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Dall’adesione alla NATO a una politica di difesa antirussa: la cooperazione militare tra Polonia e Baltici

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Da ormai più di un mese, l’Ucraina si trova a dover fronteggiare un’invasione che il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, ha definito “operazione militare speciale per liberare il popolo ucraino da un governo nazista”. Il conflitto armato vede la sua esplosione in una serie di ragioni, e una è stata la volontà del governo di Kiev di aderire alla NATO, decisione il cui consenso è cresciuto notevolmente dall’elezione del presidente Volodymyr Zelens’kji nel 2019 e che ha sempre incontrato la fortissima opposizione di Mosca, la quale critica al Patto Atlantico di essersi spinto troppo oltre nel corso degli anni, andando quindi ad eliminare quella “buffer zone” tra Russia e Occidente che si era tacitamente decisa dopo la caduta del blocco orientale.

In questo momento l’esercito russo è infatti sempre più vicino alle frontiere NATO in Europa centrale, e proprio per questo motivo Varsavia ha già dall’inizio della guerra richiesto l’attivazione dell’art.4 del Patto Atlantico, il quale prevede consultazioni di emergenza nel momento in cui un membro del Patto viene attaccato; l’articolo non potrebbe direttamente aiutare l’Ucraina in quanto il Paese non è ancora membro NATO, ma presentando questo un confine comune con la Polonia, la guerra viene vista secondo le analisi del governo di Varsavia come una concreta minaccia. Il senso di minaccia è stato recentemente giustificato anche dal giornalista ucraino Savik Shuster, secondo il quale la Polonia potrebbe essere il prossimo target di Putin per due motivi: il Paese è il principale corridoio umanitario dei profughi ucraini e, inoltre, attaccarlo significherebbe provocare la NATO, dipingendo l’esercito di un suo membro come debole ed inefficace. In un tale contesto, anche le repubbliche Baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania) hanno richiesto una maggiore tutela, in quanto anch’esse temono di essere il prossimo bersaglio di Putin. 

Il Patto Atlantico si è accorto della minaccia dell’attacco russo da tempo: già a partire dai primi movimenti separatisti del 2014 in Crimea e Donbass, come ad esempio sottolinea in un suo scritto del 2016 Anna Wieslander, attuale Presidentessa dell’Institute for Security & Development Policy, la NATO aveva già deciso di rafforzare le sue infrastrutture nei Baltici e in Polonia attraverso elementi di controllo e comando multinazionali, come le NATO Force Integration Units (NFIUs). Obiettivo di tali unità era quello di facilitare un rapido dispiegamento delle forze alleate, producendo un piano di difesa collettivo nei quattro Paesi (i quali in realtà, da ormai due decenni, portano avanti più accordi di cooperazione di difesa). Il motivo, come già accennato, è dovuto al fatto che lo sviluppo dell’espansione NATO è da sempre visto come controverso e rischioso per il Cremlino; subito dopo la caduta del muro di Berlino, infatti, la NATO ha centrato il suo interesse nell’ampliamento dei suoi membri, tramite missioni di pace e con il consolidamento di partnerships con Paesi non all’interno dell’Alleanza. Il tutto, inizialmente, senza andare a toccare Paesi dell’ex blocco orientale, i quali avrebbero dovuto creare una tacita zona cuscinetto tra l’Occidente e una Russia che, nel 1991, cercava di riorganizzare il suo assetto interno dopo quattro decenni di dominio sovietico. Il già precario equilibrio venne a mancare nel 1999 e nel 2004, quando, rispettivamente, i paesi del Gruppo di Visegrad e Paesi Baltici aderirono alla NATO, andando a produrre malcontento e senso di accerchiamento nei confronti del governo di Mosca. Ciò che può essere vista come una possibile motivazione al malcontento russo è stata forse la politica di difesa adottata da tali Paesi, i quali, dopo la dissoluzione del blocco, hanno sviluppato una posizione apertamente antirussa, politica che la Polonia ancora oggi sostiene in maniera quasi palese. 

Polonia e Baltici: dall’adesione alla NATO alla cooperazione

A livello cooperativo, Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania sono da sempre uniti contro la possibile minaccia di una Russia che vada a destabilizzare la loro integrità territoriale e il loro Stato di diritto. Oltre quindi ad accordi di cooperazione tra i tre Paesi Baltici come il BALTAT (Baltic Battalion), utili per veicolare e unire capacità militari, nel corso del tempo sono stati creati e smantellati diversi accordi di cooperazione tra i Baltici e la Polonia, come ad esempio il LITPOL BAT (Lithuanian-Polish Peace Force Batallion, smantellato nel 2007); tali accordi di cooperazione risultano di vitale importanza, in quanto permettono di poter competere con altre realtà di cooperazione internazionale senza massivi svantaggi e poter portare avanti senza troppe difficoltà gli impegni che comportano le membership EU e NATO, oltre all’opportunità per i Baltici di ampliare la loro organizzazione difensiva. 

Nonostante ciò, è importante sottolineare che Polonia e Baltici presentano al loro interno delle notevoli differenze che possono rendere il loro percorso nel Patto Atlantico non sempre simmetrico. La Polonia, ad esempio, ha sempre visto la cooperazione difensiva con i Baltici in maniera positiva (soprattutto considerando la forte militarizzazione dei suoi confini con la Bielorussia, alleata di Putin), ma un punto di dislivello è dato dal fatto che il Paese centroeuropeo conta da solo una popolazione sette volte più grande di quella degli altri tre insieme, e che il suo budget per la difesa ha visto momenti di forte differenza rispetto a quello dei Baltici; basti pensare, ad esempio, che nel 2014 la Polonia contava una spesa per la difesa pari al 2% del suo PIL, rispetto a uno 0.88% della Lituania, e che recentemente il presidente polacco Andrzej Duda ha firmato una legge che dedicherà alla difesa il 3% del PIL polacco, andando ad eguagliare uno dei livelli per l’armamento più alti tra tutti i Paesi membri NATO. Inoltre, ciò che spesso è stato contestato a Estonia, Lettonia e Lituania è che questi Stati non abbiano mai realmente considerato le cooperazioni difensive come una priorità, vedendo nell’ideale della difesa comune solamente un evidente elemento politico. A sostegno di tale teoria è per esempio la frequenza maggiore degli accordi bilaterali rispetto a quelli trilaterali o quadrilaterali, quasi come se gli Stati baltici volessero una maggiore garanzia per la propria difesa e non un vero e proprio accordo di cooperazione attiva.

Queste differenze economico-militari rendono la cooperazione sicuramente difficoltosa, in quanto i Baltici si trovano a dover “stare al passo” di un altro membro NATO con caratteristiche più solide. Dall’altro lato, un errore che viene spesso commesso è quello di considerare i Paesi Baltici come una entità unica, senza andare a fornire una opportuna evidenziazione delle differenze che li definiscono. Risulta però importante, allo stesso tempo, ricordare che Estonia, Lettonia e Lituania presentano dei punti in comune, come ad esempio il sentimento di forte necessità di integrazione con l’Occidente, il quale li ha portati a aderire al Consiglio d’Europa (Lituania ed Estonia nel 1993 e la Lettonia nel 1995) e, nel 2004, ad entrare nell’Unione Europea insieme alla stessa Polonia. 

La situazione appare quindi non esente da difficoltà legate soprattutto alla capacità dei Baltici di portare avanti tale cooperazione: intensificare una collaborazione difensiva tra Polonia e Baltici significherebbe per Estonia, Lettonia e Lituania portare avanti uno sforzo non indifferente per stare al passo con gli investimenti sulla difesa polacchi, senza contare che la cooperazione polacco-baltica si troverebbe inevitabilmente a competere con altre cornici collaborative, il tutto sempre nel contesto della NATO e dell’Unione Europea. Alla luce quindi dell’attuale guerra in Ucraina, Baltici e Polonia, nonostante le consistenti e frequenti esercitazioni militari, l’attuale aumento degli armamenti militari e la volontà di un comune fronte di difesa territoriale, dovranno probabilmente massimizzare costi e capacità se vorranno continuare e implementare questa duratura cooperazione. 

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