Ragioni economiche (la necessità di aggirare il territorio ucraino per rendere più affidabili e sicure le proprie forniture di gas naturale all’Europa) e ragioni prettamente geopolitiche (garantirsi la “neutralità” della Turchia in quella che viene chiamata la “nuova guerra fredda” con gli Stati Uniti) hanno portato il presidente russo Vladimir Putin ad annunciare la firma dell’accordo per la realizzazione del Turkish Stream, il gasdotto che dovrà portare parte del gas russo in Turchia.
L’annuncio, avvenuto dopo un incontro con l’omologo turco Recep Erdogan nell’ambito del World Energy Congress di Istanbul, segna il rilancio del progetto chiamato a sostituire, secondo alcuni, il gasdotto South Stream, trasformando così la Turchia in un “hub dell’energia”, in linea con il programma del presidente Erdogan.
Il progetto
L’accordo firmato a Istanbul prevede la realizzazione di due condotte, ciascuna delle quali con una capacità pari a 15,75 miliardi di metri cubi (bcm) di gas, per un valore totale pari a circa 32 bcm. In particolare, una condotta verrà usata per soddisfare il fabbisogno energetico interno, mentre la seconda arriverà sulle coste dell’Europa meridionale, neutralizzando così la possibile minaccia ucraina. Le due linee, nelle intenzioni di Putin ed Erdogan, dovrebbero essere pronte entro il 2019, anche se non è possibile escludere ritardi, non infrequenti quando si tratta di realizzare infrastrutture energetiche.
Il progetto approvato negli scorsi giorni è diverso, e notevolmente ridimensionato, rispetto a quello originario presentato da Putin nel dicembre 2014 nel corso di un incontro con Erdogan ad Ankara. Secondo i piani iniziali, infatti, Turkish Stream avrebbe dovuto garantire una capacità totale di trasporto di 63 bcm, di cui 16 riservati ai consumi turchi e 47 destinati ai mercati europei (Italia, Balcani ed Europa centro-orientale).
Al centro dell’accordo la previsione di sconti per l’acquisto del gas russo da parte della Turchia. Nessuna cifra è trapelata da Istanbul ma lo scorso anno i turchi presentarono una richiesta di sconto del 10,25% rispetto alla quotazione ufficiale, che rappresentò una delle cause alla base del rallentamento del progetto. Un progetto, quello del Turkish Stream, che sembrava definitivamente tramontato dopo l’abbattimento, nel novembre 2015, del Sukhoi-24 russo che aveva invaso per pochi secondi lo spazio aereo turco.
La cooperazione energetica tra Russia e Turchia
Il ridimensionamento del progetto iniziale non toglie, però, che Mosca veda nella Turchia, e in una più stretta cooperazione energetica, un valido strumento per rafforzare la posizione di Gazprom in un mercato, quello turco, in grande espansione e per aggirare i paletti posti dall’Unione Europea che hanno portato inesorabilmente all’affossamento di South Stream, il grande progetto (e sogno) voluto da Putin in persona.
Le relazioni energetiche tra Mosca e Ankara si caratterizzano oggi per una forte interdipendenza. Se da un lato, infatti, la Turchia dipende sensibilmente dalle forniture di gas provenienti dalla Russia (26,78 bcm, secondo dati del 2015), che coprono il 55% dei propri consumi di gas, dall’altro lato la Turchia è oggi il terzo miglior cliente di Gazprom nel vecchio continente, superata solo recentemente dall’Italia e dietro alla Germania, da tempo il primo partner energetico di Mosca nell’area.
Una relazione, quella con Mosca, sempre più stretta, anche alla luce del recente accordo in base al quale la compagnia di stato russa Rosatom costruirà la prima centrale nucleare in Turchia nella provincia meridionale di Mersin, in linea con la scommessa di Erdogan di assicurare alla Turchia il 10% del fabbisogno energetico attraverso l’energia atomica.
Alternativa a South Stream ?
Il rilancio del progetto Turkish Stream ha portato nuovamente sotto i riflettori l’idea che il gasdotto turco-russo sia l’alternativa a South Stream, il progetto messo definitivamente nel cassetto con lo scoppio della crisi ucraina nel 2014 e l’annessione della Crimea da parte di Mosca. Nei piani di Putin, grande sostenitore di quel gasdotto, South Stream avrebbe dovuto trasportare il gas russo in Europa (con un approdo, almeno nella versione iniziale, in Italia) passando per la Bulgaria ed aggirando il territorio ucraino.
E proprio l’obiettivo di aggirare il territorio dell’Ucraina dimostra come South Stream e Turkish Stream possano essere considerati lo stesso progetto, diverso solo per quanto riguarda il punto di approdo finale, ovvero una sorta di South Stream con approdo in Turchia. Questo, ovviamente, a condizione che Turkish Stream si riveli effettivamente in grado di trasportare il gas russo anche verso i mercati europei e non venga utilizzato esclusivamente per soddisfare il fabbisogno energetico nazionale.
Un hub del gas nel Mediterraneo
La realizzazione del Turkish Stream candida sempre più la Turchia a diventare un vero e proprio hub del gas nel Mediterraneo, come confermano le parole del presidente turco Erdogan: “La Turchia vuole diventare un corridoio di transito per l’Europa e si propone di istituire un corridoio energetico con la Russia per le forniture di energia per l’Europa”. Turkish Stream, infatti, non sarebbe l’unico gasdotto a portare il gas di Mosca in Turchia.
Ad oggi, il gas naturale russo arriva in Turchia attraverso il Blue Stream, un gasdotto operativo dal 2003 e lungo 1.213 km, di cui circa 400 offshore. Il gasdotto è in grado di trasportare in Turchia sino a 16 bcm all’anno, aggirando il territorio di paesi potenzialmente ostili. Cosa che oggi non è in grado di fare, al contrario, il Trans-Balkan pipeline, che trasporta 14 bcm di gas russo in Turchia passando per Ucraina, Moldova, Romania e Bulgaria. E non è da escludere che parte del gas trasportato verso la Turchia con il Trans-Balkan pipeline sia “trasferito” in futuro al Turkish Stream proprio per aggirare l’ostacolo ucraino.
Ma non è solo il gas russo, coerentemente con l’intenzione turca di procedere ad una diversificazione delle fonti, a poter trasformare la Turchia in un hub del gas. Proprio in questi giorni, infatti, è giunta la conferma ufficiale che il Trans Adriatic Pipeline (TANAP), ovvero il gasdotto che poterà in Turchia il gas dell’Azerbaijan, “va avanti senza problemi”. In particolare, entro il 2018 dovrebbe essere portato a termine il tratto relativo al confine tra Turchia e Georgia mentre il tratto che dovrà collegare la città turca di Eskisehir al confine greco sarà terminato entro la fine del 2019. Un gasdotto, il TANAP, che dovrebbe inizialmente portare in Turchia 16 bcm di gas (di cui 10 da destinare al mercato europeo, dove approderebbero attraverso Italia, Grecia ed Albania grazie al TAP) per arrivare, nel 2031, ad una capienza di 31 bcm. E non è da escludere che il TANAP possa poi essere collegato al Turkish Stream.
Ed è proprio di pochi giorni fa la notizia per la quale Turchia ed Israele si incontreranno in futuro per discutere la realizzazione di un gasdotto in grado di portare il gas israeliano in Turchia, e da lì poi in Europa.
La Turchia si presenta quindi sempre più come un potenziale hub del gas nel Mediterraneo, con buona pace degli Stati Uniti, per i quali, come affermò nel maggio 2015 il rappresentante speciale per l’energia del Dipartimento Usa, “il Turkish Stream non esiste. Mettiamolo bene in chiaro e centriamo la nostra attenzione su ciò che conta davvero, il TAP”.
Se ciò accadrà, Ankara dovrà dire grazie all’Azerbaijan e, soprattutto, alla Russia. Ma, come i recenti eventi insegnano, possono bastare 10 secondi e un missile a cambiare il corso degli eventi.