L’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19 non solo ha stravolto le abitudini e gli stili di vita di gran parte della popolazione mondiale, ma ha anche messo in luce alcune questioni di per sé già evidenti all’interno dello scacchiere internazionale: da una parte la differente capacità di risposta delle singole entità statali al sopraggiungere di qualsiasi tipo di crisi, dall’altra l’importanza del fattore della potenza nell’evoluzione e nello stravolgimento dello status quo mondiale di fronte alla crisi sopracitata.
Sebbene la maggior parte dei media, soprattutto a inizio pandemia, abbia stabilito in maniera del tutto avulsa un profondo sconvolgimento dei rapporti tra gli Stati, ipotizzando addirittura un capovolgimento della gerarchia tra gli attori principali del pianeta, soltanto negli ultimi mesi il fattore della potenza è tornato a imporsi fortemente all’interno della vulgata generale, restituendo tutta la dignità all’autentico demiurgo della storia umana. Quando in ballo vi è la vita o la morte delle persone, ciò che più conta è la potenza dei governi che intervengono sul tema, i quali indirizzano quelle che sono le armi strategiche più importanti e le decisioni da intraprendere di fronte alla crisi, a oggi la produzione e distribuzione dei vaccini a livello mondiale.
Questo breve intervento vuole dunque sottolineare quanto ancora oggi la potenza di una certa entità politica sia decisiva nella corsa al primato mondiale, da una parte mettendo in evidenza in che misura il ruolo egemonico degli Stati Uniti sia stato fondamentale nei risultati ottenuti dal Presidente Biden contro la pandemia da Covid-19, dall’altra inquadrando le principali dinamiche intraprese dall’Unione Europea all’interno del panorama appena descritto, impegnata al contempo nel garantire un numero adeguato di vaccinazioni quotidiane ai propri cittadini e nel tentare di rovesciare gli ormai consolidati equilibri geopolitici del vecchio continente, invocando un possibile allentamento della secolare presa statunitense sul territorio europeo.
Vaccinazione di massa: il nuovo outil stratégique del momento
Se da un punto di vista geopolitico l’Unione Europea è lungi dall’essere un soggetto con pieni poteri, il cui sistema istituzionale ibrido si è limitato in molti casi a svolgere un ruolo di “arena” in cui gli Stati membri competono fra loro nella continua ricerca di risorse e benefici altrimenti difficili da raggiungere, l’assenza di un apparato di potenza all’interno della propria struttura ha fortemente compromesso quella che più di tutti poteva essere la battaglia più importante degli ultimi decenni, la lotta contro gli effetti devastanti del Coronavirus, così come la ricerca di un vaccino efficace nel più breve tempo possibile. Proprio lo strumento dell’analisi geopolitica aiuta dunque a individuare uno dei maggiori fallimenti della politica europea nell’ultimo anno e mezzo, quello della vaccinazione di massa, smentendo al contempo l’immaginario collettivo di una potenza statunitense incapace di gestire il momento virale, prima al mondo per numero di morti e contagi e fortemente divisa al proprio interno sulle ricette da applicare nella lotta alla pandemia.
Ai dati attuali, più di 300 milioni di dosi sono state già inoculate ai cittadini, più del 60% della popolazione ha ricevuto una prima dose e oltre il 35% degli americani è pienamente vaccinato, mentre il presidente Biden ha anticipato di più di un mese il non obbligo della mascherina all’aperto per tutti coloro che si sono già sottoposti alla vaccinazione. Risultati incredibili, molto lontani dalle lungaggini organizzative e burocratiche che hanno accompagnato sin dall’inizio le campagne di immunizzazione portate avanti sul territorio europeo. A tal proposito, la decisione delle aziende Pfizer e BioNTech, rispettivamente americana e tedesca, di privilegiare nella prima parte dell’anno la produzione del proprio vaccino al fabbisogno americano, mettendo in secondo piano le richieste dell’UE (pur ricevendo da quest’ultima e dal governo tedesco, a differenza degli USA, cospicui fondi per la ricerca), è forse l’esempio più eclatante di quanto il fattore di potenza sia stato decisivo per la corsa mondiale alla vaccinazione di massa.
L’approccio contrattualistico-giuridico portato avanti dalla Commissione Europea per l’approvvigionamento dei vaccini anti-Covid, accompagnato da una lunga serie di problematiche qualitative e quantitative nella loro fornitura e nella redazione delle clausole da applicare ai contratti con le aziende farmaceutiche, non ha fatto altro che confermare un vuoto di potenza già presente all’interno delle istituzioni europee, cassa di risonanza dell’impossibilità dell’Europa di imporre le proprie istanze e influire sulle decisioni di organismi privati senza alcun potere in ambito pubblico e decisionale.
Unione Europea e politica di potenza. Il vaccino dell’egemone alla conquista del mercato globale
“Non esiste nessuna comunità internazionale, ma solo un’arena dove le nazioni si buttano, lottando ognuna per ottenere il massimo vantaggio per sé stessa”. Così affermava nel 2017 uno dei numerosi consiglieri della sicurezza nazionale di Trump, Herbert Raymond McMaster, nel solco della dottrina d’American First portata avanti dal presidente americano durante il precedente mandato.
I vaccini seguono la potenza. Più si è potenti e più si vaccina. Ne consegue che quella ai vaccini è una corsa a risorse scarse e urgenti, nella quale i differenti Stati dello scacchiere internazionale sfruttano al meglio le proprie condizioni strategiche e impongono alle controparti i diversi rapporti di forza vigenti. Corsa alla quale i Paesi dell’UE sono partiti fortemente svantaggiati, a causa dello stretto margine di manovra che essi detengono nelle dinamiche geopolitiche del pianeta.
Non è un caso che la campagna vaccinale europea abbia subito una forte accelerata solo nell’ultimo periodo, momento in cui gli Stati Uniti, dopo aver messo temporaneamente da parte il proprio soft power internazionale per raggiungere nel più breve tempo l’immunità di gregge e ed essere liberi di rientrare nel mondo da protagonisti (già Donald Trump, nel dicembre 2020, dichiarava che “solo dopo aver determinato che esiste una scorta sufficiente per tutti gli americani che scelgono di essere vaccinati sarà possibile l’accesso internazionale alle fiale per partner e alleati”), si sono nuovamente concentrati sulla distribuzione del proprio vaccino a livello mondiale, dando una forte spallata a tutti coloro che si erano sostituiti parzialmente a tale vuoto di potere.
La decisione di Bruxelles di non rinnovare il contratto per la fornitura di vaccini anti coronavirus con l’azienda biofarmaceutica AstraZeneca, parzialmente giustificata dal mancato rispetto delle condizioni contrattuali da parte della multinazionale anglo-svedese, insieme al rinnovato accordo con la Pfizer-BioNTech per l’acquisto di 1,8 miliardi di dosi tra il 2021 e il 2023, non fa altro che consolidare, tra lo stupore generale, il corposo vantaggio acquisito dagli Stati Uniti dal punto di vista tattico e strategico, confermando la presa americana sul vecchio continente e offrendo all’amministrazione Biden un’importante strumento di ricatto contro i velleitari tentativi di capovolgimento degli ormai consolidati equilibri geopolitici presenti sul territorio europeo.
Purtroppo per Boris Johnson, primo fra tutti a comprendere le opportunità insite nella nuova sfida alla vaccinazione di massa (spinto da una rinnovata volontà di potenza e il bisogno di un riposizionamento del proprio brand nella nuova era post-europea, sottolineando il modello vincente dell’autonomia post-Brexit), la narrazione è formidabile strumento di influenza, cosicché l’enorme caos generato intorno al vaccino Vaxzevria non solo ha evidenziato una totale dissonanza tra le politiche sanitarie intraprese dai ventisette Stati membri, ma ha anche confermato la totale dipendenza dell’Unione Europea nei confronti dell’egemone statunitense, nonostante la persistente convinzione dei burocrati di Bruxelles di un percorso decisionale condotto in totale autonomia. Mentre i parziali o totali fallimenti a cui sono andati incontro i numerosi progetti di “vaccini nazionali” portati avanti da alcuni Paesi europei, primi fra tutti l’italiano ReiThera e il francese Sanofi, ancor prima della cosiddetta terza fase di sperimentazione, sottolineano da una parte un sempre più marcato divario economico, tecnologico e strategico con gli Stati Uniti, dall’altra l’efficacia e la capacità di diffusione che ancora oggi accompagnano le scelte intraprese dalla potenza d’Oltreoceano.
Conclusione
Le dinamiche di potenza sopra descritte, presenti da alcuni anni all’interno della piattaforma europea ma esacerbate dall’avvento dell’attuale crisi economico-sanitaria, segnalano dunque un fallimento del sistema europeo così pensato, confermando altresì la convinzione che nell’attuale mondo multipolare la tutela della salute e del benessere sia più che mai in balia delle capacità economiche, politiche e strategiche della potenza egemone, interessata a espandere il proprio soft power tramite qualsiasi strumento presente sulla piazza. Una riforma strutturale dell’intero sistema europeo, impossibilitato a giocare un ruolo da protagonista all’interno dello scacchiere internazionale, potrebbe essere oggi necessaria, benché sussistano parecchi dubbi sulla propria fattibilità e sulle possibilità che le dinamiche di potenza oggi in essere prendano una direzione differente. Numquam est cum potente societas.