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Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile: un focus sull’sdg n5, raggiungere la parità di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze

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La parità di genere non è solo un diritto umano fondamentale, bensì è una condizione necessaria per ottenere lo sviluppo sostenibile, la crescita economica, la riduzione della povertà e dei conflitti. Gli Obiettivi del Millennio hanno dato grande visibilità alla questione della parità di genere, portando numerosi progressi sull’uguaglianza e l’emancipazione delle donne, aumentando la possibilità delle bambine di accedere all’istruzione primaria e l’integrazione delle donne nel mercato del lavoro. Donne e ragazze però continuano a subire in ogni parte del mondo discriminazioni, violenze e disparità economiche, ad essere costrette a matrimoni precoci e forzati, ad avere bassa partecipazione nel processo decisionale politico. L’obiettivo 5 mira a garantire alle donne e alle ragazze parità di accesso all’istruzione, alle cure mediche, a un lavoro dignitoso, così come la rappresentanza nei processi decisionali, politici ed economici.

I 9 target per il raggiungimento della parità di genere

L’obiettivo 5 ha 9 target:

Il target n.1 si propone di porre fine, ovunque, a ogni forma di discriminazione nei confronti di donne e ragazze, mentre iltarget numero 2ha l’obiettivo di eliminare tutti i tipi di violenza su donne e bambine, sia nel privato che nel pubblico, il traffico di donne e lo sfruttamento sessuale. Il target 3 vuole eliminare le pratiche abusive delle spose bambine, dei matrimoni combinati, e delle mutilazioni genitali. Il target 4 vuole far riconoscere e valorizzare la cura e il lavoro domestico non retribuito, fornendo politiche di protezione sociale e la promozione di responsabilità condivise all’interno delle famiglie. Con il target numero 5 si vuole garantire piena ed effettiva partecipazione femminile e pari opportunità di leadership ad ogni livello decisionale in ambito politico e della vita pubblica. Il sesto target ha come obiettivo assicurare l’accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai diritti in ambito riproduttivo, come concordato nel Programma d’Azione della Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo e dalla Piattaforma d’Azione di Pechino nel 1995.
I target 5.a, 5.b e 5.c, hanno il fine di avviare riforme per dare alle donne uguali diritti di accesso alle risorse economiche così come alla titolarità della terra e altri tipi di proprietà, ai servizi finanziari, eredità e risorse naturali, in conformità con le leggi nazionali; rafforzare l’utilizzo di tecnologie abilitanti, per promuovere l’emancipazione della donna; bisogno di intensificare una politica sana ed una legislazione per la promozione della parità di genere e l’emancipazione di tutte le donne e bambine.

La questione di genere attraversa l’intero sistema culturale, politico-istituzionale, economico educativo e sociale della storia e dell’esistenza umana. In troppi ambiti permane ancora un sub-sistema di stereotipi e misoginie, determinismi naturalistici, mancanza di principio di realtà e di sguardo sul futuro. La permanenza di una visione ancorata sul passato, su sistemi obsoleti della tradizione e sulla permanenza della dominazione maschile, rende il gender equality una problematica resistente da mobilizzare, a scapito del futuro delle nuove generazioni. Ciò contribuisce al permanere di processi di recessione a più livelli e prospettive: identitari, relazionali, esistenziali, culturali, sociali ed economici, in una società complessa e mondializzata, quale quella attuale in cui ogni ambiente, ogni contesto, ogni paese, per quanto localizzato e pseudo-autosufficiente, si deve confrontare.

Il rapporto OCSE del 2017, The Pursuit of Gender Equality: An Uphill Battle

Il rapporto OCSE DEL 2017 analizza la persistenza delle disuguaglianze di genere in ambito sociale ed economico a livello globale. Le giovani donne nei paesi OCSE, in media, studiano più anni degli uomini, ma nonostante questo hanno meno probabilità di essere occupate. I divari aumentano con l’età, poiché, normalmente, la maternità ha effetti negativi sul salario delle donne e sul proseguimento delle loro carriere, hanno anche meno probabilità di essere imprenditrici, e sono sottorappresentate nelle leadership private e pubbliche.

Il rapporto, dunque mira ad analizzare se e in che modo i paesi stiano lavorando per chiudere i divari di genere nell’istruzione, nel mercato del lavoro e nella vita pubblica.
Il rapporto presenta una serie di indicatori, esamina le politiche pubbliche, e offre raccomandazioni chiave per chiudere i divari di genere e sottolinea come i risultati ottenuti siano ancora troppo pochi e avvengono troppo lentamente malgrado le indicazioni che da diversi decenni, le direttive e le leggi promuovono, tra cui le diverse agende europee. I divari di genere continuano ad esistere in tutte le aree della vita sia sociale che economica dei paesi OCSE e la dimensione di questi divari è cambiata molto poco nel corso ultimi anni.

La situazione italiana

In Italia, di certo, i risultati non sono dei migliori. Nella nostra penisola si registra un tasso di occupazione femminile tra i più bassi dei Paesi OCSE. Una delle regioni di questi dati scoraggianti, è la scarsa accessibilità ai servizi di assistenza all’infanzia: solo un quarto dei bambini è inserito in strutture di questo tipo.

In Italia, sulle donne continua ancora a pesare la responsabilità della cura della casa e della famiglia, Dalle statistiche si evince che circa il 78% delle donne che si sono dimesse nel 2016 sono madri e per il 40 per cento la ragione era l’impossibilità di conciliare il lavoro con le esigenze familiari.

Dai dati emerge chenon si può risolvere questo fenomeno con dei singoli interventi mirati ma si deve curare questo handicap con politiche dallo sguardo più ampio.

Alla base dei dati preoccupanti vi è sicuramente una disfunzione nel mercato del lavoro, infatti, nel bel paese si registra uno dei più ridotti divari retributivi di genere e questo è dovuto al fatto che le donne occupate sono più istruite e hanno potenzialità retributive più elevate delle donne inattive”.

In breve, in Italia non solo le donne occupate sono poche ma anche quelle escluse dal mercato del lavoro hanno inferiori disponibilità finanziarie e livelli di qualifiche più basse. A tal proposito, un rapporto dell’EIGE (European Institute for Gender Equality)sostiene che ad una condizione di svantaggio, come l’appartenenza al genere femminile, si sommano l’appartenenza a classi sociali più svantaggiate, la provenienza geografica, ed il livello di istruzione.

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