Nel mese di settembre, è stata adottata la Risoluzione n. 2543 sulla situazione in Afghanistan, a cui ha fatto seguito, il 18 settembre, una conferenza stampa del Consiglio di Sicurezza, in cui si plaudiva all’avvio dei negoziati di pace a Doha, avvenuto il 12 settembre 2020. Purtroppo, se si pensava di aver intrapreso una strada proficua verso la pace, l’attentato di pochi giorni fa (24 ottobre), un nuovo feroce e vile attacco nei confronti di un centro educativo, da parte di Daesh, ha fatto ripiombare il Paese e la comunità internazionale nello sconforto.
Lo scorso 27 ottobre il Consiglio di Sicurezza ha condannato il brutale e vile attacco terroristico avvenuto al Centro Educativo di Kabul, in Afghanistan e rivendicato da Daesh, che ha portato, pochi giorni prima, all’uccisione di 24 persone, tra cui alcuni bambini e decine di feriti.
Poco più di un mese prima, il 18 settembre, il Consiglio di Sicurezza ha accolto con favore l’avvio dei negoziati di pace intra-afghani a Doha, in Qatar del 12 settembre 2020; in quell’occasione, ribadendo l’importanza per l’unità e l’integrità territoriale del paese, il Consiglio di Sicurezza ha sostenuto come “una pace sostenibile possa essere raggiunta solo attraverso un processo di pace globale e inclusivo a guida afgana, di proprietà afgana, che miri ad un cessate il fuoco permanente e completo, nonché a una soluzione politica inclusiva per porre fine al conflitto in Afghanistan”; inoltre, è stato ribadito il prezioso ed imprescindibile contributo delle Nazioni Unite e dei vari attori regionali ed internazionali, nell’aiutare la stabilizzazione del Paese, nonché della NATO stessa.
Ma qualcosa, nel frattempo, è andato storto, ed ecco che si torna ad esprimere grande preoccupazione per la tensione, la violenza, i problemi di sicurezza e l’alto numero di vittime tra i civili: ciò ha portato il Consiglio di Sicurezza a ribadire che gli Stati debbano agire “in base agli obblighi del diritto internazionale e alle pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, cooperando attivamente con il governo dell’Afghanistan e con tutte le altre autorità competenti”, combattendo strenuamente ogni forma di terrorismo, “in conformità sia alla Carta delle Nazioni Unite, che al diritto internazionale e dei diritti umani, al diritto internazionale dei rifugiati ed al diritto internazionale umanitario”, evidenziando ancora una volta la necessità di una fattiva collaborazione, così da consegnare alla giustizia chiunque sia coinvolto, in qualunque modo, in attività di matrice terroristica, poiché tali attacchi costituiscono una seria minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionale. In tale contesto poi, è stato ribadito l’appello del Segretario Generale Antonio Guterresper un cessate il fuoco globale, anche alla luce dell’attuale pandemia COVID-19 e dei suoi ulteriori e molteplici risvolti drammatici per la popolazione e per le infrastrutture, già precarie, del Paese (risoluzione n. 2532 del 2020).
Ma qual’era la situazione precedente?
Lo scorso 15 settembre il Consiglio di Sicurezza, con l’adozione della risoluzione n. 2543, ha ribadito l’importanza di continuare a promuovere la pace ed affrontare le sfide poste dalla pandemia di COVID-19 sul Paese e sulle sue deboli strutture sanitaria, socio-economica ed umanitaria, riaffermando altresì l’importanza della partecipazione dei gruppi più vulnerabili come donne, giovani e minoranze etniche e religiose al processo di pace, ed evidenziando che “i guadagni economici, sociali, politici e di sviluppo ottenuti negli ultimi 19 anni, così come il rispetto dei diritti umani (…), debbano essere protetti e costruiti”, il tutto in sinergia con partner internazionali e regionali, anche in vista della futura Conferenza dei Donatori dell’Afghanistan di Ginevra.
Al di là degli auspici, tuttavia, si sono continuati a registrare a registrare innumerevoli episodi di violenza e di uccisioni di civili, strettamente interrelati con le continue minacce terroristiche ad opera di al-Qaeda, Daesh o altri gruppi internazionali, così come si è segnalato il perdurare di un proficuo traffico di stupefacenti (in base a quanto evidenziato dal Comitato, istituito ai sensi della risoluzione n. 1988 del 2011, e che necessita di una “cooperazione rafforzata con l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine –UNODC”), affermando come vada sostenuto il governo afgano-in particolare le Forze Nazionali Afgane di Difesa e Sicurezza (ANDSF)e la Polizia Nazionale Afghana (ANP)-per garantire maggiore sicurezza nel Paese.
Nel prosieguo della risoluzione, si è accolta positivamente la relazione del Segretario Generale del 18 agosto 2020 (S/2020/809), nella quale viene analizzata la situazione nel Paese e le sue implicazioni a livello di minaccia per la pace e la sicurezza internazionale, ribadendo il sostegno al prezioso lavoro dell’UNAMA e del Rappresentante Speciale del Segretario Generale; auspicando inoltre, l’attuazione delle raccomandazioni del Segretario Generale per un cessate il fuoco globale (risoluzione n. 2532 e n. 2513 del 2020); viene chiesto di aiutare il governo afghano a “costruire una maggiore fiducia nel quadro della Costituzione afgana” (risoluzione n. 1267 del 1999 e n. 1988), ad organizzare future elezioni regolari, ad individuare le priorità di sviluppo, di governance e l’attivazione di investimenti, attraverso il coordinamento con donors ed organizzazioni internazionali.
Si è ribadito poi quanto sia di vitale importanza una cooperazione regionale funzionante, volta a promuovere la stabilità e la pace, a sostenere obiettivi di natura economica e a favorire gli sforzi dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo (OHCHR), della Commissione indipendente dei diritti dell’uomo dell’Afghanistan (AIHRC), della società civile e delle organizzazioni non governative internazionali e locali, nel loro preziosissimo lavoro di monitoraggio, volto a comprendere, ad esempio, la situazione delle persone detenute e dei vari gruppi vulnerabili (donne, bambini, sfollati e minoranze): tali realtà offrono competenze e consulenze specifiche in materia di processi giudiziari, educazione ai diritti umani e contro il ripetersi delle violazioni, ma anche di diritti di genere (tutti aspetti di fatto già presenti all’interno della Costituzione afgana, e nei diversi trattati internazionali firmati dall’Afghanistan stesso, come la Convenzione sull’Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Contro le Donne -CEDAW); si è auspicato infine, l’attuazione del Piano d’Azione Nazionale 1325, per la protezione dei civili da crimini odiosi ed efferati, come la violenza sessuale nei conflitti armati.
Si è chiesto anche di porre in essere strategie effettive per combattere la corruzione a vari livelli e di adoperarsi per attuare strategie umanitarie che lenissero effettivamente le sofferenze di una popolazione, prostrata da decenni di tensioni. Ogni progresso o arretramento deve essere riportato dal Segretario Generale al Consiglio di Sicurezza, così da avere sempre presente il quadro aggiornato complessivo.
Tuttavia, il punto è un altro: vi sono innumerevoli organizzazioni che tentano, ormai da anni, di aiutare l’Afghanistan in qualche modo (in maniera più o meno settoriale, a seconda dei vari programmi); il fatto è che, se non si decide, finalmente, per un “approccio Unico ONU”, si continuerà ad essere improduttivi ed inefficaci, lasciando un Paese sempre più in preda alla disillusione, alla rabbia ed alla paura.