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NotizieAfghanistan: 10 giorni per cancellare 20 anni

Afghanistan: 10 giorni per cancellare 20 anni

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C’è una finestra di opportunità che si spalanca nelle prime fasi dopo il conflitto di fronte agli attori intervenuti, aumentando la possibilità per gli intervenienti di influenzare gli sviluppi del Paese, soprattutto se l’obiettivo è costruire la pace e creare le condizioni per la democrazia liberale. La finestra, però, si richiude progressivamente mentre la diffidenza della popolazione locale aumenta. La sfida, una volta entrati dalla finestra, è uscirne, possibilmente senza dover rompere i vetri. A poche settimane dal ventennale degli attacchi alle Torri Gemelle e al Pentagono, cosa ha rappresentato l’11 settembre per gli Stati Uniti?

Articolo precedentemente pubblicata nel tredicesimo numero della newsletter “A Stelle e Strisce”. Iscriviti qui

Un punto di rottura, un’opportunità e l’acceleratore di tendenze già in moto, come si evince dalle relazioni intercorse tra gli Stati Uniti e l’Afghanistan già durante la Guerra Fredda. L’intervento mosse i primi passi spinto dalla necessità di eliminare l’organizzazione terroristica di Al Qaeda in Afghanistan, rimuovere il regime dei Talebani ed evitare che il Paese fungesse da porto sicuro per il terrorismo internazionale. Secondo quanto dichiarato nella National Security Strategy del 2002, l’11 settembre rappresentò un momento di opportunità per espandere i benefici della libertà nel mondo. Gli Stati Uniti confidavano in uno spillover regionale della democrazia. Così l’intervento eccedette progressivamente i suoi stessi fini militari e strategici perché, per garantire esiti stabili, bisognava eliminare l’eterogeneità o, quantomeno, incanalarla in meccanismi familiari: la democrazia liberale. Dunque, la guerra in Afghanistan doveva essere vinta politicamente prima che militarmente. Alla vittoria però si frapponeva la diffidenza del popolo afghano che spinse l’amministrazione Bush a preferire una “light footprint”. Questa contribuì a trascinare e sovrapporre le fasi del conflitto. L’entrata in scena della comunità internazionale fece poco per fronteggiare e risolvere celermente le condizioni dello scenario. Altrettanto complesso è stato individuare la exit strategy che fosse chiara e realizzabile. Alla fine la necessità di individuare una exit strategy ha prevalso e Biden, sulle orme di Trump, ha posto fine alla guerra multigenerazionale. La guerra più lunga degli Stati Uniti, tuttavia, è stata anche la guerra dall’esito più incerto, tanto da essere stata definita la Saigon di Biden.

Dal febbraio 2019, Trump aveva condotto le negoziazioni con i Talebani, on-off dal 2011, il cui obiettivo finale era la partecipazione talebana al dialogo intra-afghano. Dopo la sospensione dello stesso, le trattative furono riprese il 29 febbraio 2020, a Doha, quando fu siglato l’accordo tra gli Stati Uniti e i Talebani. Questo prevedeva il completo ritiro delle truppe statunitensi entro la primavera 2021, in considerazione della capacità talebana di rinunciare a ogni affiliazione con Al Qaeda e la negoziazione di un accordo per la condivisione del potere con il governo afghano. I Talebani si erano anche impegnati a non lasciare che il Paese tornasse a essere una base per attacchi contro gli Stati Uniti e gli alleati. Ma il disarmo delle milizie talebane non fu implementato e la violenza, di fatto, continuò.

Le negoziazioni tra i Talebani e il governo afghano, invece, ripresero il 10 marzo 2020 e proseguirono il 12 settembre 2020. Nonostante le richieste di cessate il fuoco, i Talebani erano restii a limitare la pressione militare su Kabul, perché funzionale alle trattative con gli Stati Uniti. I rappresentanti del governo afghano e i Talebani si sono incontrati nuovamente a Doha a inizio maggio e poi a inizio giugno 2021, ma un processo di pace così lento comporta la tendenza delle parti a ritornare alla consuetudine che, per i Talebani, significava violenza.

Quattro mesi dopo l’annuncio del ritiro delle truppe internazionali dall’Afghanistan, l’onda talebana è dilagata in Afghanistan sommergendo tutto: distretti, capoluoghi provinciali nonché istituzioni. Nonostante in Occidente si sia tornato a parlare di Talebani in tempi relativamente recenti, è da circa un anno che gli stessi hanno acquisito il controllo di aree dell’Afghanistan, edificando sulle scarse capacità di controllo del governo locale. Lo schema, che prevedeva la cacciata delle istituzioni governative dalle aree periferiche e rurali e la convergenza simultanea di colonne che lanciavano attacchi contro le difese dei centri urbani, è stato ripetuto in tutte le province dell’Afghanistan. La caduta di Kandahar, città dotata di aeroporto internazionale e hub commerciale, ha consegnato il controllo del sud del Paese ai Talebani. Similmente, la caduta di Herat ha permesso ai Talebani di amministrare l’area occidentale del Paese e di muovere le loro forze sul fronte di Mazar-i-Sharif, capitale della provincia di Balkh, caduta infine sabato 14 agosto. Tuttavia, Herat non ha rappresentato una mera conquista territoriale perché la città è un crocevia di importanti nodi commerciali e logistici, nonché simbolo della resistenza anti-sovietica prima e anti-talebana poi e unica speranza di ricostituire un fronte di resistenza unito.

Le consultazioni rapide instaurate dall’ormai ex presidente afghano Ghani non si sono dimostrate risolutive né funzionali ad arginare l’avanzata dei Talebani. Nelle prime ore di domenica 15 agosto, le forze talebane hanno raggiunto Kabul e, inizialmente, si sono arrestate alle porte della città. L’ordine era di non entrare con la forza ma negoziare la resa pacifica della città. Secondo un comunicato dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan, il processo di transizione sarebbe sicuro, le proprietà e l’onore così come le vite dei cittadini non sarebbero in pericolo. Coloro che hanno prestato servizio nell’amministrazione e nell’esercito sarebbero perdonati.

In un primo momento, a Kabul, sono arrivati anche 600 soldati della Corona britannica e 3.000 forze statunitensi per supportare il ritiro del personale civile statunitense e internazionale, mentre al personale dell’ambasciata e dell’università americana veniva ordinato di bruciare tutti i documenti sensibili per proteggere gli Stati Uniti e i loro collaboratori.

Nelle stesse ore è trapelato che la base aerea di Bagram, prima base statunitense in Afghanistan e centro di detenzione, è stata resa ai Talebani. La più grande prigione di Kabul passava sotto il controllo talebano e i prigionieri sono stati liberati.

Il presidente Biden, rimasto informato sugli sviluppi da Camp David, ha quindi deciso il dispiegamento di circa 5.000 forze di sicurezza statunitensi tra marines, soldati e paracadutisti per garantire il ritiro sicuro e ordinato del personale statunitense e alleato così come l’evacuazione degli afghani che hanno supportato la missione internazionale e che dunque sono a rischio. Tuttavia, Biden si è mostrato risoluto nella sua decisione e il ritiro non si è fermato. Il presidente ha rassicurato che gli Stati Uniti manterranno le loro capacità e la vigilanza per fronteggiare future minacce di attacchi terroristici provenienti dall’Afghanistan. Biden, nella sua dichiarazione, ha continuato dicendo che i rappresentanti dei Talebani a Doha sono stati avvertiti che azioni da loro condotte in Afghanistan che possano mettere a rischio il personale o la missione statunitense incontreranno una risposta militare, diretta e risoluta. L’intero sforzo di processare, trasportare e trasferire coloro che hanno fatto richiesta dell’Afghan Special Immigrant è stato posto nelle mani dell’ambasciatrice Tracey Jacobson. Un passaggio significativo dell’intervento del presidente americano è stato che uno o cinque anni in più della presenza militare statunitense non avrebbero fatto alcuna differenza per il popolo afghano. Per Biden, ma non è il solo a condividere l’opinione, non era più accettabile che gli Stati Uniti fossero nel mezzo di un conflitto civile di un altro Paese. Il democratico ha chiosato ribadendo che non avrebbe lasciato in eredità tale guerra ad un quinto presidente, democratico o repubblicano che sia. Nel mentre il Segretario di Stato Blinken è rimasto in contatto continuo con il presidente Ghani e gli altri leader locali per prevenire ulteriori spargimenti di sangue e raggiungere una soluzione politica.

Ciò che negli Stati Uniti ha colto di sorpresa l’Amministrazione Biden e molti americani è stato lo sfaldarsi delle forze armate afghane: equipaggiate al massimo, eppure incapaci di fermare l’avanzata talebana. L’assenza di combattimenti ha dato l’impressione che le forze armate non fossero intenzionate a dare la vita per dei capi politici che di leader avevano poco. Convinzione che è stata rinsaldata quando nel pomeriggio di domenica il presidente Ghani ha lasciato il Paese e il potere nelle mani dei Talebani, entrati nel palazzo presidenziale. Il capo dell’Alto Consiglio per la Riconciliazione Nazionale Abdullah Abdullah si è riferito a lui parlando dell’ex presidente. Dunque, le forze talebane sono entrate nella città. Era stato chiesto loro di permettere più tempo, ma la richiesta di Abdullah non è stata ascoltata. Secondo le dichiarazioni, i Talebani sarebbero entrati in città per tenere sotto controllo il caos. Nel frattempo, il personale governativo e militare ha smesso di vestire le uniformi per paura di ritorsioni. 

All’alba di lunedì, l’ambasciata americana è stata totalmente evacuata dopo immagini che hanno portato alla vita quelle che per molti erano solo foto di Saigon 1975. Un corpo diplomatico ridottissimo è stato trasferito in aeroporto. Anche l’Italia ha evacuato il personale e molte altre ambasciate hanno accelerato le tempistiche per il ritiro del personale diplomatico. L’ambasciata tedesca è stata trasferita all’aeroporto, come annunciato dal Ministro degli Esteri Heiko Maas. Anche l’ambasciata francese è stata ricollocata in aeroporto. Solamente le ambasciate russe e turche hanno mantenuto la loro rappresentanza diplomatica, fidandosi dei Talebani che hanno assicurato la loro sicurezza. Erdogan ha avviato contatti con i Talebani per un incontro. È una scelta politica che non manca di strategia perché l’Afghanistan è una terra cruciale per la Turchia, e il tema dei rifugiati è altrettanto rilevante. Potrebbe essere intenzione della Turchia fare del Paese un avamposto come collegamento con l’Asia centrale, sotto l’ombrello NATO. Si tratterebbe di una soluzione ad interim, che coinvolgerebbe significativamente gli ufficiali talebani. Dall’altro lato, il ministro degli esteri russo ha chiarito che la Russia non riconosce i Talebani come autorità legittima. La Russia ha tentato di indire per due volte conferenze di pace con i Talebani. Il razionale di Mosca è di ricorrere ad un approccio multilaterale per includere Iran e India. Il primo è sgradito agli Stati Uniti perché porta di commercio per le merci afghane così da evitare la dipendenza dal Pakistan e la seconda perché porto di sbarco per le merci afghane.

Ma anche la Cina cerca di acquisire uno spazio. Già il 28 luglio, il Ministro degli Esteri Wang Yi aveva incontrato nove rappresentanti dei Talebani, inclusa la figura di spicco il Mullah Abdul Ghani Baradar. Wang ha pubblicamente dichiarato che i Talebani saranno una forza cruciale a livello politico e militare da cui ci si aspetta la guida del processo di pace, riconciliazione e ricostruzione. Benché questa non sia stata la prima visita dei talebani in Cina, il meeting non era mai stato così tanto pubblicizzato né partecipato da personalità di grande esperienza. Il messaggio politico è chiaro. La Cina ha riconosciuto i Talebani come una forza politica legittima in Afghanistan. Ciò, tuttavia, non risolve questioni circa quale tipo di leadership i Talebani vorranno instaurare né con quale appoggio. Infatti, Wang ha richiesto ai Talebani di tagliare i legami con le organizzazioni terroristiche. Un elemento che aggiunge ulteriore complessità è la presenza di militanti uiguri nella regione che rivendicano aspirazioni politiche. Al Qaeda e la sua relazione con gli uiguri spingevano la Cina verso una visione negativa. Nel 2015, un meeting tra i rappresentanti dei Talebani e del governo afghano era stato ospitato in segreto. L’anno dopo, una delegazione talebana aveva visitato Pechino alla ricerca di comprensione e supporto cinese. Nel 2019, gli sforzi diplomatici si sono intensificati approfittando del vuoto lasciato dagli Stati Uniti di Trump. Si tratta, quindi, di un riconoscimento importante che è mancato nel 1996, quando i Talebani presero il controllo del Paese. Ad ogni modo, nonostante l’Afghanistan possa giocare un ruolo fondamentale nella Belt and Road Initiative, questo potrebbe non essere un incentivo sufficiente per la Cina essere risucchiata in Afghanistan, teatro di guerra civile. Bisogna anche considerare che i due precedenti investimenti in riserve di petrolio e miniere non hanno avuto esito positivo a causa di problemi logistici e politici, nonché connessi all’assenza delle condizioni di sicurezza. Non a caso il governo cinese ha continuato a ingaggiare diplomaticamente il governo afghano retto da Ghani. Un raffinato bilanciamento mentre gli Stati Uniti chiudono la porta ai Talebani. A pesare sulle considerazioni geopolitiche di Pechino vi è anche il rafforzamento del Quad, il dialogo quadrilatere di sicurezza che include Stati Uniti, Giappone, Australia e India. Il coinvolgimento dell’Afghanistan nel corridoio sino-pakistano permetterebbe di sottrarre il Paese all’influenza dell’India. Inoltre, il governo cinese ha investito ingenti quote di denaro per finanziare i Talebani, e intende dunque cogliere l’opportunità di sfruttare alcune risorse del territorio, sebbene finora i risultati non siano stati propriamente positivi. Terrorismo, estremismo e separatismo, se superati, permetteranno alla Cina di dialogare con i Talebani, altrimenti la Cina auspicherebbe una soluzione sotto l’egida delle Nazioni Unite.

Mentre gli attori della comunità internazionale valutano l’opportunità di stringere rapporti con i Talebani, sono cresciute le preoccupazioni per i diritti umani. Shaheen, uno dei portavoce talebani, ha garantito che i diritti delle donne saranno rispettati e che nessuno dovrebbe lasciare il Paese perché talento e capacità saranno necessari. Non è chiaro che tipo di Talebani il mondo si troverà davanti, ma potrebbe essere un regime consapevole della necessità di essere riconosciuto e quindi consapevole della necessità di trovare compromessi su alcuni fronti, sebbene non sia ancora chiaro quali e per quanto tempo.

Il Segretario di Stato americano, intervistato da diverse emittenti, ha concesso che la riconquista talebana sia avvenuta più velocemente di quanto ci si potesse aspettare ma è rimasto saldo nella necessità del ritiro statunitense. L’idea che le forze statunitensi avrebbero potuto mantenere lo status quo in Afghanistan era semplicemente sbagliato. Blinken si è affrettato a chiarire che non c’è stato alcun quid pro quo con i Talebani. Gli Stati Uniti hanno comunicato unilateralmente che qualunque interferenza nelle operazioni di evacuazione del personale civile statunitense avrebbe incontrato la risposta risoluta degli Stati Uniti. Gli obiettivi in Afghanistan sono stati chiaramente raggiunti 10 anni fa con la cattura di Osama Bin Laden. Ad oggi, la capacità di Al Qaeda di colpire gli Stati Uniti è molto ridotta, inesistente quasi. Mission accomplished, secondo l’Amministrazione Biden. La guerra civile in corso riguarderebbe l’Afghanistan soltanto, non è la guerra che gli Stati Uniti dovevano combattere. Secondo il presidente, lasciare un contingente di 3.000-4.000 soldati, come richiesto dai consiglieri militari, avrebbe implicato nuove ostilità con i Talebani e non sarebbe stato sufficiente a fronteggiare l’offensiva talebana. L’Amministrazione starebbe cercando di distinguere tra il raggiungimento dei suoi obbiettivi primari e l’obiettivo della democrazia liberale, articolatosi in un secondo momento. Ciò che preoccupa è che adesso il rispetto dei diritti umani sarebbe una questione interna. In conclusione, gli Stati Uniti non hanno perso e l’Afghanistan non è Saigon.

Tuttavia, nella tarda sera di domenica si sono registrati degli scontri in diverse parti di Kabul. Più di 80 persone, secondo Emergency, sarebbero rimaste ferite. In concomitanza, nei pressi dell’aeroporto la situazione è divenuta concitata tanto da spingere gli Stati Uniti a inviare mille soldati dell’82nd Airborne. Lunedì alle ore 10.00 di New York si è tenuto un meeting del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma le prime ore sono state segnate dalla diffusione delle immagini provenienti dall’aeroporto di Kabul dove parte del popolo afgano si è rifugiato in cerca di fuga. Le piste sono state invase rendendo le operazioni di decollo e atterraggio estremamente rischiose. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha incitato all’unità per fronteggiare la situazione in Afghanistan, garantendo diritti umani e aiuti umanitari, e combattendo le minacce terroristiche. Il Consiglio di Sicurezza ha rilasciato una dichiarazione conclusiva del meeting, chiedendo la cessazione delle ostilità e l’apertura di negoziazioni inclusive che pongano in essere un nuovo governo, unito, inclusivo e rappresentativo, con la partecipazione delle donne.

Nel pomeriggio Biden ha parlato alla nazione. Nonostante abbia ribadito la decisione di ritirare le truppe e le motivazioni a valle di tale scelta ha fallito di rispondere alle domande principali: perché questa ritirata così poco organizzata e cosa sarà fatto per la deteriorante situazione umanitaria. Infatti, secondo delle fonti locali, la notte in Afghanistan ha visto rastrellamenti ai danni di chi ha collaborato con l’Occidente. All’alba di martedì le operazioni di evacuazione del personale diplomatico e civile, dopo essere state interrotte, sono riprese. I Talebani hanno tenuto una conferenza concedendo l’amnistia per chi ha preso parte al governo filo-occidentale e hanno assicurato che i diritti delle donne saranno garantiti sotto la legge della shaaria. Il Consigliere per la Sicurezza Sullivan da Washington ha dichiarato di non fidarsi delle parole dei Talebani, ma che continuerà a guardare le loro azioni. Sanzioni, condanne internazionali e isolamento rimangono gli strumenti a disposizione per aumentare le pressioni sul regime. Intanto i fondi talebani negli Stati Uniti sono stati bloccati.

Sul deterioramento della situazione in Afghanistan si è espresso anche il Segretario Generale della NATO. Stoltenberg, in conferenza stampa, ha richiamato i termini dell’accordo concluso tra Stati Uniti e Talebani nel febbraio 2020. La NATO continuerà a monitorare che l’accordo sia rispettato, l’Organizzazione infatti ha i mezzi necessari per colpire i gruppi terroristici a distanza. Quando incalzato sul futuro della NATO alla luce dell’esperienza in Afghanistan, il Segretario ha dichiarato che la NATO rimane un’Alleanza forte che ha soddisfatto gli obiettivi della missione: combattere il terrorismo internazionale e degradare Al Qaeda. 

Il 19 agosto il Paese ha celebrato il giorno dell’indipendenza dal regime coloniale britannico, ma per i Talebani si è festeggiata la vittoria sugli Stati Uniti, una forza potente e arrogante. È lo scontro fisico tra due bandiere, due identità, due volontà agli antipodi. Convogli di Talebani si sono quindi addensati in città, spari sparsi sono stati uditi. Mentre continua lo sforzo di evacuazione dei civili, l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell’Unione Europea ha dichiarato che non tutti potranno avere questa opportunità benché permanga l’obbligo morale di proteggere l’Afghanistan. Secondo le stime degli Stati Uniti sono 50.000-65.000 le persone che dovrebbero lasciare il Paese entro il 31 agosto. Tuttavia, tra il 14 e il 19 agisti gli Stati Uniti sono riusciti a evacuare solamente 7.000 persone. Tra 10.000-15.000 sono gli americani ancora nel Paese.

Così termina il sogno, la superbia, l’illusione, l’interesse di sconfiggere la storia e le tradizioni locali di fare di un altro Paese una democrazia liberale. Gli Stati Uniti lasciano la palla, se non il campo, ad altri attori. La partita che si torna a giocare è quella delle grandi potenze, ma anche queste ultime non sono indifferenti al fascino della geografia: l’Afghanistan è un Paese privo di sbocco sul mare confinante con stati chiave come Cina, Pakistan e Iran. Questo è sufficiente per dimostrare la sua rilevanza geostrategica e geopolitica. È anche l’unico Paese dalla regione che permette libero accesso agli Stati Uniti e agli alleati NATO. 

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