A pochi giorni dall’annuncio del raggiungimento di un accordo con il Fondo Monetario Internazionale per rinegoziare il debito argentino, il viaggio del presidente Fernández a Pechino in occasione della cerimonia d’apertura delle Olimpiadi invernali ha sancito l’adesione di Buenos Aires al progetto cinese della Belt and Road Initiative (BRI). Fernández dovrà essere abile a bilanciare il multilateralismo di cui si fa promotore con le difficoltà economiche e le perplessità di Washington.
Argentina e RPC
Le relazioni diplomatiche tra Argentina e Repubblica Popolare Cinese vennero stabilite ufficialmente nel 1972, anno in cui Buenos Aires riconobbe il governo di Pechino come unico rappresentante dello Stato cinese. Prima di allora, l’Argentina riconosceva la legittimità della Repubblica di Cina, con la quale aveva anche sottoscritto due accordi – il Trattato di Amicizia del 1947 (entrato in vigore nel 1963) e la Convenzione Culturale del 1966. Il riconoscimento del 1972 ha sancito l’inizio di una fase di avvicinamento diplomatico, soprattutto negli anni ‘80. In quel periodo furono firmate numerose convenzioni in campo economico, tecnico-scientifico e culturale: è del 1985, ad esempio, l’Accordo di cooperazione per l’uso dell’energia nucleare a scopi pacifici (in vigore dal 1989), mentre è di qualche anno più tardi il formale riconoscimento cinese alle pretese argentine sulle isole Falkland/Malvinas. All’inizio del nuovo millennio, con la presenza di Néstor Kirchner alla Casa Rosada, la Cina ha iniziato a ricoprire un ruolo sempre più rilevante per l’Argentina, favorito da un’agenda internazionale che coniugava interessi geopolitici – come il mutuo appoggio sulle questioni Taiwan e Malvinas – e interessi economici, secondo il tipico approccio attraverso il quale Pechino fornisce capitale e beni industriali in cambio di materie prime, nel caso argentino soprattutto soia e carne bovina.
Un ulteriore salto di qualità nelle relazioni tra i due paesi è avvenuto nel 2014 durante la presidenza di Cristina Fernández de Kirchner, con la firma della dichiarazione congiunta per lo stabilimento della Partnership Strategica Integrale. L’accordo prevedeva, tra le altre cose, il finanziamento cinese di due bacini idrici nel sud dell’Argentina per 4.7 miliardi di dollari, nonché il prestito di oltre 2 miliardi di dollari all’azienda statale Belgrano Cargas y Logística, che gestisce alcune reti ferroviarie. Oltre che dal punto di vista economico, il documento è servito a ribadire il reciproco sostegno sulle principali dispute geopolitiche e a rafforzare la volontà di cooperazione nei fori multilaterali.
Risale al 2014 anche uno degli accordi più discussi tra Argentina e Cina: quello riguardante la costruzione e la gestione di una stazione radar da parte della RPC nella provincia di Neuquén, nel mezzo della Patagonia. Il governo argentino ha assicurato l’utilizzo – per un periodo di 50 anni – di 200 ettari di terreno all’Agenzia spaziale cinese per la costruzione di una base di osservazione spaziale. Sebbene gli scopi dichiarati siano puramente scientifici e civili, sia l’opposizione interna che gli Stati Uniti hanno fin dall’inizio espresso le proprie preoccupazioni su possibili clausole segrete che consentano a Pechino di utilizzare la base in chiave militare.
Preoccupato da questa possibilità, il successore di Cristina Fernández de Kirchner, Mauricio Macri, si adoperò per la firma di un protocollo addizionale (2016) all’accordo del 2014, in cui si ribadiva l’uso esclusivamente civile della base. Durante il governo Macri – nonostante il tentativo di allontanarsi dal kirchnerismo e un approccio più vicino alle istanze statunitensi – le relazioni con Pechino non sono però state intaccate. Al netto della rassicurazione sulla base satellitare, i rapporti tra i due paesi si sono per certi versi addirittura intensificati: nel 2018, infatti, è stato firmato un imponente piano di accordi che ha contribuito a rafforzare la portata del finanziamento cinese, anche attraverso nuovi investimenti privati e l’ampliamento dello scambio di valute (swap) fino a 9 miliardi di dollari.
Fernández si avvicina ulteriormente a Pechino
Dopo la parentesi di Macri – distante più nei modi che nei fatti da Pechino – la vittoria alle presidenziali del 2019 di Alberto Fernández riporta la RPC al centro della politica estera argentina. Il nuovo presidente, fin dai primi mesi di mandato ha agito per rafforzare le partnership strategiche con Russia e Cina, adottando una retorica opposta a quella del predecessore. Trovatosi ben presto a dover affrontare la sfida della pandemia, il governo di Fernández ha potuto contare fin dalle prime fasi sul supporto di Pechino, che ha approfittato dell’emergenza per esercitare il proprio soft power, inviando all’estero apparecchiature sanitarie e dispositivi di protezione. In una fase successiva, la Cina ha rappresentato anche uno dei maggiori fornitori di vaccini per l’Argentina, principalmente Sinopharm ma anche Convidecia. A tal proposito, nel maggio 2021 è stato raggiunto un accordo per la produzione di vaccini Sinopharm direttamente in Argentina; le trattative per l’avvio sono ancora in corso, ma il laboratorio designato dovrebbe arrivare a produrre fino a 1 milione di dosi a settimana.
In un contesto di sempre più rilevante collaborazione, ribadito nei numeri dal Piano di Cooperazione Produttiva – si prenda come esempio il commercio bilaterale, passato dai 2 miliardi di dollari del 2003 ai 16 del 2019 – l’Argentina stava iniziando a preparare il terreno per l’adesione all’ambizioso piano cinese conosciuto in Italia come “Nuova Via della Seta” (BRI). Se è vero che già durante la presidenza Macri Buenos Aires aveva partecipato ai forum della BRI – pur non firmando nessun compromesso formale – l’esecutivo guidato da Fernández ha lavorato per formalizzare ulteriormente questa relazione, allo scopo di ricevere nuovi finanziamenti da destinare non solo al campo delle infrastrutture, trasporti, estrazione mineraria e tecnologia, ma anche al comparto dell’agricoltura e dell’allevamento. La Cina, infatti, rappresenta il principale mercato per l’export argentino dei semi di soia (80%) ed è un’importante compratore di carne porcina. Su quest’ultimo aspetto è in corso da circa un anno e mezzo una delicata trattativa – molto criticata dagli ambientalisti – per la creazione di 25 impianti di produzione di carne di maiale nel nord del paese, che dovrebbero garantire 900mila tonnellate di carne in 4 anni destinate esclusivamente al mercato cinese.
Nei mesi che hanno preceduto il viaggio di Fernández in Cina, le parti hanno approfittato del G20 di Roma per ribadire la volontà di rafforzare il percorso congiunto. E proprio a seguito di quell’incontro, il quotidiano cinese di partito Global Times ha di fatto anticipato l’imminente ingresso argentino nella Nuova Via della Seta. Lo scorso dicembre – sempre in preparazione alla visita del presidente argentino in Cina – Buenos Aires ha consegnato a Pechino il Nuovo Piano Quinquennale Integrato, dove figuravano 17 progetti per i quali il paese sudamericano avrebbe voluto ottenere finanziamenti.
L’ingresso argentino nella BRI: dati e prospettive
La visita di Alberto Fernández a Pechino all’inizio di febbraio 2022 – in occasione della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi Invernali – è stata l’occasione per firmare il MOU con il quale si è stabilito l’ingresso formale dell’Argentina nella BRI. Sebbene tutti i dettagli dell’accordo non siano stati resi noti, fonti della Casa Rosada riferiscono di finanziamenti per investimenti e opere pari a 23.7 miliardi di dollari divisi in due tranche: la prima, da 14 miliardi di dollari, è già stata approvata e servirà a finanziare 10 progetti infrastrutturali; mentre la seconda, da 9.7 miliardi, dovrà essere discussa dalla Commissione ad hoc creata tra i due paesi a seguito dell’adesione argentina al progetto. Il governo di Fernández auspica altresì una crescita degli investimenti diretti esteri in settori strategici per il mercato argentino e intende rafforzare al contempo l’export verso la Cina.
Sono stati stabiliti inoltre vari impegni congiunti su diverse tematiche: sviluppo verde, economia digitale, tecnologia e innovazione (5G), cooperazione spaziale ed energia nucleare. Sono proprio questi ultimi due punti a preoccupare maggiormente Washington. In campo spaziale sono state elaborate nuove linee guida per rafforzare la cooperazione, anche attraverso l’installazione di satelliti per il rilevamento BeiDou – l’equivalente cinese del GPS. Se quello dello spazio è un settore in cui i reali margini di manovra di Pechino sono ancora poco chiari, anche i recenti accordi sul nucleare per la costruzione della centrale nucleare di Atucha III hanno destato perplessità negli Stati Uniti.
L’adesione argentina alla BRI è arrivata pochi giorni dopo l’annuncio del raggiungimento di un Accordo con il Fondo Monetario Internazionale per la ristrutturazione del debito di oltre 44 miliardi di dollari, contratto nel 2018 dall’allora presidente Macri. Il piano prevede attualmente una serie di linee guida generali e, sebbene gli obiettivi di politica economica e monetaria debbano essere ancora definiti nel dettaglio, si auspica una sostanziale riduzione del deficit fiscale nel prossimo triennio. Buenos Aires si aspetta inoltre una crescita di 5 miliardi di dollari delle riserve internazionali. L’Accordo dovrà essere in ultima stanza ratificato dal parlamento argentino e approvato dal Consiglio di Amministrazione del FMI, ma restano molti aspetti da chiarire, non solo dal punto di vista tecnico. In un contesto in cui l’inflazione annua supera il 50% e le riserve internazionali di cui dispone la Banca Centrale non sarebbero state sufficienti a coprire le incombenti scadenze con il FMI – prestatore di ultima istanza – il governo ha ritenuto fondamentale il raggiungimento di un compromesso.
A fine gennaio il segretario di Stato Blinken aveva comunicato in un bilaterale con Fernández l’appoggio degli USA alle negoziazioni con il FMI – avallando di fatto l’accordo – ma la visita in Cina (e Russia) del presidente argentino ha creato alcuni malumori alla Casa Bianca. Gli Stati Uniti vivono un momento particolarmente delicato con i principali rivali globali: nel caso cinese, Biden aveva annunciato da tempo il boicottaggio diplomatico della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi, a cui invece il mandatario argentino ha partecipato – insieme al presidente ecuadoriano Lasso; con la Russia la situazione è addirittura peggiore, vista la delicatissima e mutevole questione ucraina. A Mosca Fernández ha espresso il suo auspicio affinché l’Argentina diventi per la Russia «la porta d’entrata in America Latina», mentre a Pechino non ha citato gli Stati Uniti tra i paesi che avrebbero aiutato Buenos Aires a raggiungere un accordo con il FMI. Le dichiarazioni – seppur successivamente rielaborate – hanno contribuito a indispettire Washington, che già nutriva forti preoccupazioni per il contenuto degli accordi e per la crescente penetrazione cinese e russa in America Latina. È opportuno ricordare che gli Stati Uniti – in virtù del ruolo di principali contributori – detengono la quota relativa di voti più alta all’interno del Consiglio di Amministrazione del FMI (16%). Alla luce del fatto che l’accordo con l’Argentina deve essere approvato dall’85% dello stesso CdA, Washington avrebbe quindi teoricamente la possibilità di bloccarne autonomamente l’implementazione. Tuttavia, non sono attese decisioni eclatanti in tal senso e uno scenario di questo tipo è al momento inverosimile.
Un’altra riflessione appare più importante: la Cina è un socio fondamentale per l’Argentina, il valore dello scambio commerciale è quintuplicato dall’inizio del millennio e oggi Pechino compete con il Brasile per la posizione di primo partner commerciale di Buenos Aires. Inoltre, il debito estero argentino supera l’80% del PIL e se Buenos Aires non fosse riuscita a pagare al FMI la rata da 19 miliardi di dollari prevista per il 2022 avrebbe rischiato un nuovo default. L’accordo con il Fondo e i soldi cinesi sono in quest’ottica importanti, ma il nuovo indebitamento nei confronti della RPC lascia diverse questioni aperte. In caso di insolvenza, Pechino – come già accaduto in altri contesti – potrebbe trattenere almeno parte dei profitti derivanti dalle infrastrutture che ha finanziato o, addirittura, prenderle in gestione, obbligando di fatto Buenos Aires a una cessione di sovranità. Il multilateralismo e la diversificazione delle partnership internazionali, obiettivi sbandierati da Fernández, nascondono opportunità ma anche numerose insidie: possono infatti rappresentare una risorsa, ma il governo deve essere capace di non trasformarli in una trappola.