevole ad un sistema di sanzioni particolarmente rigido che, malgrado alcune ripercussioni di carattere locali, è stato attuato senza particolari contraccolpi. Sebbene Mosca sia stata fin un partner commerciale importante per Roma, l’esposizione italiana sul mercato russo era complessivamente limitata. Prendendo a riferimento i dati relativi al 2021, le esportazioni italiane in Russia ammontavano ad circa 7,6 miliardi di euro, pari all’1,5% delle esportazioni totali italiane che portava Mosca ad essere il 22esimo partner commerciale italiano. Sebbene alcuni settori siano stati quindi particolarmente colpiti dalla quasi interruzione delle relazioni economiche con Mosca, in realtà il contraccolpo diretto delle sanzioni e delle controsanzioni sull’economia italiana è stato complessivamente limitato. Ben più rilevante è stato invece il peso delle importazioni dalla Russia, composte essenzialmente da idrocarburi e prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio. In questo caso, parliamo di un valore complessivo pari a 17,5 miliardi di euro (dati 2021) pari al 3,7% delle importazioni totali del nostro paese. Chiaramente, considerando la tipologia di beni importati dalla Russia, l’impatto della riduzione e poi interruzione dell’approvvigionamento energetico da Mosca è stato significativo, sebbene il Governo Draghi sia riuscito a ridurre la dipendenza dalla Russia definendo nuovi accordi con altri fornitori.
Considerando l’andamento del conflitto e il ribadito impegno del Governo Meloni a sostenere l’Ucraina è inverosimile che l’Italia vengo meno ai propri obblighi in seno alla NATO, di conseguenza, possiamo aspettarci ulteriori pacchetti di aiuti a Kiev che potrebbe essere funzionali anche alle nostre esigenze, di sicurezza e produttive. In particolare, l’attenzione verso il fianco est della NATO, dove l’Italia guida il battlegroup formato recentemente in Bulgaria e partecipa attivamente a tutte le iniziative alleate dispiegando le proprie forze dalla Lettonia al Mar Nero, potrebbe essere compensata da un maggior sostegno nel mediterraneo da parte di alcuni partner prioritari. Analogamente, lo sforzo profuso dal nostro paese nell’ambito dello European Peace Facility e in generale nel sostegno militare all’Ucraina, potrebbe offrire l’opportunità all’industria della difesa italiana di guadagnare nuovi acquirenti o partener produttivi in un settore in cui l’esigenza nazionale è fisiologicamente limitata.