29 anni dopo il Trattato di Asunción che ha istituito il Mercado Común del Sur, gli obiettivi dei paesi membri sono stati solo parzialmente raggiunti. Il cupo scenario economico causato dalla pandemia ha messo in luce tutti i limiti del Mercosur, modernizzarlo verso una maggiore integrazione regionale può essere l’ultimo tentativo per salvare un accordo in crisi ormai da tempo.
Il 26 marzo 1991, nella capitale paraguaiana, Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay dettero vita a quello che sarebbe dovuto essere il mercato comune dell’America meridionale. Agli stati fondatori si è aggiunto il Venezuela nel 2012 – attualmente sospeso per il mancato rispetto della ‘carta’ in termini di standard economici e democratici – mentre la Bolivia, nonostante sia considerata dal 2015 il sesto membro del Mercosur, resta in attesa della ratifica della sua adesione da parte del parlamento brasiliano, prima di diventare stato parte a pieno titolo. Ci sono poi alcuni paesi che hanno sottoscritto accordi di libero commercio o di integrazione economica con il Mercosur, i cosiddetti stati associati: Cile, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù e Suriname. Messico e Nuova Zelanda, invece, sono stati osservatori. Le potenzialità di questo mercato sono enormi, i numeri aiutano a comprendere il peso del blocco nella regione e il suo impatto nel contesto internazionale: a dispetto di una densità di popolazione piuttosto bassa, il Mercosur conta al proprio interno oltre 295 milioni di abitanti, in gran parte giovani. Si calcola che siano più di 10 milioni i ragazzi di età compresa tra i 15 e i 17 anni che vivono nell’area. Il territorio degli stati parte del Mercosur dispone poi di importantissime risorse energetiche, rinnovabili e non. Inoltre, i paesi fondatori possono contare su una delle più grandi riserve d’acqua dolce al mondo: il bacino sotterraneo denominato Acquifero Guaraní, in grado di fornire acqua al pianeta per i prossimi 200 anni.
Nei quasi 30 anni di vita del mercato comune, sono stati portati avanti 50 progetti di cooperazione internazionale e sono stati finanziati progetti infrastrutturali per oltre 800 milioni di dollari. Secondo il World Economic Outlook Database elaborato dal Fondo Monetario Internazionale, il Mercosur rappresenterebbe la quinta economia del mondo, con un PIL di 2,78 migliaia di miliardi di dollari. Cifre simili a quelle di Regno Unito e India, anche se la distribuzione della produzione è fortemente sbilanciata: infatti, dopo la sospensione nel 2016 del Venezuela, Brasile e Argentina formano il 97% del prodotto interno lordo complessivo del mercato comune. Per quanto riguarda le esportazioni, esse si dirigono principalmente verso Asia (48%), Unione Europea (17%) e Nord America (14%); soia, petrolio, carne bovina, ferro e mais sono i prodotti più richiesti. Nel 2019, il valore delle esportazioni di beni verso l’esterno si è fermato a poco più di 272 milioni di dollari, un dato leggermente in calo rispetto al 2018 e decisamente lontano dal picco di 300 milioni raggiunto nel 2011.
Al G20 di Osaka del 2019, dopo 20 anni di negoziati, si è finalmente giunti alla conclusione dell’accordo commerciale tra UE e Mercosur che prevede l’abbattimento dei dazi doganali per quanto riguarda il settore industriale e agroalimentare dell’UE. Bruxelles sostiene di poter risparmiare 4 miliardi annui di dazi sulle esportazioni e di aprire ai suoi investitori un mercato di oltre 260 milioni di persone. I paesi Mercosur, dal canto loro, auspicano di ottenere una crescita nelle esportazioni di prodotti agricoli e di carne bovina verso l’Unione Europea di circa il 30%. Quest’ultimo, secondo molti, è un settore che è tra i principali responsabili della deforestazione in Amazzonia. Nonostante le rassicurazioni della Commissione europea, centinaia di organizzazioni ambientaliste europee e latinoamericane restano fortemente dubbiose sulla sostenibilità dell’accordo dal punto di vista climatico-ambientale. Posizioni critiche sono giunte da tutto il settore agricolo dove, tra gli altri, Coldiretti denuncia la mancanza di clausole vincolanti e di sanzioni per le violazioni, sostenendo altresì che in Brasile si faccia larghissimo uso di pesticidi vietati in Europa. Tuttavia, la strada per la ratifica dell’accordo è ancora lunga e tortuosa: l’Austria ha posto il proprio veto a settembre 2019, mentre 5 organizzazioni europee hanno presentato un ricorso di fronte al Garante europeo nel quale denunciano il mancato completamento della valutazione di impatto sullo sviluppo sostenibile. Lo stesso Phil Hogan, ex Commissario europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, ha dichiarato che l’accordo non entrerà in vigore almeno prima dei prossimi due anni.
Al netto delle preoccupazioni sulla sostenibilità ambientale, un accordo di tale portata permetterebbe senza dubbio ai paesi Mercosur di attrarre importanti investimenti europei, dando nuovo vigore a un mercato comune che ha subito un ulteriore contraccolpo a causa della pandemia. Il Mercado Común del Sur ha conosciuto fasi difficili anche in passato ma, fin dalle crisi valutarie di Brasile (1998-99) e Argentina (2001-03), gli stati membri hanno sempre preferito adottare un approccio che andasse a privilegiare gli interessi nazionali, a discapito dell’integrazione regionale auspicata nel 1991 ad Asunción. Lo scorso aprile, l’Argentina aveva manifestato la volontà di ritirarsi unilateralmente dai negoziati che il Mercosur aveva avviato con Canada, Corea del Sud, India e Libano. Soltanto pochi giorni dopo, il Ministro degli Esteri Felipe Solá e il Coordinatore Nazionale argentino del Mercosur Jorge Neme, hanno fatto marcia indietro sostenendo che «il dialogo con i paesi in questione sarebbe dovuto proseguire tenendo conto dei settori vulnerabili dell’economia argentina ma che, allo stesso modo, fosse essenziale approfondire l’agenda interna del Mercosur, un elemento chiave per lo sviluppo della competitività e della proiezione internazionale dei paesi del blocco». Sebbene Buenos Aires abbia parzialmente ritrattato, la vicenda ha fatto tornare in auge la lunga discussione sulla necessità di rinnovare e modernizzare l’accordo.
La volontà dei paesi fondatori era quella di istituire inizialmente una zona di libero scambio, per poi lasciare il posto alla creazione di un’unione doganale, che avrebbe implicato la creazione di una tariffa esterna comune e una politica commerciale esterna comune. Successivamente, l’idea era di passare a un mercato comune, qualcosa di più simile all’Unione Europea. In quasi 30 anni, il Mercosur ha raggiunto soltanto il primo obiettivo: essere una zona di libero scambio. Nonostante ciò, il blocco non ha ancora voluto abbandonare le intenzioni di raggiungere un giorno un’unione doganale, mantenendo in vigore alcune norme che fanno si che anche gli accordi bilaterali tra singoli paesi siano di difficile realizzazione senza il consenso degli altri stati parte. Le fosche previsioni della Banca Interamericana di Sviluppo, prevedono un calo del PIL tra l’1,8% e il 5,5% nel 2020, dopo che lo scorso gennaio era stata ipotizzata una crescita regionale del 1,6%. La difficile situazione sanitaria ha fatto sì che le nazioni si chiudessero maggiormente all’interno dei loro confini, ma secondo molti l’isolazionismo non è la risposta adeguata alla crisi economica, serve una maggiore integrazione politica ed economica.
Il sottosegretario agli esteri del governo italiano Ricardo Merlo sostiene che «in questa situazione di crisi scatenata dalla pandemia di coronavirus, urge un coordinamento delle strategie e delle politiche macroeconomiche regionali, che nella fase post-pandemica dovrebbero essere orientate verso un’economia sociale di mercato efficace e inclusiva. Un Mercosur rafforzato consentirebbe di sfruttare un’associazione regionale funzionale, sia nei periodi di crisi che in quelli di espansione». Per arrivare a questa situazione occorre innanzitutto superare le divergenze tra i due giganti regionali: Brasile e Argentina. Il governo progressista argentino guidato da Alberto Fernández si trova senza partner ideologici nella regione. In aggiunta, i dissidi con il presidente del Brasile Jair Bolsonaro, hanno causato un ulteriore deterioramento del legame commerciale e di conseguenza minore interdipendenza tra gli stati. Per il Brasile, il Mercosur non è più un mercato attraente.
Il Mercosur è da molti considerato un’unione doganale imperfetta, perché non prevede la libera circolazione di tutti i beni e servizi, inoltre è assente una politica macroeconomica comune. Stando all’analista argentino Gaston Raggio, il Mercosur sarebbe dotato di una struttura legale che consentirebbe la piena integrazione regionale, arrivando addirittura alla creazione di una federazione tra stati. Resta difficile ipotizzare uno sviluppo in questo senso, almeno nel breve termine, ma alcuni piccoli passi in avanti sono stati fatti negli ultimi mesi. il Consiglio Industriale del Mercosur (CIM) ha elaborato una strategia che prevede la presentazione di un documento alla presidenza pro tempore dell’Uruguay, nel quale si ribadisce l’importanza di promuovere l’integrazione regionale per rafforzare lo sviluppo delle industrie del Mercosur. Tutto ciò attraverso una stretta collaborazione tra settore pubblico e privato, in modo che le decisioni possano essere discusse e prese da tutti i soggetti interessati. A tal proposito, il prossimo settembre le parti si riuniranno e dovrebbero esserci sviluppi sulla questione. Secondo l’esperto di integrazione regionale dell’America Latina Nicolás Albertoni, è necessario snellire le strutture burocratiche dell’accordo per garantire maggior chiarezza, trasparenza e per permettere di superare la logica del ‘veto’ che spesso impedisce il raggiungimento delle intese. I prossimi mesi saranno cruciali per la credibilità dell’accordo, il nebuloso orizzonte post-COVID apre grandi sfide per i quattro del Mercosur, un approccio regionale potrebbe essere l’ultimo baluardo contro il rischio di crescente irrilevanza di questi paesi.