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TematicheCina e Indo-PacificoA passage to India. Il corridoio indo-arabo e le...

A passage to India. Il corridoio indo-arabo e le strategie occidentali.

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Il G20 di Delhi ha sancito un nuovo successo per l’India di Narendra Modi nel mondo. Dopo il riuscito allunaggio del Chandrayaan-3, che ha avviato la fase di una concreta competizione spaziale con la Cina, gli indiani stanno costruendo un modello alternativo di egemonia nel “Sud globale” alternativo a Pechino e Washington ma, sotto molteplici aspetti, di gran lunga più vicino all’Occidente.

L’India sta tentando di diventare il punto di riferimento per tutti i Paesi “non allineati” ed in via di sviluppo, come stanno a dimostrare i progetti sulle banche multilaterali di sviluppo (in particolare la Banca Asiatica per lo Sviluppo); sulla riforma dell’Imf e del Wto; sulla ristrutturazione del debito dei paesi più poveri; per il soddisfacimento delle esigenze sanitarie, alimentari ed energetiche mondiali; le compensazioni per l’inquinamento del passato, fatto dai paesi avanzati ed per il trasferimento delle tecnologie digitali e di quelle dell’Intelligenza Artificiale.

Su “Formiche” Carlo Jean ha individuato i punti di frizione tra India e Cina nelle diatribe territoriali nell’Arunachal Pradesh e in Tibet (questione che aveva visto contrapposti già gli imperi di Russia e Gran Bretagna nell’ottocentesco “grande gioco”), ma anche nell’appoggio fornito da Pechino al Pakistan e, direttamente all’interno dei confini indiani, ai musulmani ed ai rivoluzionari maoisti-naxaliti, presenti soprattutto negli Stati dell’Andhra Pradesh, Telangana, Maharashta e del Chhattisgarh.

La nascita e lo sviluppo della “Partnership for global infrastructure and investimento and India-Middle East-Europe economic corridor” (Pgii), che ha nell’India il suo centro propulsivo, è la risposta indo-americana alla “Belt and Road Initiative” cinese.

Chiaramente la partita tecnologica e commerciale che si gioca sulle vie d’Oriente ha chiare implicazioni politico-strategiche nel confronto tra Stati Uniti e Cina. L’Italia, che ha da poco annunciato la sua prossima uscita dalla “Via della Seta” (con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che lo ha detto anche al primo ministro cinese, Li Qiang, in un incontro riservato al G20), aderisce alla Pgii e nell’ultimo colloquio avuto con Narendra Modi, la presidente del Consiglio ha discusso anche di commercio, difesa e tecnologie emergenti.Si tratta proprio della linea che il campo occidentale sta seguendo nei confronti dell’India per elevarla al rango di rivale sistemico per Pechino e ad alleato strategico per il blocco guidato da Washington.

La rotta della Pgii parte da Mumbai e, passando per Emirati Arabi, Arabia Saudita e Israele (leggere il cambiamento dei rapporti tra lo Stato ebraico e i Paesi arabi è interessante sotto questo aspetto), arriva al Pireo e si insinua nel cuore dell’Europa.

Nello specifico, le tappe del Pgii sono Mumbai-Dubai/Jebel Ali-Al Gheweifat-Haradh-Riyadh-Haifa-Atene/Pireo. Mumbai è la capitale finanziaria dell’India, con la presenza di aziende fondamentali per il settore dell’aerospazio, dell’informatica e delle tecnologie emergenti. Dubai è uno dei centri propulsivi per lo sviluppo delle tecnologie elettroniche, con una “zona franca”, la Tecom, aperta agli investimenti nel settore. Haradh è la “città del petrolio” saudita, nel mezzo del deserto, sede del grande giacimento petrolifero di Ghawar, di proprietà dell’azienda statale Aramco. Riyadh è la capitale saudita ed il principale centro finanziario del mondo arabo. Haifa è uno dei centri più importanti per l’industria gasiera e tecnologica di Israele, nonché porto mediterraneo sito in posizione strategica. Il Pireo (gestito per trentacinque anni dalla compagnia cinese Cosco e parte anche della “Belt and Road Initiative”) è, invece, uno dei principali porti dell’Europa mediterranea, naturale hub per i commerci provenienti dal Levante. 

La “Belt and Road Initiative” arriva, invece, nel vecchio continente seguendo, da terra, le vie del Caucaso (luogo d’incontro-scontro tra le aree d’influenza russa, cinese e turca), l’Anatolia e, deviando su Mosca, si spinge poi in Germania. La “Maritime Silk Road” passa per l’Oceano Indiano ed il Mar Rosso, arrivando poi a Trieste. 

Si comprende, anche utilizzando solo la carta geografica, quanto sia importante l’Italia per i progetti di penetrazione economica e politica della Cina in Europa, ma, di converso, il ruolo strategico che Roma possa avere anche nella Pgii quale hub logistico.

Sotto il profilo industriale (ma le ricadute politiche sono evidenti) colossi italiani come Leonardo e Fincantieri possono giocare un ruolo fondamentale, basti pensare al know how in campo marittimo ed aerospaziale che l’Italia potrebbe fornire in collaborazione con l’India, la quale ha anche cancellato dalla sua black list Leonardo, riaprendo, nei fatti, a propria industria della difesa ad investimenti e progetti italiani. Sono proprio le grandi industrie – un tempo si sarebbe detto il “blocco cantieristico-siderurgico” che un importante ruolo ebbe nello sviluppo del nascente imperialismo italiano otto-novecentesco e nella promozione di una politica estera maggiormente assertiva – a sostenere un “allungamento” del percorso della Pgii fino a Venezia, facendo dell’antica Serenissima l’approdo marittimo della “Via del Cotone”, alternativa alla “Via della Seta”. Quel che si evidenzia è la nuova centralità acquisita dall’Adriatico nel quadro del più ampio collegamento tra Mediterraneo e Oceano Indiano.

Ecco che l’impostazione filo-indiana della politica estera italiana, che è uno degli assunti del “conservatorismo assertivo” di Meloni-Tajani, sarà uno dei pilastri sui cui si baserà la postura nazionale nell’Indo-Pacifico, strategia che, per essere funzionale agli interessi di Roma, dovrà avere un collegamento forte con il “Mediterraneo allargato”. 

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